Una strana coincidenza. Proprio ieri stavo guardando in Rete un’intervista molto interessante a Battiato (Franco Battiato – Le nostre anime), nella quale lui ripercorre la sua vita e la sua carriera artistica. Giusto oggi apprendo la terribile notizia della sua morte. Resto di sasso: è una di quelle perdite che difficilmente riesci a metabolizzare. Lo stesso effetto fecero su di me le morti di Kurt Cobain, David Bowie, Chris Cornell e Pino Daniele. La scomparsa di quest’ultimo e di Battiato mi toccano profondamente, perché riguardano le mie origini, per metà siciliana e l’altra partenopea.
In realtà, la morte di Battiato era già nell’aria: si sapeva della sua malattia, del suo ormai irreversibile decadimento fisico e mentale, ma resta comunque una perdita difficile da accettare.
Per me oggi, e per tanti altri (non tutti, alcuni detrattori, forse vittima di un inconsapevole antisicilianismo, lo giudicano con arrogante distacco, in ogni caso con colpevole superficialità) è un giorno di lutto per la musica e la cultura italiana, direi per la musica tutta. Battiato è stato un artista che ha attraversato 50 anni e più di storia della musica, sperimentando e contaminando stili e generi differenti: dall’avanguardia all’elettronica, dal progressive al rock, dal pop alla musica sacra.
Ha raggiunto il grande successo con La voce del padrone (1981), uno dei dischi più importanti della storia della musica italiana e il primo ad aver superato il milione di copie vendute.
Battiato è stato un artista poliedrico, che si è cimentato anche in opere liriche, nella pittura, nel cinema, nell’incessante, e fortunatamente mai conclusa, ricerca filosofica e spirituale di un “centro di gravità permanente”. L’incontro con il compositore tedesco Stockhausen, la scoperta della meditazione, lo studio delle filosofie orientali e della mistica sufi fanno di Battiato un artista unico nel nostro panorama musicale. Il suo è stato il percorso artistico e intellettuale di un uomo che ha cercato di unire il cielo e la terra, la cultura alta e bassa, il sacro e il profano.
Il ricordo che ho di Battiato è strettamente legato all’ascolto di un disco atipico della sua produzione, Come un cammello in una grondaia (1991), registrato negli Abbey Road Studios (gli stessi dei Beatles e dei Pink Floyd!), album nel quale il grande artista siciliano, dopo la parentesi pop di fine anni Settanta e degli anni Ottanta (di album straordinari come L’era del cinghiale bianco, Patriots, La voce del padrone e L’arca di Noè) cerca di misurarsi, passando attraverso Fisiognomica (1988), con la musica sacra, “mistica” e con la musica classica (Wagner, Brahms, Beethoven). Memorabile l’incipit di quell’album, con un brano magnifico, la toccante e attualissima Povera Patria. Un brano che tocca corde profonde della nostra anima, la innalza e nobilita fino ai livelli più alti. Avrà inizio poi con un disco eclettico e geniale come L’ombrello e la macchina da cucire (1995) la feconda collaborazione col filosofo Manlio Sgalambro, anche lui siciliano.
Seguono altri due album, L’imboscata (1996) e Gommalacca (1998), straordinari esempi di contaminazione tra musica rock, pop e citazioni colte. Conclude la sua attività artistica con Torneremo ancora (2019), registrato con la Royal Philharmonic Orchestra di Londra e contenente l’evocativa traccia omonima e il rifacimento, in chiave orchestrale e sinfonica, di suoi vecchi classici.
Con la sua scomparsa il “Maestro” (così viene chiamato, con un misto di affetto e devozione) ha lasciato un vuoto incolmabile, ma la sua musica, fortunatamente, è destinata a restare per sempre.