7 anni e 11 mesi di carcere. È la richiesta di condanna formulata dalla Procura di Locri nei confronti dell’ex sindaco di Riace Mimmo Lucano.

È agli sgoccioli il processo “Xenia” sulla gestione dei progetti di accoglienza dei migranti nel piccolo comune della Locride. Oggi è stato il giorno della requisitoria del pm Michele Permunian che ha ricostruito l’inchiesta nei confronti di Lucano, accusato di essere il promotore di un’associazione a delinquere che aveva lo scopo di commettere “un numero indeterminato di delitti (contro la pubblica amministrazione, la fede pubblica e il patrimonio), così orientando l’esercizio della funzione pubblica del ministero dell’Interno e della prefettura di Reggio Calabria, preposti alla gestione dell’accoglienza dei rifugiati nell’ambito dei progetti Sprar, Cas e Msna e per l’affidamento dei servizi da espletare nell’ambito del Comune di Riace”. Per la compagna Lemlem Tesfahun il pm ha chiesto 4 anni e 4 mesi. Mentre il ministero dell’Interno, tramite l’avvocatura dello Stato, ha chiesto un risarcimento danni da 10 milioni agli imputati. Il legale del ministero, intervenuto dopo la requisitoria del pm, ha chiesto una provvisionale di 2 milioni di euro.

La requisitoria è stata aperta dal procuratore Luigi D’Alessio. Pochi minuti in cui il magistrato ha sottolineato “l’enorme rilievo mediatico” che ha avuto l’inchiesta.

“Ma non è stato un processo al nobile ideale dell’accoglienza. – ha ribadito – Non è mai stato nelle intenzioni della Procura contrastare un principio fondamentale che è quello di accogliere le persone che sono in difficoltà”.

Per respingere l’accusa di aver messo in piedi un processo politico, il procuratore capo di Locri ha aggiunto che “l’indagine è nata nel 2016 e ha attraversato diversi governi. Nel corso di questi anni devo dire che mi è capitato di incontrare i massimi rappresentanti di questi governi come l’onorevole Renzi e l’onorevole Salvini. Mai in nessuna occasione è pervenuta al nostro ufficio alcuna pressione su questa indagine che ha riguardato la mala gestio dei progetti di accoglienza. Le vere parti offese sono stati gli stessi immigrati visto che a questi ultimi sono state date le briciole dei finanziamenti elargiti dallo Stato. Quello che ha mosso l’inchiesta è stata una relazione prefettizia”.

Se per il procuratore D’Alessio tutto è partito da una relazione della prefettura di Reggio Calabria, per il pm Michele Permunian “l’indagine ‘Xenia’ trova le sue origini in primis nella denuncia-querela di Francesco Ruga, un negoziante di Riace – spiega – “che, stremato dalle richieste di Capone (altro imputato, ndr) e Lucano di emettere fatture ‘gonfiate’ per vedersi corrisposte le somme dei pocket money, decideva di sporgere querela”.

È lo stesso Ruga che Mimmo Lucano aveva denunciato perché gli mandava messaggi minatori. Il Tribunale del Riesame l’anno scorso aveva spiegato che il commerciante, in realtà, “avrebbe dovuto essere sentito con le garanzie previste dal codice di rito”. In altre parole, oltre a essere “inattendibile” in quanto “pare evidente l’atteggiamento di astio” nei confronti dell’ex sindaco, l’accusatore di Lucano doveva essere iscritto nel registro degli indagati.

E invece la sua testimonianza è stata definita “genuina” dal pm che proprio per la vicenda Ruga contesta a Lucano il reato di concussione.

Quindici in tutto i capi di imputazione addebitati all’ex sindaco di Riace. Lucano è sotto processo pure per abuso d’ufficio, truffa, falsità ideologica, turbativa d’asta, peculato e malversazione a danno dello Stato. Tutti reati per i quali il gip Domenico Di Croce, nell’ottobre 2018, aveva rigettato la richiesta di arresto della Procura sottolineando “la vaghezza e la genericità del capo d’imputazione”.

Solo per il favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e per alcune irregolarità nell’appalto del servizio di raccolta dei rifiuti nel piccolo Comune della Locride, nell’ottobre 2018 il gip aveva disposto i domiciliari per Lucano, poi trasformati in divieto di dimora dal Tribunale del Riesame e ancora dopo annullati dalla Cassazione. Secondo la Suprema Corte, che aveva annullato l’ordinanza di custodia cautelare, non c’erano indizi di “comportamenti” fraudolenti che Mimmo Lucano.

Nell’aprile 2019 la Cassazione aveva ripreso la Procura anche in merito ai “presunti matrimoni di comodo” tra immigrati e cittadini italiani che sarebbero stati “favoriti” dal sindaco. Nel fascicolo del processo, infatti, non c’è un matrimonio celebrato a Riace. L’unico di cui si parla nelle intercettazioni è stato bloccato proprio da Mimmo Lucano. Per questo, secondo gli ermellini, l’accusa “poggia sulle incerte basi di un quadro di riferimento fattuale non solo sfornito di significativi e precisi elementi ma, addirittura, escluso da qualsiasi contestazione formalmente elevata in sede cautelare”.

A contestare, invece, gli altri capi di imputazione, i più gravi, è stato il Riesame di Reggio Calabria quando la Procura di Locri ha chiesto per la seconda volta l’arresto di Lucano. Mentre ancora stamattina il pm ha affermato che Lucano era il “dominus di un sistema che garantiva un importante afflusso di denaro”, infatti, per il Tribunale della Libertà c’era un “quadro indiziario inconsistente” e “un’assenza di riscontri alle conclusioni formulate dall’ufficio di Procura, fondate su elementi congetturali o presuntivi”. Ma anche “erroneità del calcolo effettuato dalla polizia giudiziaria in punto di profitto del reato” e “compendio indiziario parzialmente contraddittorio e non univoco”. In sostanza, non c’erano “condotte penalmente rilevanti e la stabilità della compagine associativa appare indimostrata”.

Anche i calcoli della guardia di finanza, secondo il Riesame, erano sbagliati. All’indomani dell’arresto di Lucano, infatti, la Procura aveva accusato l’ex sindaco di Riace di una truffa “con conseguente ingiusto profitto di 10 milioni di euro”. Per il Riesame, invece, erano semmai di 343mila euro cioè “la differenza tra quanto ottenuto e le spese realmente effettuate”. Nonostante l’ex sindaco di Riace oggi sia sotto processo per una truffa milionaria che per il Riesame non ha commesso, il procuratore Luigi D’Alessio, in un’intervista rilasciata a “Repubblica” all’indomani dell’operazione “Xenia”, aveva parlato di “2 milioni spariti”. “Riteniamo – erano state le parole del magistrato – che Lucano li abbia utilizzati per fini personali. Abbiamo riscontri di grosse spese di viaggi e di beni per la compagna di Lucano, incompatibili con il suo stipendio da sindaco”.

Riscontri e prove però che non sono mai stati portati davanti al giudice Fulvio Accurso che, durante il processo, ha più volte chiesto se c’è traccia, nelle indagini, del fatto che Lucano tendesse a mantenere i migranti a Riace “per lo specifico fine di avvantaggiare sé stesso”. La risposta degli investigatori ha escluso qualsiasi arricchimento dell’ex sindaco: “Se parliamo da un punto di vista economico, no”.

In sostanza, Lucano non avrebbe guadagnato un euro sulla gestione dei migranti che ha trasformato Riace in un “modello di accoglienza”, riconosciuto in tutto il mondo e in grado di salvare un paesino della Locride che si stava spopolando. Non riuscendo a dimostrare il ritorno economico, a processo in corso l’accusa ha cavalcato la tesi che il ritorno di Lucano sarebbe stato di tipo politico nonostante l’ex sindaco abbia sempre rifiutato le candidature che gli sono state offerte: da quella a consigliere regionale a quella per le europee passando per le politiche del 2018.

Poche settimane fa, inoltre, prima della chiusura dell’istruttoria dibattimentale, il pubblico ministero di Locri ha chiesto di acquisire agli atti un recente articolo in cui Lucano annunciava la sua candidatura alle prossime regionali al fianco del sindaco di Napoli Luigi de Magistris.

La richiesta è stata rigettata dal presidente del tribunale Fulvio Accurso perché “sono fatti che non ci riguardano ed estranei al processo”.

Una tesi, quella del “movente politico, che il pm Michele Permunian ha ribadito stamattina quando ha dedicato a questo tema un capitolo intero della requisitoria: “Numerose conversazioni dimostrano in modo netto – ha affermato il pubblico ministero – che l’agire, anche illecito, di Lucano è determinato da interessi di natura politica. In altri termini, non era importante la qualità dell’accoglienza ma far lavorare i riacesi così da conseguire, quale contraccambio, un sostegno politico elettorale”.

“Riteniamo che le conclusioni del pm non si commentano ma si ascoltano per poi replicare quando la difesa prenderà la parola”. Hanno affermato i difensori di Mimmo Lucano, gli avvocati Giuliano Pisapia e Andrea Daqua.

“In ogni caso – aggiungono – riteniamo che il dato emerso dall’istruttoria dibattimentale recepito dalla pubblica accusa diverga, e di molto, da quello che abbiamo recepito noi. Gli esempi sarebbero numerosi ma, in questa sede, basti considerare la testimonianza del Ruga ritenuta, ancora, attendibile dall’ufficio di procura nonostante quanto emerso in udienza nel corso della deposizione del teste. Non condividiamo, dunque, le argomentazioni e conclusioni della pubblica accusa che contesteremo sulla base di quanto emerso, anche documentalmente, nel corso del dibattimento”.

“Alcune accuse sono completamente inventate. – ha commentato a caldo Mimmo Lucano – Il profilo che hanno tratteggiato non corrisponde al mio. Non sono io quello che vogliono fare. La Procura insiste che io ho avuto motivazioni politiche legate a candidature. Quello che non dice il pm è che io non mi sono mai candidato se non al Comune di Riace rifiutando proposte come quella al Parlamento europeo, alle politiche e alle regionali”.

“All’inizio – aggiunge – mi hanno accusato di aver fatto sparire milioni di euro, poi il teorema della Procura è cambiato perché il dibattimento ha dimostrato che non era vero e così hanno ripiegato su motivazioni politiche inesistenti. Vogliono ribaltare la realtà. Detto questo, i fatti dimostrano il contrario e ho sempre fiducia nella giustizia. La richiesta così alta di condanna nei miei confronti è l’ennesima dimostrazione che Riace e il modello che avevamo realizzato fanno paura. È stato un ideale politico che hanno voluto distruggere. Non è un caso che comincia tutto nel 2016 quando l’area progressista apre le porte alla criminalizzazione della solidarietà in Italia e in Europa. Dopo arriva Salvini e completa l’opera. Non è nemmeno un caso che oggi a Riace l’accoglienza ancora resiste e la mission continua senza fondi pubblici e tra mille difficoltà. Questa è la risposta più forte. Oggi, come ci aspettavamo, è stata la giornata della Procura. Ma l’ultimo capitolo di questa storia incredibile si deve ancora scrivere”.

Lo farà il Tribunale di Locri presieduto da Fulvio Accurso che adesso dovrà valutare la richiesta di condanna a 7 anni e 11 mesi di carcere per Mimmo Lucano e la posizione degli altri 30 imputati del processo “Xenia”. Prima però, nella prossima udienza, inizieranno le arringhe della difesa. La sentenza è prevista per settembre.

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