Attenzione a scrivere di criptovalute. Perché ancora prima di finire una frase potrebbe essere cambiato tutto. Tanta e tale è la velocità con cui le monete digitali si stanno muovendo in queste ore. La giornata ieri è stata di tempesta, a tratti di panico, con cali del 30, 40 addirittura 50% per valute come digitali come ether o dogecoin, oltre alla più nota e diffusa, il bitcoin. In serata erano partite le campane a lutto con dichiarazioni apocalittiche di molti osservatori. In questo momento però il bitcoin sta recuperando il 40% rispetto ai minimi toccati ieri, il dogecoin ben il 72%. Sono giornate complicate. Ieri le vendite sono scattate dopo l’annuncio della banca centrale cinese che in sostanza ha dato un giro di vite all’utilizzo di questi strumenti di pagamento. Gli scambi sono stati talmente frenetici che molte piattaforme hanno avuto problemi tecnici nella gestione degli ordini.

Nubi di tempesta si addensavano da giorni. In particolare dopo che, lo scorso 13 maggio, il patron di Tesla Elon Musk aveva rinnegato il suo sostegno al bitcoin dopo aver improvvisamente scoperto quello che è noto da anni. Ossia che la produzione di bitcoin (che avviene attraverso complicatissimi calcoli gestiti da schiere di computer) è una fonte di inquinamento. Secondo alcuni studi il “conio” dei soli bitcoin assorbe la stessa quantità di energia di un paese come l’Olanda. Un consumo destinato per di più a crescere, poiché più aumentano i bitcoin in circolazione più difficile diventa produrne di nuovi. L’architettura del sistema prevede infatti che il “conio” rallenti progressivamente sino a quasi azzerarsi dal 2030 in poi. Da quel momento in poi si potranno in pratica usare solo i bitcoin già esistenti.

Non è un caso che anche il titolo di Tesla abbia subito ieri un calo del 2,5%. Così come Coinbase, piattaforma di compravendita di valute digitali quotata a Wall Street dallo scorso 14 aprile, ha lasciato sul terreno il 6%, scendendo fino a 210 dollari, poco più della metà rispetto ai 380 dollari con cui aveva debuttato un mese fa. Com’era facilmente prevedibile, all’apertura odierna dei mercati il titolo è ripartito in forte rialzo.

Ieri sera, nel mezzo della bufera, si leggevano numerose analisi di banche e gestori di fondi che provavano ad indicare quello che dovrebbe essere il valore “corretto” del bitcoin. Le opinioni sul “fair value” andavano dai 20mila ai 500mila dollari. E non mancava chi paventava il prossimo azzeramento delle quotazioni. Il punto è che il valore del bitcoin è fondamentalmente quello di un’idea. Con tutto quello che ne consegue in termini di difficoltà di tradurlo in cifre. E’ l’idea che in futuro ci si affiderà sempre di più ad una “moneta” che offre affidabilità nelle transazioni, pur non essendo gestita e amministrata da nessuna banca centrale o governo. Non è un caso che le criptovalute inizino a diffondersi dal 2008, ovvero dopo che la fiducia nel sistema finanziario tradizionale e nell’operato delle banche centrali viene profondamente scosso dalla crisi globale.

L’assenza di un’autorità che sovraintenda alla moneta è affascinante ma ha anche risvolti problematici. Uno di questi è proprio l’esasperata volatilità (ossia la tendenza ad avere frequenti e marcati cambiamenti di valore) che è stata ulteriormente amplificata dall’introduzione di strumenti di investimenti sulle criptovalute “a leva”. A differenza delle monete tradizionali nessuno può intervenire per arginare vertiginose cadute o rialzi eccessivi. Questa condizione ha sinora impedito al bitcoin e gli altri di affermarsi come reale strumento di pagamento alternativo. Quale venditore accetterebbe una “moneta” che magari dopo poche ore vale la metà? Così i bitcoin per ora rimangono solo prodotti fortemente speculativi. Chi compra lo fa nella speranza che il valore cresca, non per altro. Qualcosa insomma di ben diverso rispetto all’idea iniziale dei misteriosi (o misterioso) creatori. Così personaggi come Elon Musk hanno gioco facile nell’influenzarne l’andamento. Un tweet di 100 caratteri può innescare rialzi o ribassi consistenti nel giro di pochi minuti.

L’incapacità di affermarsi come strumenti di pagamento spiega anche il motivo per cui, tutto sommato, le autorità monetarie hanno chiuso un occhio sulla diffusione delle criptovalute. Se la loro sovranità monetaria fosse stata davvero, anche solo lontanamente, minacciata la controffensiva sarebbe stata molto più decisa e muscolare. Se ne è avuto un assaggio poche settimane fa in Turchia dove la banca centrale ha bandito le operazioni con criptovalute. Per provare a difendere i loro risparmi dalla svalutazione della lira, molti risparmiatori turchi avevano infatti svuotato i loro conti bancari per investire bitcoin. Secondo alcune stime l’esodo dalla lira ai bitcoin ha mosso flussi equivalenti ad almeno 25 miliardi di dollari. Operazioni che hanno acutizzato le sofferenze della lira, innescando la reazione delle autorità.

Negli ultimi mesi sulla giostra digitale sono saliti anche pesi massimi della finanza internazionale, da Bank of America a Goldman Sachs si sono moltiplicati servizi prodotti finanziari legati alle criptovalute offerti alla clientela. La tesi con cui si è cercato di abbellire la logica del “piatto ricco mi ci ficco” è che le valute digitali possano servire per diversificare il portafoglio. Magari rimpiazzando l’oro fisico come prodotto in grado di compensare i cali dei mercati azionari muovendosi in direzione opposta. Ieri è successo esattamente l’opposto. Borse giù, valute digitali giù, oro in rialzo. Nonostante tutto, per ora, quando le cose si mettono male, si presferisci ancora aggrapparsi ad un pezzo di metallo giallo piuttosto che ad un’idea.

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