La macchina organizzativa delle Regioni fa fatica a raggiungere il 10% di over 80 ancora in attesa del vaccino, tra ostacoli burocratici e pazienti allettati o irrintracciabili. Il nodo è la somministrazione a domicilio, affidata (sulla carta) soprattutto ai medici di famiglia. Che però attaccano: "Mancano dosi, il nostro sistema informatico non dialoga con quello di prenotazione e non abbiamo abbastanza personale". Il vicesegretario della Fimmg Crisarà: "La politica ha preso le sue decisioni per favorire i cittadini o se stessa?". Le storie di chi è stato dimenticato
A più di quattro mesi dall’avvio della campagna vaccinale, mezzo milione di anziani con più di 80 anni aspetta ancora di ricevere la prima dose del siero anti-Covid. Sono cittadini che la macchina organizzativa delle regioni fa fatica a raggiungere, magari perché non inseriti nei registri sanitari, è difficile rintracciarli, non hanno parenti o figli su cui contare per poter accedere a un hub vaccinale o sono costretti a letto da una patologia grave. Il Piano vaccini nazionale prevedeva di immunizzarli il prima possibile, dal momento che sono i più esposti al rischio di morire con il Covid (nel periodo peggiore della pandemia l’età media dei decessi era di 85 anni). Ma qualcosa evidentemente è andato storto, specie se si pensa che nel frattempo sono state aperte le vaccinazioni per gli over 50 e da lunedì 17 maggio – come ufficializzato dal commissario all’emergenza Francesco Paolo Figliuolo – scatterà il via libera anche per i 40enni. Una situazione che la Federazione medici di medicina generale (Fimmg) denuncia da settimane, lamentando una serie di ostacoli che rendono ancora complicato raggiungere chi è stato dimenticato dal sistema sanitario. “Il problema di fondo è che è stata fatta la scelta di favorire i grandi hub vaccinali, a cui vanno la maggior parte delle dosi disponibili, a discapito dei medici di base e del loro rapporto con i pazienti sul territorio”, spiega a Ilfattoquotidiano.it il vicesegretario nazionale della Fimmg Domenico Crisarà. “La domanda che bisogna farsi è questa: la decisione della politica è pensata per favorire il cittadino o la politica stessa?“.
Come vanno le vaccinazioni per anziani e fragili – Stando agli ultimi dati sull’andamento della campagna (aggiornati al tardo pomeriggio del 14 maggio), sono circa 4 milioni gli over 80 che hanno ricevuto almeno una dose del siero, pari al 90% del totale. Un po’ più bassa (76%) la percentuale di chi ha fatto anche il richiamo. Fanno caso a sé gli ospiti delle Rsa, dove salvo rari casi la prima dose è già stata somministrata a tutti, e i soggetti considerati fragili, conteggiati ufficialmente dal ministero della Salute solo da un mese. Gli anziani che ancora sfuggono alle maglie della campagna di vaccinazione sono quindi circa 500mila, con forti disparità a livello territoriale. Regioni come Umbria, Emilia Romagna, Veneto e Toscana hanno praticamente raggiunto il 100% degli over 80, mentre in Campania mancano all’appello 63mila persone (il 79% ha ricevuto una dose). La situazione peggiore è proprio al Sud, soprattutto in Calabria e Sicilia, dove quasi un anziano su tre non ha ancora ricevuto la prima dose. A rilento anche la Sardegna, con oltre 20mila over 80 in attesa.
Le storie – Ilfattoquotidiano.it ha ricevuto numerose segnalazioni di cittadini impantanati in vulnus burocratici che mettono a rischio la loro salute o quella dei propri cari. Renato Vaghi è figlio di una signora di 88 anni, su sedia a rotelle e con ossigeno h24, che soffre di interstiziopatia polmonare e osteoporosi grave. La prenotazione per il vaccino è stata fatta a metà marzo (con tanto di documento protocollato della Regione), ma dopo un mese senza notizie lui e i suoi fratelli hanno iniziato a chiamare con insistenza il numero verde della Lombardia. Al che un operatore ha risposto che l’anziana “non risulta inserita in alcun registro di prenotazione“. Dopo aver rifatto la procedura è ricominciata l’attesa, finché il 30 aprile il suo medico di famiglia è riuscito a contattare gli infermieri di comunità che si occupano delle vaccinazioni a domicilio, ma la risposta è stata che bisognava prima ultimare gli ultranovantenni. Il problema è stato risolto solo nelle scorse ore. Vaghi trova quindi assurdo che nel frattempo siano già state aperte le prenotazioni per i 50enni, “categoria nella quale ricadiamo io e i miei fratelli. Proviamo vergogna nei confronti di nostra madre anche solo al pensiero di poterci iscrivere in quella lista, mentre lei, debole tra i più deboli, è stata dimenticata“.
Giorgia, invece, (nome di fantasia), è madre di un ragazzo allergico affetto da asma bronchiale e bronco-ostruzione cronica. “In teoria doveva essere segnalato all’Asl dalla struttura dove è in cura, ma dopo aver aspettato a lungo abbiamo fatto la prenotazione online”, spiega al telefono. “Una volta arrivato il suo turno, il 24 aprile, il medico lo ha rimandato indietro sostenendo che per la sua patologia deve necessariamente fare il vaccino in una struttura sanitaria protetta. Da allora siamo rimasti in attesa, abbiamo anche contattato la Vax manager messa a disposizione dalla Regione per i più fragili. Solo dopo due settimane e molte insistenze siamo riusciti a sbloccare la situazione”. Niente da fare, invece, continua Giorgia, nel piccolo comune della Sardegna da cui proviene: “Lì ci sono almeno una cinquantina di anziani, anche ultranovantenni, che ancora aspettano il vaccino. Molti non possono muoversi da casa e nessuno li ha contattati per l’iniezione a domicilio. È inaccettabile“.
Il nodo medici di base – Perché questi ritardi? Da un lato ci sono le difficoltà croniche di certe Regioni nel restare al passo con le inoculazioni, rallentate da carenze strutturali ereditate negli anni, sanità commissariate e disorganizzazione territoriale, ma dall’altra c’è l’incapacità della macchina vaccinale di intercettare i più fragili (o di dar loro la priorità). Anche per scelte che arrivano dalla politica. Le modalità per consentire ai cittadini più anziani di vaccinarsi variano da realtà a realtà, ma in generale rispondono agli stessi criteri: c’è una piattaforma online dove il cittadino (o un parente) può prenotarsi per poi andare in un centro vaccinale, sono previsti numeri di telefono per chi non ha familiarità con la tecnologia, chi è affetto da patologie gravi viene contattato direttamente dall’Asl di riferimento o dalla struttura dove è in cura. L’ultima opzione è quella dei medici di famiglia, che in teoria possono raggiungere i pazienti in modo molto più capillare e fare somministrazioni a domicilio per chi è allettato. Peccato che non sempre riescano a entrare davvero in azione.
Dal caso Lazio ai ritardi in Sardegna. L’eccezione Toscana – Il caso più emblematico è quello del Lazio, dove c’è un 10% di over 80 ancora esposto a tutti i rischi del Covid. Qui nei giorni scorsi si è innescato un braccio di ferro tra la Fimmg e l’assessorato alla Salute, con tanto di stato di agitazione della categoria. “Nonostante i nostri ripetuti appelli”, scriveva la Federazione, “la Regione sceglie di aprire ogni giorno nuovi hub per la somministrazione di vaccini contingentando le dosi richieste ai medici di famiglia. Se negli hub viene utilizzato per tutti il vaccino Pfizer a prescindere dall’età e dalle patologie, questo viene invece centellinato o del tutto negato ai medici di medicina generale che hanno dovuto disdire gli appuntamenti“, rimandando l’iniezione per gli anziani che mancano all’appello. Alla fine Fimmg e assessorato hanno trovato un accordo, consentendo dal 17 maggio la possibilità di prenotare direttamente dal proprio medico l’appuntamento per il vaccino così da recuperare terreno.
Anche in Puglia si è deciso nelle scorse ore di dare più dosi Pfizer e Moderna ai medici di base per “completare entro la fine di maggio le vaccinazioni delle categorie over 80 disabili, fragili e vulnerabili”, sulla scorta di quanto fatto in Toscana. La Regione guidata da Eugenio Giani all’inizio infatti era tra le ultime per anziani vaccinati, ma dopo essersi affidata completamente ai medici di base ha raggiunto con la prima dose il 100% della platea. In altre Regioni, invece, l’intesa con la categoria è arrivata molto tardi. In Calabria il protocollo è stato firmato a metà aprile ed è diventato operativo la settimana successiva. Tanto che ora la Protezione civile (che in certi casi assiste i medici per tamponare alle carenze della sanità locale) ora parla di oltre 40mila richieste di vaccinazioni a domicilio da smaltire. In Sardegna certe Asl, come quella di Nuoro, hanno annunciato il via alle iniezioni per gli anziani allettati solo a inizio maggio, mentre in Sicilia – riferiscono le associazioni di categoria – i medici di base talvolta sono costretti a fare anche 60 chilometri per raggiungere un hub vaccinale dove ritirare le dosi che poi andranno somministrate ai rispettivi pazienti.
Crisarà (Fimmg): “Regioni non ci hanno facilitato nell’aderire alla campagna” – I problemi, come conferma al Fatto.it il vicesegretario nazionale della Fimmg Domenico Crisarà, sono diversi: la carenza di dosi garantite ai medici, i ritardi nelle consegne, l’eccessiva burocrazia, l’impossibilità di accedere alla piattaforma regionale/nazionale di prenotazione delle vaccinazioni. “Bisogna ricordare che per noi la somministrazione dei sieri anti-Covid è un’attività aggiuntiva, la gente continua ad ammalarsi anche di altro. Non possiamo passare i pomeriggi a fare telefonate per sapere se i nostri pazienti si sono prenotati in un hub o si sono già vaccinati, servirebbe del personale ad hoc. L’altro giorno per convocare 6 persone ho fatto 35 telefonate”. Secondo Crisarà, i ritardi della campagna vaccinale stanno facendo emergere tutte le contraddizioni della politica sanitaria di questi anni e i mancati finanziamenti al settore. Ci sono poi le difficoltà legate ai “sistemi informatici che non dialogano, al fatto che una volta scongelate le dosi vanno somministrate entro tot ore, alla distribuzione delle fiale che in molti casi siamo noi stessi a dover andare a ritirare nei centri regionali”.
Alla base di tutto, spiega, c’è la decisione politica di “favorire i grandi hub vaccinali e di metterli senza motivo in competizione con la medicina territoriale”. È chiaro che “prenotare su un portale, compilare un modulo, recarsi all’appuntamento e fare subito il vaccino è segno di efficienza agli occhi del cittadino. Il nostro lavoro in confronto appare invece insignificante“. Tradotto: non porta consensi. “Noi dalle Regioni non abbiamo avuto nessuna facilitazione nel partecipare alla campagna, avrebbero dovuto darci dei target specifici – modello Toscana – fornendoci strutture e attrezzature adeguate”. Invece si è perso tempo, concentrando gli sforzi soprattutto nel somministrare più dosi possibili. Adesso anche ai giovani, con l’apertura delle prenotazioni a nuove fasce d’età. “Guarda caso tutto avviene proprio mentre nei frigoriferi stanno avanzando fiale di Astrazeneca e, per evitare di buttarle, il generale Figliuolo ha autorizzato una re-distribuzione tra le regioni“, attacca Crisarà. Il paradosso, conclude, è che nel frattempo “lasciamo dietro di noi uno strascico di persone non vaccinate e non controllate. I più fragili di tutti”.