La maggior parte dei Paesi Ue ha una legislazione che estende i crimini d’odio all’omotransfobia. E in undici ordinamenti degli Stati membri, che diventano 20 se si considerano tutti i paesi del Consiglio d’Europa, non solo si puniscono le discriminazioni sull’orientamento sessuale, ma anche sull’identità di genere. Ovvero proprio quel concetto contro cui, in Italia, si battono le destre, i cattolici e una piccola parte delle femministe. Ad averlo inserito nei loro ordinamenti già da tempo sono invece Paesi come Svezia, Francia, Spagna, Portogallo, Irlanda, Belgio e Croazia. E mentre il disegno di legge Zan è bloccato in Senato, a mostrare il ritardo del nostro Paese è il confronto con quello che avviene oltre confine da almeno dieci anni.
Del resto se l’Unione europea ha iniziato a parlarne già dagli anni 2000, è stato nel 2010 che il comitato dei ministri ha espresso la prima raccomandazione che chiedeva di adottare misure legislative per il contrasto ai crimini d’odio a causa sia “dell’orientamento sessuale” che “dell’identità di genere”. Un vero e proprio spartiacque per la comunità Lgbtqi che però in Italia sta ancora aspettando. Attualmente, come osservato a ottobre scorso dalla commissione Ue, il nostro Paese è tra i sette che non hanno legiferato in materia. E con noi figurano solo Stati come Bulgaria e Repubblica Ceca.
Perché serve anche la tutela dell’identità di genere e quali Stati la prevedono – Prima di tutto è importante specificare che, quando parliamo di orientamento sessuale ci riferiamo alla “attrazione sessuale o affettiva di una persona” che può essere rivolta a persone dello stesso sesso, del sesso opposto o di entrambi i sessi. Mentre l’identità di genere è il concetto che permette di tutelare le persone trans, dove la definizione, usata anche dal ddl Zan, è: “L’identificazione percepita e manifestata di sé in relazione al genere, anche se non corrispondente al sesso, indipendentemente dall’aver concluso un percorso di transizione”. Contro l’introduzione dell’identità di genere nel nostro ordinamento si schierano sia le destre che una parte minoritaria delle femministe (le cosiddette trans escludenti). Attualmente in Europa sono 11 gli Stati che prevedono tutele per le discriminazioni anche per identità di genere: Belgio, Francia, Svezia, Spagna, Portogallo, Grecia, Finlandia, Croazia, Malta, Irlanda e perfino in Ungheria. Da segnalare che la Scozia è stata la prima a citare espressamente le “persone transgender”. Se guardiamo invece al perimetro del consiglio d’Europa (quindi fuori dall’Unione europea), gli Stati diventano 20: c’è il Regno Unito, ma anche la Norvegia che ha avuto una prima legge addirittura nel 1981 e dal 2020 ha incluso per i reati d’odio anche le persone transgender e i bisessuali. Poi altri come Islanda, Albania e Montenegro. Ma anche Bosnia, Macedonia, Kosovo. e addirittura la Georgia.
Inoltre non bisogna dimenticare che il concetto di identità di genere, non solo era già nella raccomandazione Ue del 2010, ma è anche nella Convenzione di Istanbul sulla violenza contro le donne ratificata dal Parlamento italiano nel 2013: in quel trattato, che ha ricevuto il via libera di Camera e Senato, si parlava esplicitamente di tutela delle vittime dalle discriminazioni sulla base, tra le altre cose, di sesso e identità di genere. Una delle argomentazioni più frequenti degli oppositori del ddl Zan è che all’introduzione del concetto di identità di genere ne consegue il via libera all’utero in affitto o gestazione per altri: le due cose non hanno alcun collegamento, oltre a non essere previste dalla legge Zan in discussione in Italia.
Cosa succede in Europa – Sono principalmente due le strade scelte dai vari Stati per punire l’omotransfobia: la previsione di una aggravante o la previsione di specifici reati di discriminazione. In generale (così come propone il ddl Zan) gli interventi non riguardano le opinioni, ma ci si limita a colpire la violenza, l’istigazione a commettere atti violenti e la lesione della dignità delle vittime. A fare un quadro della situazione è Gaynet, associazione che in Italia si occupa di formazione sui temi Lgbt e presieduta dal fondatore di Arcigay Franco Grillini: “Nell’Unione europea i crimini d’odio sono puniti in 22 paesi per orientamento sessuale“, scrivono in uno degli ultimi report, “mentre nell’ambito del Consiglio d’Europa in 28 Paesi“. In Italia, ha spiegato l’avvocata Maria Grazia Sangalli per Gaynet, “il dibattito è arretrato perché altrove si sta discutendo non tanto del se, ma del come offrire una migliore tutela per le persone lgbt“. In generale, in Ue, il “trend è positivo”: “La maggioranza dei Paesi si è attrezzata per garantire una tutela rafforzata delle minoranze sessuali in assenza di normative cogenti sovranazionali” sia con prevenzione, che “con interventi nel diritto penale”. Tanto per avere un’idea, tra i primi ad aver previsto un’aggravante per le discriminazioni basate sull’orientamento sessuale ci sono stati (entro il 2008): Belgio, Danimarca, Spagna, Francia, Paesi Bassi, Portogallo, Romania, Finlandia, Svezia, Regno Unito, Lituania e Irlanda. Poi dal 2012 si sono adeguate: Croazia, Grecia, Ungheria, Malta, Lituania, Slovacchia.
Francia – In Francia la prima legge in materia risale al 2003, quando in carica c’era il presidente di centrodestra Jacques Chirac che sui diritti per la comunità Lgtb si era impegnato davanti alle associazioni: il reato di discriminazione venne così esteso all’omofobia con l’aggravante per i reati o delitti commessi in ragione dell’orientamento sessuale. La pena va da un anno di reclusione a 45mila euro di multa. Già nel 2004 fu fatto un tagliando alla legge e venne aggiunta la circostanza aggravante a carattere omofobo anche alle minacce, al furto e all’estorsione. Ma la Francia non si è fermata lì: nel 2012 è stato inserito accanto all’orientamento sessuale, anche il concetto di identità sessuale. Espressione che poi, nel 2016 è stata corretta con la più idonea “identità di genere”. E questo sia nei relativi articoli dei Codici penali, ma anche nei Codici del lavoro e dello sport e nelle leggi “riguardanti reati o comportamenti motivati da discriminazione”. Inoltre, anche la legge sulla libertà di stampa francese del 1881 è stata estesa ai “reati di provocazione pubblica alla discriminazione, all’odio e alla violenza, di diffamazione a mezzo stampa nei confronti di una persona o un gruppo di persone in ragione del loro orientamento sessuale, vero o presunto e di ingiuria a mezzo stampa o altro strumento di comunicazione rivolta ad una persona o un gruppo di persone per motivi omofobi”.
Uno degli esempi più significativi è quello di Jean-Marie Le Pen, come ha ricordato un’inchiesta di Gaynews: nel 2019 il fondatore del partito di estrema destra del Front National è stato condannato in appello a 2400 euro di multa per aver paragonato in pubblico “omosessualità e pedofilia“. E per aver definito “esaltazione pubblica del matrimonio gay” la presenza del marito di un poliziotto morto in un attacco terroristico alla cerimonia di commemorazione. Però, al tempo stesso, per aver detto che “gli omosessuali sono come il sale nella zuppa, se non ce n’è abbastanza è insipida, se ce n’è troppo è imbevibile”, è stato assolto: in quel caso, ha stabilito il giudice, non c’era incitamento alla violenza. La Cassazione francese inoltre, nel 2018 si è espressa due volte per annullare condanne nei confronti di due politici le cui dichiarazioni, “sebbene oltraggiose”, non hanno superato “il limite della libertà d’espressione”.
Svezia – Tra i più severi in materia c’è la Svezia, considerato uno degli Stati più gay friendly del mondo: qui chi è colpevole di minaccia o disprezzo verso gli omosessuali rischia fino a 4 anni di carcere. Inoltre la discriminazione sulla base dell’orientamento sessuale è stata criminalizzata dal 1987 e quella sull’identità di genere dal 2009. Quest’anno inoltre è stata introdotta, segnala l’associazione Ilga-Europe, anche un’aggravante per la lesione dell’onore. Riguarda la Svezia un’importante decisione della Corte europea per i diritti dell’uomo sulla tutela della libertà d’opinione: nella sentenza Vejdeland ed altri c. Svezia del 9 febbraio 2012, la CEDU ha infatti affermato che “non costituisce ingerenza illegittima nell’esercizio della libertà di espressione condannare chi renda dichiarazioni di incitamento all’odio nei confronti degli omosessuali”. E si specifica: “Il diritto di cui all’articolo 10 incontra un limite invalicabile nel rispetto dei valori fondamentali di una società democratica, quali la tolleranza e il rispetto della reputazione e dei diritti altrui. Pertanto, a condizione che le pene siano proporzionate, è legittimo che gli Stati membri si dotino di una legislazione penale che sanzioni l’omofobia“.
Germania – Il caso tedesco va analizzato su due piani: quello federale e quello statale. Nel primo caso, anche se la legislazione non parla esplicitamente di reato di discriminazione per orientamento sessuale, i report di associazioni e istituzioni riferiscono che le sentenze dei tribunali in caso di omotransfobia infliggono pene più severe. E quindi, a livello giurisprudenziale, si considera un buon livello di protezione. A segnalarlo è anche un’analisi del Servizio studi della Camera: l’articolo 130 del Codice penale tedesco infatti, punisce con la detenzione “colui che, in maniera tale da disturbare la pace pubblica, incita all’odio o alla violenza contro elementi della popolazione o lede la dignità di altre persone attraverso insulti o offese” e “prevede una pena detentiva o una pena pecuniaria anche per chi commette gli stessi illeciti attraverso la diffusione di opere scritte”. E “sebbene il Codice penale non faccia un esplicito riferimento al background omofobico di colui che perpetra il reato, nella definizione data all’articolo 130 rientra anche la discriminazione effettuata in ragione dell’orientamento sessuale“. Per quanto riguarda le aggravanti, “non vi è una esplicita previsione rispetto all’omofobia”, ma un generico richiamo alle” motivazioni e finalità dell’atto oltre che alle convinzioni e agli intenti del reo“. Inoltre molto spesso si fa riferimento a una legge generale “sulla parità di trattamento” che all’articolo 1 prevede come scopo “prevenire o eliminare la discriminazione basata” anche su “identità sessuale”.
Infine, se si considerano i singoli lander tedeschi, sono numerosi quelli che puniscono le discriminazioni per orientamento sessuale: ad esempio Berlino (dove si tutela anche l’identità di genere), Brandeburgo, Turingia. Il piccolo Stato di Saarland quest’anno è stato l’ultimo ad adottare un piano contro omofobia e transfobia lasciando la Bavaria ultimo e unico lander a non essersi adeguato. Di Germania ha parlato nei giorni scorsi Anna Paola Concia, ex parlamentare Pd e tra le femministe che hanno criticato il disegno di legge Zan. Ad Avvenire ha ricordato una aggressione che lei stessa ha subito con la compagna: “Ci hanno gridato ‘per quelle come voi devono riaprire i forni crematori'”, ha dichiarato. “Allora non denunciai. Quell’uomo era un insegnante. Se fosse capitato in Germania, dove oggi risiedo, non sarebbe mai più entrato in un’aula“.
Spagna – Dal 1995 in Spagna i crimini di odio sono stati estesi all’orientamento sessuale o l’identità di genere. Nel codice penale il movente omofobico è considerato un aggravante in vari casi. Ad esempio lo è per i reati di incitazione all’odio e alla violenza contro gruppi e associazioni e di diffusione consapevole di informazioni false e ingiuriose su gruppi e associazioni, commessi anche in ragione delle tendenze sessuali dei loro membri. Si prevede inoltre l’aggravante anche per un funzionario pubblico che discrimina sulla base di orientamento sessuale o identità di genere. Numerose comunità autonome, ad esempio la Catalogna, si sono distinte per aver previsto nella loro legislazione politiche di prevenzione dell’odio su orientamento sessuale e identità di genere. Secondo l’ultimo rapporto dell’Agenzia europea per i diritti fondamentali (FRA), però solo il 16% delle vittime di crimini d’odio in Spagna denuncia e le ong stanno spingendo perché sia fatto un intervento legislativo più coerente e corposo. In questo momento il Parlamento spagnolo sta discutendo una proposta di legge che permette il cambio di sesso solo con l’autorizzazione della persona interessata. Nell’ultimo anno questa legge è stata fortemente osteggiata dalle femministe anti-trans che in parte sono state appoggiate dal partito socialista: la loro tesi è che “l’autodeterminazione del genere” sarebbe una minaccia per le donne. Questa legge nulla ha a che vedere con le disposizioni previste dal ddl Zan in Italia.
Regno Unito – È uno dei Paesi dove gli ultimi report delle associazioni parlano di un aumento molto significativo delle denunce per omotransfobia. Seppur nei testi legislativi non sia prevista una definizione chiara di omofobia, il fenomeno ha rilevanza penale nell’ambito dei cosiddetti hate crime (crimini d’odio). Qui il primo intervento legislativo risale al 1998 con il Crime and Disorder Act quando il governo ha introdotto reati d’odio aventi come bersaglio determinate caratteristiche della vittima, come le opinioni o le inclinazioni personali. Ed è stato con il Criminal Justice Act del 2003 che sono state introdotte le aggravanti se la violenza è commessa sulla base dell’orientamento sessuale. L’atto più significativo risale al 2008 quando si è modificato il Public Order Act che “ha ammesso l’aggravante dell’odio fondato sull’orientamento sessuale ed ha equiparato i relativi reati a quelli ispirati dall’odio religioso o razziale”, fatto salve però, “la nozione di hatred on the ground of sexual orientation“, ovvero la formulazione di “opinioni critiche riferite a determinate condotte o pratiche sessuali, oppure le esortazioni a modificare o a non porre in essere tali condotte o pratiche”.
La definizione di discriminazioni – Il dibattito in Europa è aperto e solo a marzo scorso la presidente della commissione Ue Ursula von der Leyen ha dichiarato l’Ue una “free Lgbt zone“. “Una delle tendenze che accomuna gli ordinamenti Ue”, è una delle riflessioni finali dell’avvocata Sangalli nell’analisi comparata fatta per Gaynet, “è quella di non utilizzare termini come omofobia e transfobia che motivano la condotta e che vengono attribuiti all’autore del reato, con tutti i problemi che può comportare sotto l’aspetto della prova, ma piuttosto di enunciare le condizioni personali protette”. E appunto sia l’orientamento sessuale che l’identità di genere”. Alcuni Paesi, inoltre, specificano addirittura che la condizione della vittima può essere “vera o presunta”. E infine, “in tutti la definizione di discriminazione è molto puntuale e le condotte estremamente circoscritte”. Una tecnica, ha concluso Sangalli, che “sui crimini di odio ha il merito di superare la frammentarietà della definizione di discriminazione e che sembra rispondere meglio alla domanda del come rendere realmente efficace la sanzione penale”. In Europa insomma ci si interroga su come migliorare la protezione, l’Italia è ancora bloccata alla domanda se sia necessario farlo.