Inedita mobilitazione dei lavoratori del piccolo Stato che inviano al Pontefici una petizione per esprimere le loro perplessità. La stretta sulle buste paga è arrivata per far fronte al deficit delle casse vaticane. Ma i dipendenti rimarcano come i veri sprechi siano altrove, i manager esterni arrivano a guadagnare anche 25mila euro al mese
Durissima protesta dei dipendenti vaticani per il taglio degli stipendi voluto da Papa Francesco. I lavoratori della Santa Sede contestano il provvedimento deciso per arginare il deficit della Santa Sede che, nel 2021, si prevede possa essere di 49,7 milioni, “pesantemente influenzato dalla crisi economica causata dalla pandemia di Covid-19”. In una petizione senza precedenti inviata a Bergoglio, i dipendenti esprimono “rammarico e profondo scoraggiamento” per la decisione del Pontefice, denunciando “le incoerenze che comunque permangono nel Vaticano e che rendono questo provvedimento troppo sbilanciato a discapito dei lavoratori onesti”. Per i dipendenti dello Stato più piccolo del mondo “il ‘futuro sostenibile’ è un traguardo difficilmente raggiungibile nell’immediato. Volerlo fare nel breve termine non può che comportare un intervento troppo invasivo sui diritti dei lavoratori, privandoli dei benefici di cui già limitatamente godono”.
E aggiungono: “Il blocco delle assunzioni (con inevitabile sovraccarico degli impiegati già in servizio), la sospensione di promozioni e passaggi di livello funzionali (nonostante le accresciute responsabilità lavorative), il mancato pagamento delle ore di lavoro straordinario, il recupero gratuito delle ore spese obbligatoriamente in casa nel periodo del lockdown con impossibilità di lavorare in smart-working, e ora il taglio degli scatti biennali di anzianità, non fanno che aggravare le condizioni di lavoro dei dipendenti vaticani. Non possiamo fare a meno, Santità, di citare il concetto di ‘giusta ricompensa’ di cui si parla nel Vangelo di Matteo (Mt 20, 1-16) o ‘la debita mercede’ cui si fa riferimento in Ger 22,13 o Gc 5,4. Quanto dovremo sacrificarci ancora per pagare un deficit di bilancio che non deriva certo dal nostro malfatto?”.
I dipendenti sostengono, inoltre, che “gli scatti di anzianità dovrebbero compensare tutto ciò che il Vaticano, rispetto ad aziende private, non contempla (bonus produttività, promozioni in base agli obiettivi raggiunti, sistema meritocratico di selezione e crescita professionale, ecc.). Crediamo che l’attuale contesto non si presti ad accogliere interventi così radicali, almeno fintantoché non verranno messi in atto cambiamenti lungimiranti e perspicaci, in grado di trasformare la struttura nel profondo. Con grande amarezza dobbiamo constatare che molte delle proposte di riforma avanzate dal Consiglio per l’economia circa le risorse umane non sono state seriamente considerate. Pensiamo di essere in linea con Vostra Santità nell’appellarci ai principi della dottrina sociale della Chiesa, tra cui il rispetto della dignità del singolo e la promozione di una società giusta, per chiedere la sospensione di alcuni di questi provvedimenti restrittivi del personale, soprattutto la reintegrazione dei bienni con effetto retroattivo.
Non si può non tener conto, peraltro, delle difficoltà economiche che le famiglie di oggi sono chiamate a fronteggiare a causa della pandemia. Continuando in questa direzione, Santità, il sistema diventerà sempre più privativo, anti-meritocratico e disincentivante. Secondo le più elementari teorie della psicologia del lavoro, queste strategie non solo non ripagano nel lungo periodo, in termini di motivazione, soddisfazione personale e produzione, ma sono un boomerang a livello di rendimento”. Nella loro petizione, i lavoratori della Santa Sede individuano principalmente tre criticità. La prima riguarda la disparità di trattamento. “Molti dicasteri – denunciano i dipendenti – hanno continuato ad assumere personale, a concedere livelli funzionali e a pagare straordinari. Altri, invece, hanno completamente bloccato la crescita del personale, sotto tutti gli aspetti, mantenendolo perfino allo stato in cui lo si è assunto diversi anni prima. All’interno di uno stesso ente, peraltro, risultano evidenti disparità di trattamento verso gli impiegati che non sono più tollerabili”.
La seconda criticità riguarda i privilegi da abolire. Per i lavoratori della Santa Sede, infatti, “il vero problema è che il Vaticano è basato su un sistema di privilegi che risultano deleteri sia a livello economico che reputazionale. Un capitolo a parte merita l’analisi del trattamento di cui sembrerebbero beneficiare i manager laici, i cui presunti contratti ‘fuori parametro’ non smettono di destare stupore, variando dai 6mila ai 10mila fino ai 25mila euro mensili. Troppo, per un sistema come il nostro, che dovrebbe basarsi sullo spirito di ‘servizio alla Chiesa’. A nostro parere, occorrerebbe un approfondimento in merito ed eventualmente una riforma. Ciò che è più grave, in riferimento al motu proprio, è l’esclusione delle categorie più agiate dalla decurtazione degli stipendi nonostante il riferimento, all’interno della lettera apostolica, a criteri di ‘proporzionalità e progressività’.
Infatti, i livelli C2 e C3 dei manager laici non sono stati inseriti. Inoltre, alcuni di essi sono inquadrati come art. 11, quindi esclusi. Proprio perché beneficiari di contratti decisamente onerosi per lo Stato Vaticano, anch’essi dovrebbero essere interessati dalle nuove disposizioni, in quanto operanti in territorio vaticano in questo momento storico così infelice. Inoltre, i livelli C e C1 sono interessati solo per quel che concerne la quota base dei loro stipendi. Quindi, per esempio, se un manager guadagna 10mila euro al mese ed è inquadrato al livello C1, la riduzione del suo salario verrà applicata non all’intera somma, ma solo ai circa 3200 euro che rappresentano la paga base. Facendo qualche rapido calcolo in termini percentuali, non si riesce a vedere alcuna proporzionalità”.
E domandano: “Per cosa stiamo pagando, Santità? Per le casse dell’Obolo destinato ai poveri, per aumentare gli stipendi ai dirigenti laici o per le costosissime consulenze esterne di cui si servono regolarmente? Peraltro, questi manager possono contare su una serie di vantaggi eccezionali. In primo luogo, essi occupano splendidi appartamenti dell’Apsa, posizionati nelle zone più prestigiose di Roma, senza corrispondere alcun affitto all’Amministrazione in questione (si potrebbe fare un calcolo delle mancate entrate da affitti per gli immobili occupati per ‘privilegio’) e senza farsi carico di alcuna spesa di ristrutturazione, contrariamente a noi impiegati che paghiamo tutto. Oltre alla gratuità dell’affitto vorremmo menzionare macchine per uso privato, sconti sugli acquisti, segretari ad essi dedicati, rimborsi spese di varia natura”.
Infine, l’ultima criticità individuata riguarda le modalità della decisione papale. “Non si può fare a meno – scrivono i lavoratori – di mostrare amarezza di fronte alla modalità con cui i superiori della Segreteria per l’economia hanno deciso di raggiungere tale obiettivo così mortificante per i dipendenti, senza interpellarli in alcun modo e permettere loro un contraddittorio. Sacrificarsi per un bene comune va bene, a condizione che lo si faccia in proporzione alle possibilità economiche del singolo e dopo aver risolto le enormi criticità che caratterizzano l’intero sistema e che lo inducono a sprecare molto denaro”. Da qui le richieste rivolte al Papa, tra cui quella di incontrare una piccola delegazione di lavoratori: “Nel ribadire la necessità di creare un sistema più incoraggiante e meno punitivo per i dipendenti vaticani, che passi attraverso una seria riflessione sulle risorse umane e l’implementazione di una riforma strutturale, siamo a chiedere, Santità, la reintroduzione dei bienni in tempi brevi con effetto retroattivo e conseguente sterilizzazione degli effetti sulla pensione nonché un rigido inquadramento salariale dei dirigenti laici entro limiti ben precisi, coerenti con lo spirito di servizio e sacrificio cui ci si appella sempre rivolgendosi a noi impiegati”.