Sull’indecifrabile governo Draghi passa, come una nuvoletta nera, la nomina come ambasciatore a Singapore di Mario Vattani. Questo nome addensa però dubbi e inquietudini – niente meno – sul Quirinale: controfirmando la scelta, il presidente della Repubblica sorta dalle ceneri del Fascismo sancirebbe l’invio all’estero, come proprio rappresentante, del primo diplomatico di dichiarate simpatie fasciste. Primato poco gradito, per usare un eufemismo, dall’Anpi ma anche da diversi parlamentari che nei giorni scorsi hanno interrogato Di Maio sull’opportunità della designazione uscita dal Consiglio dei Ministri.
Parliamo ancora del “console fascio-rock”, così passato alle cronache giusto dieci anni fa, nelle vesti di Katanga (il suo nome d’arte), partecipò alla testa del gruppo Sottofasciasemplice, sul palco di una kermesse organizzata da CasaPound ricambiando il saluto romano del pubblico. Bandiere nere, “camerata presente!” e così via. E’ stato un caso nazionale di cui la stampa ha parlato per mesi, con decine di interrogazioni e non pochi strascichi in tribunale. Ma Palazzo Chigi sembra ne abbia perso la memoria o volerlo riabilitare.
All’epoca il ministro Franco Frattini, che aveva nominato Vattani “ministro plenipotenziario”, fece spallucce lasciandolo a Osaka da console generale, come nulla fosse. Il successore Giulio Terzi si mise invece di traverso: il 22 gennaio 2012 lo richiamò con effetto immediato a Roma, lo deferì poi alla disciplinare delle feluche che comminò quattro mesi di sospensione dal servizio senza stipendio. Sembrava l’epilogo di una carriera folgorante, ma così non è stato: spenti i riflettori la vicenda finì a carte bollate e poi in niente, tanto che oggi – nell’indifferenza pressoché totale – “Katanga” ottiene un importante incarico all’estero che è l’apice, al momento, della sua carriera come raccontato dal Fatto il 7 maggio scorso.
Vattani reagì da combattente. Impugnò subito al Tar del Lazio sia il richiamo in Patria che la sospensione dal servizio che nel frattempo aveva scontato. Sugli esiti del contenzioso anche la stampa, oggi, contribuisce all’oblio.Nei giorni scorsi (pochi) articoli hanno trattato il caso riferendo che la vicenda si era chiusa perché “la sanzione in seguito fu annullata dal Tar”. Le cose non stanno così.
Nel ricorso sul rimpatrio il ministero si costituì, come logico che fosse, ma la prima sezione (n. 9877/2012) dichiarò improcedibile il ricorso per sopravvenuta “carenza di interesse”, condannando il Ministero stesso al pagamento delle spese di giudizio in favore del ricorrente (mille euro). Dopo aver proposto appello al Consiglio di Stato (n.4195/2013) il ministero inviò poi una nota di rinuncia, con compensazione delle spese. La Sezione Quarta il 19 aprile 2018, in sede giurisdizionale, non poté che dichiarare quel ricorso “improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse“.
Idem per il ricorso relativo alla sospensione dal servizio e dallo stipendio che si risolse il 27 marzo 2019 con un decreto della Terza Sezione del Tar del Lazio che lo dichiarò estinto per “perenzione”, cioè per essere trascorsi più di cinque anni senza che una esplicita richiesta di decisione fosse stata avanzata da nessuna delle due parti. Quella macchia nera non è dunque cancellata, come si vuol far credere, ma resta ed è incisa nel fascicolo personale. Da questi atti pubblici traspare dunque il disinteresse del ministero a farsi valere.
Alla Farnesina lo hanno sempre ricondotto al fatto che Mario Vattani è pur sempre figlio del potentissimo ex segretario generale del Ministero Umberto Vattani, già consigliere diplomatico di Andreotti nonché fondatore e presidente della Fondazione Italia-Giappone. Di sicuro, a distanza di due anni, sembrava già tutto perdonato: a novembre 2014 il fattoquotidiano.it raccontò di una scrivania da 130mila euro l’anno apparecchiata per lui. L’allora direttore generale per le risorse umane Elisabetta Belloni, assurta oggi a capo dei Servizi segreti italiani, lo assegnò al settore “mondializzazione e questioni globali”, con incarico di coordinatore per i rapporti tra Unione Europea e Paesi dell’Asia Pacifico. Se non un risarcimento con le scuse, poco ci mancava.
Segnali di un intenso lavorio interno per trovare una soluzione indolore al “caso Vattani” arrivavano anche dal voltafaccia del sindacato autonomo dei diplomatici (Sndmae).Inizialmente, sull’onda delle polemiche, il sindacato eresse un argine contro il rischio che -recitano i comunicati dell’epoca – venisse “gettata un’ombra sulla fedeltà dei diplomatici italiani ai valori fondanti della Repubblica”. Ma giusto tre anni dopo, il 4 febbraio 2015, Vattani venne eletto membro del Sndmae, in aperta contrapposizione con le posizioni prese allora. Oggi non solo ne fa parte, è membro del collegio di vigilanza.
Così Vattani ha risalito la china, senza abiurare pubblicamente le sue simpatie, Il Fattoquotidiano.it gli offre l’ennesima occasione di farlo, ma la risposta è: “Per il Fatto esiste solo la storiella di 10 anni fa. Sono sempre stato allineato con i valori della repubblica, sulla quale peraltro ho giurato. Se per qualcuno essere Stato nel MSI o nel fronte della gioventù è un errore di gioventù allora non siamo d’accordo”, dice oggi eludendo la questione. E giù titoli e risultati di una carriera sicuramente importante, nonostante quella “storiella”.
“Dal 2011 a oggi ho fatto un sacco di cose, sono stato coordinatore Asia, ho seguito la partnership dell’Italia con organizzazioni dell’oceano Indiano, ho pubblicato due romanzi con Mondadori e un saggio sul Giappone con Giunti. Io di solito amo guardare al futuro e ho una visione positiva delle cose. C’è invece chi continua a ripetere sempre la stessa cosa. Penso sia una forma di depressione”.
Più sconcertati, che depressi, sono ad esempio Laura Boldrini e sei componenti del Gruppo Misto che hanno appena presentato a Luigi di Maio un’interrogazione per chiedere “se alla luce dei fatti esposti non ritenga opportuno avviare una verifica interna per valutare se l’ambasciatore possa, dopo quanto dichiarato, rappresentare il nostro Paese in sede di corpo diplomatico”.
La decisione di spedirlo a Singapore, con tutti gli onori, formalmente ricade oggi sul ministro Luigi di Maio. Deve averla masticata amaro il sottosegretario Manlio di Stefano che dieci anni fa fece fuoco e fiamme sul caso del “console fascio-rock”. E’ agli atti della Camera l’interrogazione in cui afferma “l’incompatibilità tra la rappresentanza dell’Italia e la sua adesione a una politica di estrema destra”. Così Di Stefano oggi: “Passando del tempo è stato riabilitato, mi sembra una cosa abbastanza normale”, dice al fattoquotidiano.it precisando poi “in ogni caso è una decisione del cda della Farnesina, dove io non metto piede, non è una decisione politica”.
Insomma, la scelta sarebbe dei vertici interni al Ministero che assegnerebbero gli incarichi in base a criteri propri di anzianità di servizio, di presenza-permanenza a Roma facendo scalare i posti e assegnando così le varie ambasciate. Il vertice politico entrerebbe in ballo solo sulle grandi ambasciate come Berlino, Bruxelles, New York o Mosca. Sarà vero, ma lo è anche il fatto che quella nomina desta imbarazzo non tanto o solo perché Vattani non ha mai rinnegato pubblicamente il suo credo quanto per il fatto che, nel frattempo, un intero filotto di ministri della Repubblica ha deciso di non decidere: Emma Bonino, Federica Mogherini, Paolo Gentiloni, Angelino Alfano ed Enzo Moavero Milanesi. E infine, Luigi Di Maio. C’erano loro mentre i ricorsi ministeriali morivano per “carenza di interesse”.
E il Quirinale? “Sulla nomina di Vattani non ha nulla da dire”, taglia corto il portavoce di Mattarella dopo aver spiegato che la controfirma alla designazione, solitamente, è un passaggio formale, giacché il governo ha già deciso. In realtà non è proprio così. La prassi consolidata è che una volta individuato il nome di un ambasciatore per una sede estera il Consiglio dei Ministri lo trasmetta alla Presidenza della Repubblica per il gradimento preventivo. Dalla Farnesina fanno sapere che per ora c’è solo la designazione del Cdm, le credenziali per il Capo dello Stato saranno preparate una volta ricevuto il gradimento da parte delle autorità di accreditamento (Singapore) che devono escludere che la persona designata sia ‘non grata’.
Non c’è motivo per cui Singapore debba opporsi, e dunque la scelta finale e delicatissima ritorna nella mani di Mattarella che potrà esercitare la sua “moral suasion” se, prima delle credenziali, agli uffici del Quirinale sarà trasmesso non soltanto lo stato di servizio di Vattani, realmente encomiabile sulla carta, ma se verrà altrettanto adeguatamente rappresentato l’ingombro dei suoi trascorsi e delle esibite nostalgie.
L’Associazione Nazionale Partigiani ribadisce la sua contrarietà: “Mandare Vattani a Singapore è come mettere la volpe a guardia del pollaio – dice il presidente Gianfranco Pagliarulo – . perché a Singapore rappresenta la Repubblica, quella che nel nel famoso concerto promosso da Casapound dieci anni fa Vattani definiva fondata sui valori “degli epuratori, della violenza, del tradimento e sulla lotta armata fatta da banditi e disertori, dinamitardi e bombaroli”.
Singapore poi, dice qualcuno, non è tanto importante ma anche su questo si può discutere. “Non è una sede di primaria importanza, ma considerate l’ampia autonomia concessa agli ambasciatori e l’assoluta mancanza di controlli sul loro operato, viste le premesse del personaggio inadatto a rappresentare l’Italia all’estero, esistono forti dubbi che non ne deriverebbero danni al Paese”, sbotta l’ex ambasciatore Calogero di Gesù che nel 2017 ha tratteggiato il caso Vattani in un libro (Dietro le Quinte della Farnesina, 2017, ristampa 2020), per il quale da allora si batte con Vattani in un’aula di tribunale. L’ultimo, ma non il solo, a ritenere ancora la scelta lesiva dell’onore e prestigio della Repubblica.