L'inchiesta della Dda di Lecce ha svelato i meccanismi di un' organizzazione che ha fatto sparire almeno 600 tonnellate di rifiuti speciali e pericolosi nelle campagne di Lecce e Taranto. Dal Nord alla Puglia una lunga filiera di soggetti coinvolti nello smaltimento illegale
Un mondo di mezzo fatto di faccendieri vicini alla malavita e imprenditori in apparenza “puliti”: era nelle loro mani l’ingente traffico di rifiuti speciali e pericolosi che aveva il suo terminale nelle campagne delle province di Lecce e Taranto. Il Salento come El Dorado della monnezza proveniente dal Nord e dal Sud, quando il mercato di sbocco cinese si è fatto difficile. “Così si lavora a fare Black, a nero…senti a me”, spiegava in una telefonata alla moglie Roberto Scarcia, 66 anni, di Taranto, ritenuto dagli inquirenti al vertice del gruppo pugliese smantellato all’alba in seguito alle indagini della Direzione distrettuale antimafia di Lecce. È quella intercettazione ad aver dato il nome all’operazione, “All Black”, perché tutto era in nero: i trasporti su e giù per l’Italia, gli sversamenti abusivi, le carte fasulle, le società inesistenti, persino i permessi clonati da altre imprese. Nessun titolo autorizzativo, nessun sito idoneo per la gestione di rifiuti: Scarcia lo aveva anche ammesso alla consorte, nella telefonata del 28 dicembre 2018, dopo l’incontro avuto in Calabria con chi gli aveva proposto la conoscenza di “persone calabresi piantate a Padova…figli di puttana eh…” capaci di far sparire ingenti quantitativi di spazzatura.
Tredici gli arresti. Le accuse a vario titolo sono di associazione a delinquere finalizzata al traffico illecito di rifiuti su tutto il territorio nazionale e riciclaggio. Su richiesta del pm Milto De Nozza, il gip Alcide Maritati ha disposto la custodia cautelare in carcere, oltre che di Scarcia, anche dei tarantini Luca Di Corrado, 41 anni, e Davide D’Andria, 51 anni; di Francesco Sperti, 56 anni, di Manduria; Claudio Lo Deserto, 66 anni, di Lecce; Oronzo Marseglia, 57 anni, di San Vito dei Normanni; Palmiro Mazzotta, 74 anni, di Surbo; Luca Grassi, 48 anni, di Lecce; Salvatore Coscarella, 76 anni, di Cosenza; Nestore Coseglia, 55 anni, di Mariano di Napoli. Ai domiciliari Biagio Campiglia, 42 anni, di Salerno; Franco Giovinazzo, 51 anni, di Reggio Calabria; Antonio Li Muli, 51 anni, di Palermo. Sono 44 in tutto le persone fisiche e una società, la N.D.N. Ecorecuperi srl di Caserta, ad essere state iscritte nel registro degli indagati.
Un mosaico complesso quello svelato dall’inchiesta. La prima tessera è stata messa in Piemonte, dove nel maggio 2018 è stato sequestrato un autotreno che aveva sversato scarti di vario genere nelle campagne di Lombardore. Il lavoro dei carabinieri del Noe di Torino ha portato, poi, nel sud della Puglia, dove l’indagine si è distinta in due filoni, tra loro intrecciati: il primo ha riguardato il versante leccese, scandagliato dal Noe di Lecce, al comando del tenente colonnello Dario Campanella; il secondo la provincia tarantina, con le indagini del Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria delle Fiamme Gialle di Taranto, guidato dal tenente colonnello Marco Antonucci.
Intercettazioni, appostamenti, pedinamenti hanno permesso di ricostruire l’intera filiera dello smaltimento illegale, dai luoghi di produzione del rifiuto al trasporto fino all’occultamento. I camion viaggiavano solitamente di notte, per arrivare a scaricare alle prime ore del mattino. Cave, terreni agricoli e capannoni industriali i luoghi privilegiati in cui tombare gli scarti o incendiarli per far posto ad altri. Luoghi appartati, ovviamente, ma non distanti dalle grandi arterie viarie: Lecce, Surbo, Mottola, Taranto, San Giorgio Jonico, Grottaglie, Mola di Bari. Le istruzioni agli autotrasportatori venivano date al telefono: “C’è un bel capannone, si entra, si va in una strada di campagna no…non vede un cazzo nessuno”, è riportato in un’intercettazione. Sono 28 gli episodi documentati dalle forze dell’ordine, per un totale di circa 600 tonnellate, di cui almeno 142 pericolose, smaltite illegalmente: scarti urbani e industriali, plastiche, gomme, ingombranti, guaine catramate e fanghi, per la gran parte provenienti da un sito autorizzato a Sparanise (Caserta). Le immagini immortalate dall’alto durante i sorvoli di finanzieri e carabinieri restituiscono paesaggi ostili: masserie trasformate in discariche, cave annerite come fossero crateri lunari. Il danno ambientale è incalcolabile.
L’architettura del sistema dice di affari spregiudicati. Stando alle indagini, inizialmente, i presunti faccendieri leccesi e tarantini hanno offerto siti di smaltimento inesistenti ad una società di intermediazione piemontese, non iscritta all’albo dei gestori di rifiuti. Tali broker avrebbero curato i contatti con aziende che gestiscono impianti di trattamento nel Torinese e nel Bresciano. Troppi, però, i rischi nell’affrontare viaggi così lunghi in maniera completamente illegale. Questo ha fatto inasprire i contrasti, tanto da portare alla scissione dell’organizzazione e a indurre il gruppo pugliese a tagliare i ponti con Torino e cercare più vicino. Le nuove rotte della monnezza, a quel punto, sono diventate quelle che da Caserta e Reggio Calabria hanno portato fino al Salento. Per la Dda, ad agevolare questa nuova direttrice c’era anche la “vicinanza di Scarcia ad ambienti della malavita organizzata calabrese e campana (come emerge da alcune intercettazioni)”.
Secondo il gip, i componenti del gruppo (Scarcia in veste di capo; i presunti esecutori dei suoi ordini, D’Andria e Di Corrado; i cosiddetti “prestatori d’opera abituali”, cioè Marseglia, Giovinazzo, Sperti, Mazzotta, Grassi e Lo Deserto) non avevano “alcuna remora derivante dal fatto di sapere perfettamente che il loro operato fosse sotto la lente d’ingrandimento degli organi inquirenti, attesi i numerosi interventi di Polizia giudiziaria e i relativi sequestri operati in loro danno”. Ancora “più rimarchevole”, poi, appare la responsabilità dei “mediatori” professionali e dei gestori di imprese operanti nel settore, “avendo essi consapevolmente e reiteratamente piegato la propria professionalità a pratiche illegali per lucrare, in danno dell’ambiente e della salute pubblica, somme di denaro”.