Le chiamate al 1522, il numero di pubblica utilità contro la violenza sulle donne e lo stalking, sono aumentate del 79,5% nel corso del 2020: 15.128 contro le 8.427 del 2019. A comunicarlo è l’Istat, presentando lo studio “Le richieste d’aiuto durante la pandemia” che ha analizzato i numeri del servizio telefonico, dei centri antiviolenza e delle case rifugio nel corso dell’anno solare. Il boom nei contatti è iniziato dalla fine di marzo, con picchi ad aprile (+176,9% rispetto allo stesso mese del 2019) e a maggio (+182,2 rispetto a maggio 2019), nonché – per effetto della visibilità mediatica del tema – in occasione del 25 novembre, la giornata dedicata al contrasto alla violenza di genere, che sembra agire sulle vittime – spiega l’istituto di statistica – come “effetto motivazionale” nella ricerca di un supporto esterno. Nel 2020 il relativo picco, presente ogni anno, è stato decisamente più visibile: nella settimana tra il 23 e il 29 novembre del 2020 le chiamate sono più che raddoppiate (+114,1% rispetto al 2019).
I profili delle vittime – Gli abusi segnalati, si legge nel report, nel 47,9% dei casi sono di tipo fisico. Quasi tutte le utenti, però, dichiarano di aver subito più di una forma di violenza, tra cui emerge quella psicologica (50,5%). Aumenta la quota di donne under 24 anni (11,8% nel 2020 contro il 9,8% nel 2019) e di quelle over 55 (23,2% contro 18,9%). Riguardo gli autori, crescono le violenze da parte dei familiari (18,5% contro 12,6% nel 2019) mentre restano stabili quelle riferibili ai partner (57,1%). La casa si conferma il teatro principale degli episodi: dal 2013 al 2020 il 75% delle vittime indica le mura domestiche come il luogo dove si consuma l’atto violento. Il canale di contatto preferito rimane il telefono, ma crescono anche le richieste di aiuto arrivate alla chat dedicata: da un anno all’altro questa modalità passa da 683 messaggi a 2.361, con un incremento del 71%. Il più delle volte a rivolgersi al servizio sono le stesse vittime, ma non sono rari i casi in cui a segnalare gli episodi sono parenti, amici, conoscenti od operatori dei servizi sul territorio: le segnalazioni di questo tipo crescono di più dell’80%, passando da 745 chiamate a 1.348.
I Centri antiviolenza – Nei primi 5 mesi del 2020, segnala ancora l’Istat, sono state 20.525 le donne che si sono rivolte ai Centri antiviolenza (Cav), con differenze territoriali molto accentuate. In particolare, a fronte di una media di 73 donne accolte per ogni struttura, il dato sale a 108 nel Nord-est e a circa 95 nel Centro Italia, mentre i centri al Sud e nelle isole hanno accolto rispettivamente una media di 43 e 47 donne. Anche negli anni scorsi, specifica la relazione, il Mezzogiorno presentava una media minore di donne accolte rispetto alle altre ripartizioni territoriali. E nell’8,6% dei casi gli episodi hanno avuto origine da circostanze dovute alla pandemia (convivenza forzata, la perdita del lavoro da parte dell’autore della violenza o della donna). Dopo il calo di accessi dovuto al lockdown, il 78,3% dei Centri dichiara di aver trovato nuove strategie di accoglienza, mentre solo sei strutture hanno dovuto interrompere l’erogazione. Nella quasi totalità dei casi (95,4%) i Cav hanno supportato le donne tramite colloqui telefonici, nel 66,5% hanno utilizzato l’email, nel 67,3% i colloqui si sono svolti in presenza nel rispetto delle misure di distanziamento.
Le case rifugio – Per quanto riguarda le case rifugio, nei primi 5 mesi del 2020 sono state ospitate 649 donne, -11,6% in meno rispetto allo stesso periodo del 2019. Questo tipo di ospitalità – spiega l’Istat – ha risentito più degli altri della situazione emergenziale, dal momento che, per evitare di mettere in pericolo le donne già residenti nelle Case, le operatrici hanno adottato altre strategie come l’ospitalità in bed and breakfast o in altre collocazioni provvisorie, rese disponibili anche con il supporto delle Prefetture. Le strutture hanno, infatti, segnalato più spesso dei Cav la difficoltà a organizzare l’ospitalità delle donne e a trovare nuove strategie (nel 55,3% dei casi). Per il 6% delle donne accolte, le operatrici hanno segnalato che è stata la pandemia ad avere rappresentato la criticità da cui ha avuto origine la violenza.