La transizione ecologica, asse portanti del PNRR, si dovrebbe basare sui concetti chiave dell’ecologia; come la capacità portante: il numero massimo di individui di una data specie che le risorse di dato territorio possono sostenere. Arrivate alla capacità portante, le popolazioni si contraggono per tornare a numeri compatibili con le risorse disponibili. Quale è la capacità portante della popolazione italiana? Le tecnologie ci possono aiutare nello spostare verso l’alto l’asticella della capacità portante, ma non possono eliminare il limite.

Gli umani rispondono a questi limiti espandendo il territorio da cui attingere le risorse, conquistando altri territori. Tipo le guerre coloniali. Oppure emigrando verso territori dove la capacità portante non è stata raggiunta. Oppure rallentando i processi riproduttivi. L’Italia è un paese di emigranti. Prima emigravano gli appartenenti a classi sociali di basso livello culturale: abbiamo esportato manodopera in tutto il mondo, dai minatori agli operai generici. Oggi esportiamo laureati. In dieci anni 250.000 giovani hanno abbandonato il paese, trovando collocazione in paesi dove la manodopera qualificata è carente. Per i giovani che restano c’è la disoccupazione (il 30% dei giovani in età lavorativa non ha un lavoro) oppure ci sono lavori sottopagati e precari, nei call center, a distribuire pasti pedalando in bicicletta, oppure facendo interminabili tirocini a 600 euro al mese.

La risposta della popolazione italiana è biologicamente coerente: si diminuisce il tasso di natalità. Il risultato di questa diminuzione, accompagnata dall’emigrazione e dalla mortalità delle classi di età più avanzata, tende a riportare la nostra popolazione nei limiti della capacità portante.

Per qualcuno questo è un dramma che porterà alla scomparsa della popolazione italiana. La soluzione pare sia il supporto alla natalità, con offerte di servizi alle giovani madri che, oggi, una volta messi al mondo i figli, vengono licenziate perché “improduttive”.

Poniamo che questa scelta abbia successo, e che le italiane ricomincino a far figli come un tempo. Mia nonna materna si chiamava Ottavia. Ottava di otto figli. La sua famiglia dalla Garfagnana si è sparsa in California, Illinois, Scozia, Argentina, oppure semplicemente a Genova, dove io sono il primo laureato della stirpe e ho trovato una collocazione decente nel mondo del lavoro, negli anni Settanta-Ottanta, quando eravamo 56 milioni. Ora siamo 60 milioni. Se oggi i giovani laureati emigrano, o sono sottopagati, possiamo pensare che, se ci fossero più giovani, i numeri di chi se ne va o lavora per stipendi da fame diminuirebbero? Logica dice che aumenterebbero.

Nel nostro paese il “mondo produttivo” delocalizza le produzioni dove i salari sono bassi e non ci sono leggi che salvaguardano l’ambiente. Se le produzioni non sono delocalizzabili (vedi quelle agricole) si importa manodopera a bassissimo prezzo da paesi ridotti alla disperazione.

Il risultato è un progressivo impoverimento della popolazione. I giovani, oggi, vivono ancora decentemente grazie agli stipendi e alle pensioni dei loro genitori, ma quando questi non ci saranno più il loro potere d’acquisto crollerà. Lo stiamo vedendo già ora. I negozi di qualità media, quelli rivolti alla classe media, stanno chiudendo e sono sostituiti da negozi che vendono merci a bassissimo prezzo, di solito prodotte altrove. Se i salari sono bassi, è normale che si comprino merci di basso valore.

Le soluzioni non sono facili, ma è evidente che, se i nostri giovani laureati trovano lavoro ben pagato in altri paesi, altrove si è in grado di valorizzare la manodopera qualificata. Da noi no.

La capacità portante si esprime con la lettera K, essa si raggiunge con il tasso di crescita, espresso con la lettera r. Gli animali hanno due strategie principali. Quelli a vita lunga e di grandi dimensioni, che investono molto sulla prole in termini di cure parentali, sono a strategia K e le loro popolazioni sono stabili. Crescono fino alla capacità portante e poi si stabilizzano: le nascite bilanciano le morti. Se le nascite sono eccessive, i tassi di riproduzione diminuiscono fino al ritorno alla capacità portante. Gli animali a strategia r hanno vite brevi, fanno tantissimi figli su cui non investono molto: le loro popolazioni vanno incontro a mortalità massive, seguite da natalità altrettanto massive.

Questi sono gli estremi. Ma ci sono molte vie di mezzo. Ai tempi di mia nonna Ottavia la nostra strategia era più spostata verso r, mentre oggi siamo più spostati verso K. Facciamo meno figli, viviamo più a lungo, e investiamo molto sulla prole.

Si sta chiedendo agli italiani di tornare a una strategia r (facendo più figli) pensando che questo possa essere compatibile con una strategia K.

La transizione ecologica, prima di tutto, dovrebbe essere culturale e a quanto pare siamo ancora lontani dall’aver capito i principi dell’ecologia. Mia nonna direbbe che vogliamo la botte piena (tanti figli) e la moglie ubriaca (con una vita prospera). Oltre a illuderci che i misuratori dell’economia possano crescere all’infinito, pensiamo anche che le nostre popolazioni si possano espandere all’infinito. Ovviamente senza tener conto delle risorse da cui dipendono l’economia e il nostro numero.

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