A quanto pare non è ancora finita, da poco rimesso in funzione l’oleodotto statunitense Colonial pipeline sta incontrando di nuovo problemi. In particolare sarebbe fuori uso il sistema di comunicazione che consente ai clienti di gestire le loro forniture di benzina e gasolio. Il flusso nell’oleodotto è stato temporaneamente interrotto. L’inconveniente arriva a pochi giorni dal riscatto di 5 milioni di dollari pagato al gruppo di criminali informatici “Darkside” che avevano bloccato i sistemi operativi di fatturazione attraverso un software malevolo. Un cosiddetto ransomware che “sequestra” i dati criptandoli e rendendoli quindi inutilizzabili. L’unico modo per “liberali” è ottenere una chiave che permetta la decriptazione. Oppure quello di mettere in atto una serie di procedure che consentono il riavvio da zero dei sistemi. Una soluzione che dev’essere però predisposta anzi tempo cosa che Colonial pipeline non sembra aver fatto.

L’oleodotto è il più importante degli Stati Uniti e serve tutta l’area Nord Est del paese rifornendola con il 45% dei carburanti che utilizza. Durante i giorni del blocco migliaia di distributori di benzina sono stati costretti a chiudere a causa dell’esaurimento delle scorte. Il prezzo della benzina è tornato sui valori più alti dal oltre 6 anni. Non è raro che il pagamento di un riscatto non risolva del tutto le conseguenze di un attacco informatico di questa natura. A volte le chiavi fornire dai ricattatori non funzionano o funzionano solo in parte. Zone del sistema infettate possono continuare a dare problemi, quello che sembra stia accadendo a Colonial Pipeline. La società ha affermato in una nota di “essere al corrente del problema e di essere al lavoro per risolverlo”. Non sono state però fornite indicazioni sui tempi.

La settimana scorsa la Casa Bianca ha varato un pacchetto di interventi per rafforzare la sicurezza informatica del paese, stanziando a tal fine 10 miliardi di dollari, una cifra che potrebbe essere ulteriormente alzata.

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