Una foto a seno nudo, in mutande e con due tubi che le escono dalla pancia. Un’altra foto con il tubo della sacca per l’urostomia che si arrotola attorno ai fianchi. Un’altra foto ancora dove le si vedono solo i piedi e in primo piano c’è la sacca di urostomia piena di urina. L’artista Tracey Emin ha deciso di condividere in forma pubblica gli scatti dei suoi giorni in ospedale e quelli di convalescenza dopo aver subito un intervento chirurgico per asportare un cancro alla vescica a cellule squamose. Ora Emin è “disabile”, come spiega in un’intervista al Guardian, perché sarà costretta a vivere con una sacca per raccogliere le urine per tutta la vita. Ha perso utero, ovaie, linfonodi, parte del colon, uretra e parte della vagina, oltre all’asportazione della vescica.
La 58enne artista inglese nota per la sua affermata attività di pittrice, scultrice, lavori in video, e l’uso di tessuti e circuiti elettronici, aveva inaugurato la sua ultima mostra alla Royal Academy di Londra lo scorso autunno prima che il Covid la chiudesse, per poi riaprirla tra qualche giorno. Ebbene, nel frattempo, ecco la tragedia. Che ora diventa una sorta di performing art esposta in pubblico attraverso gli autoscatti. “Non sto confessando di avere il cancro, non sto confessando di avere una sacca per urostomia. Ho avuto il cancro e ho una sacca per urostomia. È una dichiarazione”, ha spiegato Emin. “Avere una sacca per urostomia è uno svantaggio per molte ragioni ed è qualcosa che la maggior parte delle persone vorrebbe mantenere segreta. È una cosa molto privata perché, fondamentalmente, parte della tua funzione corporea anche se avviene all’esterno del tuo corpo. Potrei essere in pubblico da qualche parte e potrebbe succedere, e le persone potrebbero pensare che me la stia facendo addosso, o che stia bevendo. Altre potrebbero vedermi mentre sto uscendo da un bagno per disabili e non sono lì dentro per il puro gusto di farlo. Quindi non è una questione di performance, e se qualcuno pensa che lo sia, possiamo scambiarci i ruoli d’accordo?”.
Su Instagram, continua Emin, c’è chi le ha suggerito di lasciar perdere e non mostrare questi dettagli in pubblico: “Io ho pensato: fanculo, questa è oramai una parte del mio corpo, è roba mia. Ci sono diversi modi per gestire le cose. Puoi andare in un angolo e rannicchiarti e morire, oppure puoi semplicemente andare avanti. Se parlarne è andare avanti, allora sì, lo farò, perché è molto meglio”. Emin, la cui carriera è iniziata oramai oltre vent’anni fa, ha uno stile “espressionista astratto e grezzo” ma molto evocativo e impattante. Uno dei nuovi dipinti che ha iniziato durante la malattia è la registrazione di un sogno che raffigura sua madre che la trasporta sulla schiena nel mare mosso. Eccola quindi la fusione tra privato ed esposizione pubblica del dramma. Emin, tra l’altro, si identifica con Jackson Pollock perché, come lui, dipinge “dall’interno” della tela, piuttosto che stare al sicuro “fuori” da essa.
Il corrispondente del Guardian conclude il suo incontro con Emin descrivendo un dipinto presente in casa dell’artista proprio per far comprendere come la fusione tra arte e vita sia qualcosa di naturale e autentico: “Appeso nella stanza di fronte c’è il suo dipinto The Ship, un meraviglioso vortice di rosa, bianco e nero che è iniziato come una scena d’amore e si è trasformato in un omaggio a Margate JMW Turner. Entrambi amiamo questo dipinto e posso capire perché si è rifiutata di venderlo dopo che ha sconvolto tutti nello spettacolo estivo di RA dello scorso anno. Guardandolo insieme vedo che non c’è spazio tra Emin che si confessa e la Emin che fa la pittrice. Può raccontare la sua vita in TV o schiaffeggiarla sulla tela e i risultati sono ugualmente potenti. E intende continuare le sue avventure nell’arte e nella vita”.