L'uomo sarà interrogato anche per l'uccisione dei genitori. In carcere con l'accusa di omicidio, occultamento e vilipendio dei cadaveri, l'ex ragazza del figlio della coppia, Elona Kalesha
Il 33enne Taulant Pasho, figlio dei coniugi albanesi i cui cadaveri fatti a pezzi sono stati scoperti in quattro valigie lo scorso dicembre lungo la superstrada Firenze-Pisa-Livorno, all’altezza della recinzione perimetrale del penitenziario di Sollicciano, è stato estradato martedì 18 maggio, dalla Svizzera all’Italia. La richiesta era stata inoltrata alle autorità elvetiche dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Firenze.
Pasho è stato trasferito a Como da un carcere elvetico dove era recluso dall’ottobre scorso per furto con scasso e violazione di domicilio, per una condanna definitiva a 3 anni e 4 mesi per detenzione di sei chili di hashish in un garage a Firenze, arrivata il 19 dicembre 2019, e non per l’inchiesta aperta per l’omicidio dei genitori.
L’estradizione, però, permetterà ai pubblici ministeri fiorentini di interrogare Taulant Pasho sulla scomparsa dei genitori, Shpetim e Tauta Pasho, avvenuta nel novembre 2015 da un’abitazione del capoluogo toscano. Con l’accusa di omicidio, occultamento e vilipendio dei cadaveri dei due coniugi, lo scorso 22 dicembre è stata arrestata l’ex fidanzata del 33enne, la 36enne di origine albanese, Elona Kalesha. Il fratello di lei, Denis Kalesha, e lo stesso Pasho sono accusati degli stessi reati in concorso con la donna. Per lei, due giorni fa, il gip del tribunale di Firenze, Angelo Pezzuti, ha respinto la richiesta di revoca della misura cautelare avanzata dai legali della donna, Federico Febbo e Antonio D’Orzi. Nella richiesta avanzata al gip, i legali della donna, sottolineavano, in particolare, come il Dna della 36enne non fosse stato trovato sulle maniglie delle valigie dove erano stati nascosti i cadaveri fatti a pezzi. “La circostanza che non siano state rinvenute tracce riferibili a Elona Kalesha sulle valigie contenenti i corpi delle vittime, se non comporta un aggravamento dell’accusa non è sicuramente idonea a determinarne il venir meno – ha scritto il gip nell’ordinanza – È ben possibile che le tracce si siano semplicemente perse con il decorso del tempo e l’esposizione alle intemperie, che le valigie siano state maneggiate da un complice dell’indagata o, semplicemente, che la stessa avesse dei guanti”.