Seguo “Propaganda Live” da sempre, è un appuntamento per me quasi imperdibile il venerdì sera. Una trasmissione diversa dalle altre che tocca, facendo ridere e sorridere, temi fondamentali, tra cui, sicuramente, la difesa dei diritti dei più deboli e dei meno integrati. Ma quando ieri ho letto del rifiuto della docente e giornalista Rula Jebreal di partecipare alla trasmissione, visto che di sette ospiti sei erano maschi, ho provato un senso quasi di liberazione. Ho sentito che finalmente qualcuna denunciava un’asimmetria che noi tutte accettiamo con troppo silenzio. Per paura di essere danneggiate.

Che Rula Jebreal abbia detto no è stato, ripeto, davvero liberatorio. E questo non cambia nulla sulla bellezza del programma, non è un’accusa a Propaganda Live in particolare. Rula Jebreal lo ha spiegato: è una decisione che lei ha preso tempo fa, non partecipare a programmi dove la presenza di genere fosse troppo squilibrata. In questo caso lo squilibrio c’era, semplicemente. Gli ospiti, al di là delle presenza fisse, erano sette, di cui solo una donna. Quindi non si è sentita di andare.

Ho seguito un po’ il dibattito sui social che ne è seguito. E con tristezza ho visto uomini e donne accanirsi sulla Jebreal. A parte insulti al limite della querela da parte di personaggi come Cruciani, mi ha colpito di più il fatto che uomini e donne “normali” non capissero. C’è chi insultava le quote rosa, chi diceva che si tratta della morte della meritocrazia, chi accusava la Jebreal di aver causato un ulteriore vuoto femminile. Nessuno sembrava aver capito il punto: qui non si tratta neanche di quote rosa, si tratta di denunciare un enorme problema culturale che esiste nell’informazione e che esiste, anche, nella migliore informazione di sinistra (da quelli di destra, d’altronde cosa aspettarsi?).

Mentre ci sono talk show che da questo punto di vista hanno fatto passi in avanti – vedi DiMartedì di Floris dove le donne sono tantissime – altri, che pure amo e seguo con passione, hanno ancora una presenza maschile schiacciante (come PiazzaPulita, un programma, ripeto, eccellente, forse uno dei migliori che abbiamo). Ma anche lo stessa Lilli Gruber, attentissima alle questioni di genere e che mai farebbe una trasmissione di soli uomini, quasi sempre ripropone lo schema una donna/due uomini.

Il problema è proprio il pluralismo. E il dramma, di nuovo, è che i giornalisti e i conduttori “di sinistra” uomini non lo abbiano davvero interiorizzato, in modo da spontaneamente indicare ed invitare più donne nelle trasmissioni. Non se ne accorgono proprio. Come non se ne accorgono, di riflesso, gli spettatori, che pure interiorizzano uno schema. E non prendo neanche in considerazione la logora tesi per cui non esisterebbero abbastanza esperti femminili, perché è totalmente falsa. Nel mio piccolo, anche io mi trovo a scegliere per il mio lavoro persone da intervistare e scopro sempre con sorpresa quante esperte ci siano che lavorano nell’ombra. O anche al sole, ma magari all’estero.

Che l’informazione di sinistra abbia un problema si vede anche guardano i giornali. Tutti i giorni resto sinceramente senza parola nel vedere come in giornali progressisti nelle pagine di editoriali e commenti ci siano solo esclusivamente firme maschili. Siamo nel 2021 e nulla è cambiato. Penso anche come sia possibile che le donne di quei giornali non lo facciano notare, non chiedano maggiori presenza: l’unica risposta che mi do è che ci sia scarsa democrazia all’interno e tantissimo terrore di essere tacciate come maniache delle quote rosa, e magari di essere danneggiate per la denuncia. Trovo questa cosa incredibile e molto triste. Forse alcune giornaliste non si accorgono delle asimmetrie, ma penso che siano la minoranza. Ormai per noi è evidente ciò che accade nell’informazione a cui apparteniamo, nell’informazione migliore, appunto. Lo constatiamo ogni giorno, eppure mancano denunce forti.

Quella di Rula Jebreal ha rotto un silenzio assordante. Temo però che resterà isolata. Tempo fa la stessa polemica la fece Michela Murgia denunciando convegni interamente al maschile. Non molto è cambiato, i convegni con sparute presenze rosa continuano. Tuttavia, Rula Jebreal ha detto semplicemente, senza polemiche, la verità. Che è banalmente numerica. E non è andata. Una scelta simbolica importante, che forse anche noi, sempre terrorizzate di perdere quella piccola parte di presenza e lavoro che abbiamo conquistato, dovremmo seguire. Perché se tutte lo facessimo molto cambierebbe.

Non è solo la politica dunque a offrire una dominanza maschile e spesso ad essere accusata per questo. E’ anche l’informazione. Ma il problema è meno visibile perché, appunto, quest’ultima difficilmente fa autocritica. Né i media si criticano a vicenda, visto che da questo punto di vista sono quasi tutti tristemente allineati.

Insomma, nell’Italia in cui si discute di eccessi, politicamente corretto e di baci a Biancaneve non consensuali, non ci accorgiamo di come, quanto a pluralismo femminile nei media, siamo ancora, incredibilmente, in un desolante medioevo. Che non aiuta neanche le donne normali nella loro vita di tutti i giorni, perché l’informazione dovrebbe rappresentarle e far sentire loro che la loro voce e la loro presenza nella società è imprescindibile e fondamentale. Non, invece, flebile e minoritaria.

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