Il prete dei poveri e degli sfruttati. Il prete anti-bombe, che organizzava e partecipava a marce pacifiste e si schierava senza paura contro i potenti. Don Albino Bizotto, 81 anni, padovano, fondatore dei “Beati i costruttori di pace”, è stato vessato, taglieggiato, turlupinato per anni da una banda di nomadi che nella sua generosità aveva evidentemente trovato una fonte di guadagno. Alla fine, il sacerdote, dopo aver sborsato a fini caritatevoli circa 370mila euro, rimasto senza soldi, ha deciso di presentare una denuncia alla guardia di Finanza. E così è scattato il blitz.
Una settantina di militari del Comando Provinciale di Padova, al termine di una indagine durata per mesi, su delega della Procura, hanno eseguito un’ordinanza nei confronti di 11 persone di etnia sinti nelle province di Padova, Venezia e Vicenza. Sei di loro sono finite in carcere, per quattro è scattato il divieto di dimora nei comuni del Veneto e per l’undicesimo è stato disposto l’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria. Il provvedimento è stato emesso dal giudice per le indagini preliminari Domenica Gambardella, su richiesta del pubblico ministero Giorgio Falcone, titolare dell’indagine. I reati contestati sono la circonvenzione di incapace e la tentata estorsione ai danni di don Bizzotto, che è presidente dell’associazione di volontariato che ha sede a Padova. Contemporaneamente sono state eseguite decine di perquisizioni nei confronti degli indagati, a vario titolo, anche per i reati di atti persecutori e violazione di domicilio.
A presentare la denuncia è stato don Bizzotto. Le indagini sono state condotte dai finanzieri della Compagnia di Cittadella che hanno ricostruito una serie di ripetute e insistenti richieste di denaro che il gruppo ha messo in atto, riuscendo a farsi consegnare, in due anni, una somma complessiva di 370mila euro, sia in contanti sia con la ricarica di carte prepagate.
L’operazione è stata denominata “ricatti e bugie”, due termini che danno l’esatta idea delle pressioni a cui l’ottantenne sacerdote è stato sottoposto. “Come emerso dalle intercettazioni telefoniche, gli indagati hanno sistematicamente manifestato al prete esigenze e stati di bisogno del tutto inesistenti, non mancando di promettere invano la restituzione delle somme ricevute. – scrive la Finanza in un comunicato – Le continue e pressanti richieste di denaro, sia presso la sede dell’associazione in presenza del prelato, sia mediante l’effettuazione di circa 14mila telefonate nell’intervallo temporale compreso tra i mesi di luglio 2018 e luglio 2020, hanno trascinato la persona offesa in un perdurante stato di ansia”. Un numero imponente di telefonate, un autentico incubo.
Per questo è stata formulata l’ipotesi di circonvenzione d’incapace. I malviventi ne hanno approfittato, adottando “un copione ben rodato, costituito da menzogne”. Raccontavano a don Bizzotto di inesistenti disgrazie familiari, incidenti stradali, vicissitudini giudiziarie, “volte a muovere a compassione l’interlocutore, animato esclusivamente dallo spirito caritatevole di aiutare il prossimo, facendogli credere che l’unica soluzione percorribile fosse rappresentata dall’elargizione di somme di denaro”.
Quando don Bizzotto non ha più avuto la possibilità di far fronte alle richieste, gli indagati sono passati alle minacce, arrivando al punto da simulare intenzioni suicide. In questa seconda fase non sono più riusciti a farsi consegnare il denaro, visto che don Bizzotto non ne aveva più la disponibilità. Il Comando provinciale della Finanza di Padova ha dichiarato: “L’attività di servizio testimonia la costante azione nel contrasto dei reati contro la persona e il patrimonio, a tutela delle fasce più deboli della popolazione, consentendo, in questo caso, all’associazione di volontariato, attiva da oltre trent’anni nell’assistenza e nel sostegno ai più poveri e bisognosi, di poter continuare a rendere il prezioso servizio per la collettività al riparo dalle azioni di individui spregiudicati”.