Nel mondo occidentale, laddove mangiare non risulta essere una preoccupazione se non per una minoranza esigua della popolazione, si rilevano semmai gli effetti negativi di un’alimentazione eccessiva e sbilanciata, causa della maggior parte delle malattie che affliggono la nostra era moderna.

Certamente, con un approccio diverso si potrebbero risolvere queste criticità che, in alcuni paesi, sono vere e proprie emergenze. In occasione della recente Giornata della Terra, che si celebra ogni 22 aprile, sono state diverse le voci che si sono levate a sostegno di una maggiore consapevolezza sulla relazione tra disponibilità di cibo ed equità. La più autorevole, senz’altro, quella di Papa Francesco che ha colto l’occasione per ricordare che le emergenze dei cambiamenti climatici e del coronavirus (Covid-19) non ci permettono di perdere ancora del tempo. Siamo al limite del collasso e del sempre più probabile non-ritorno se non si agirà subito, con decisione e, soprattutto, tutti insieme.

Oggi come non mai, le azioni isolate serviranno a poco, a meno che non si sia già accettato di vivere nel prossimo futuro barricati nelle proprie abitazioni come in un fortino del far-west circondato dagli indiani. La via di uscita sta nell’azione corale, coordinata e, soprattutto, scevra da interessi economici. Al momento non è così e abbiamo già visto, purtroppo, il solito atteggiamento umano poco attento alla solidarietà e agli obiettivi comuni da perseguire. Questa del Covid-19 è una battaglia che si può vincere solo agendo tutti insieme. Anche se invece di battaglia parlerei di consapevolezza, che spesso il genere umano dimostra di non avere. A partire da quei temi che tutti invochiamo ma che poi, al momento di assumere decisioni e stanziare risorse, dimentichiamo, perché c’è sempre un’altra “vera” emergenza da affrontare. Come ci ricorda anche Vandana Shiva, ambientalista e attivista politica, questa pandemia rappresenta un allarme che la Terra ha lanciato all’umanità.

Papa Francesco ce lo ricorda chiaramente: se da questa crisi non usciamo migliori, andremo inesorabilmente verso l’autodistruzione. Vivere in un mondo più pulito, più equo e che si conservi tale è la vera sfida post-pandemia. L’alimentazione giocherà un ruolo strategico in questa rivoluzione. Nel libro di recente pubblicazione dal titolo “Il cibo ribelle” – Terra Nuova edizioni, si mettono bene in evidenza le contraddizioni del mondo moderno, definendo il vero cibo come quello che nutre senza danneggiare l’uomo e la terra. E ognuno di noi può svolgere un ruolo attivo, semplicemente consumando cibo non industriale. In tal modo si agisce sull’ambiente, sull’economia e sulla salute. E si orienta il mercato verso produzioni più sostenibili, con meno chimica e più rispetto per i ritmi e le tradizioni locali.

Sarebbe ora di sfatare il mito che i prodotti agricoli industriali costano di meno, solo perché sul bancone del supermercato leggiamo un prezzo che non è quello reale che tutti noi paghiamo. Tutto il sistema dell’agricoltura industriale è altamente inefficiente, e si regge solo grazie agli incentivi pubblici e ai prezzi tenuti bassi delle fonti fossili. Senza il sostegno diretto dei governi del mondo occidentale, l’intero sistema crollerebbe. Se solo le multinazionali dovessero sostenere i reali costi di produzione e pagare i danni causati dal sovrasfruttamento e avvelenamento dei suoli, tutto il sistema collasserebbe.

Il ruolo dell’agricoltore deve tornare ad essere centrale. Soprattutto nell’ambito delle diverse forme di agricoltura sostenibile, dall’agricoltura biologica a quella biodinamica. E avere attenzione e cura per la terra è propedeutico per star bene con se stessi e gli altri. Un consiglio che darei a tutti è quello di passare delle giornate in aziende agricole biologiche, seguirne i ritmi e soprattutto mettere le mani nella terra.

Siamo in procinto di iniziare l’attuazione del più importante programma di rilancio della nostra economia: nel complesso il Piano nazionale di ripresa e resilienza vale, guardando alla totalità dei progetti, 248 miliardi di euro di cui 235,6 miliardi sono relativi al cosiddetto Next generation Eu con un orizzonte temporale al 2026. Guardando al dettaglio di questi ultimi, 191,5 miliardi andranno al fondo che dà il nome al programma (Recovery fund), 30,6 miliardi al Fondo complementare e 13,5 al programma React-Eu. In questo scenario, le risorse destinate a programmi “aggiuntivi”, cioè al di fuori di quanto già previsto dai programmi di finanza pubblica già in essere, si attestano a 182,7 miliardi, compresa l’anticipazione dei Fondi nazionali di sviluppo e coesione per 15,8 miliardi.

Da non dimenticare però che non tutti sono elargiti a fondo perduto: dei 191,5 miliardi totali, 68,9 miliardi sono sovvenzioni ma 122,6 miliardi sono prestiti, che, prima o poi, bisognerà ridare indietro. Prestiti stimati in base al limite massimo del 6,8% del reddito nazionale lordo in accordo con la task force della Commissione europea. Il primo 70% delle sovvenzioni è già stato fissato (Regolamento recovery fund), mentre la rimanente parte verrà definitivamente determinata entro il 30 giugno 2022 in base all’andamento del Pil degli Stati membri registrato nel periodo 2020-2021.

In definitiva, se non ora, quando mai sarà il momento per dare una svolta al nostro sviluppo che sia veramente equo e sostenibile? Le risorse iniziano ad esserci, usiamole bene.

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