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Basket, trent’anni fa il “miracolo” di Caserta che portò lo scudetto al Sud. Marcelletti: “Fu la vittoria degli italiani. Oggi? Quasi impossibile”

Il 21 maggio 1991 la Phonola allenata da Franco Marcelletti espugnò Milano, portando per la prima (e finora unica) volta il tricolore sotto Roma: "Ho fatto qualcosa di bello per la mia terra, con problemi economici e di delinquenza". Le stelle della squadra furono due ragazzi di casa, Gentile ed Esposito: "Erano gli idoli dei giovani". Quest'anno un altro club meridionale, Brindisi, insidia l'Olimpia: "Ma con la legge Bosman è tutto più complicato"

Due giorni dopo lo scudetto della Sampdoria nel 1991, anche nel basket c’è una prima assoluta: la Phonola Caserta vince il campionato. Mai prima e mai più dopo una squadra del Sud è arrivata a tanto nella pallacanestro italiana. A guidare quella formazione il casertano Franco Marcelletti, che dopo aver allenato molti anni nel settore giovanile del club e aver fatto da vice, anche a Boscia Tanjevic, prende in mano la squadra nel 1986. Al primo tentativo va in finale scudetto, nel 1988 vince la Coppa Italia. Nel 1989 perde la finale di Coppa delle Coppe e nel 1991 arriva il successo più grande. Caserta conquista lo scudetto il 21 maggio. Sono passati esattamente trent’anni da gara-5 a Milano contro la Philips.

“Ho fatto qualcosa di bello per la mia terra, in una piccola città di 50 mila abitanti con problemi economici e di delinquenza. Abbiamo reso tutti orgogliosi di essere casertani, regalando al pubblico emozioni incredibili. Queste sono le cose che rimangono anche a distanza di tempo. Allora rappresentavamo tutto il Sud Italia”, ricorda Marcelletti. “Quando giocavamo in casa c’era gente che veniva anche da altre regioni, magari facendo 400 chilometri per entrare nel palazzetto – sottolinea – In trasferta avevamo tra il pubblico i meridionali emigrati al Nord, non solo quelli campani. Piano piano, dagli Anni Settanta in poi Caserta era diventata una città di basket. Quand’ero piccolo io i ragazzini per strada volevano essere Riva, Mazzola e Rivera. Poi tutti iniziarono a giocare a basket, nelle tante squadre di quartiere, sognando di essere Nando Gentile, Enzo Esposito e Sandro Dell’Agnello”.

All’inizio della stagione però si sentiva pure qualche fischio.
Dopo quattro grandi stagioni avevo deciso di separarmi da Oscar Schimdt, il più forte realizzatore che abbia mai allenato. Un fuoriclasse, un giocatore totale che in attacco non aveva tante soluzioni, le aveva tutte. Oggi non starebbe neanche un anno in Europa, farebbe tutta la carriera in Nba. La mia fu una scelta impopolare, ma pensavo che la squadra senza di lui avrebbe avuto più chance di vincere lo scudetto. Gentile, Esposito e Dell’Agnello erano ormai all’apice e in grado di prendersi tutte le responsabilità. Avevamo due americani forti, ma questi tre italiani furono decisivi. Tutti i talenti sono difficili da gestire. Esposito, Gentile, Oscar… ma sono quelli che ti fanno vincere. Anche Charles Shackleford aveva avuto problemi personali negli Stati Uniti ma in campo era eccezionale.

E lei conosceva benissimo i suoi giocatori.
Gentile e Esposito li lanciai io nel quintetto titolare, dopo aver allenati nel settore giovanile da quando avevano 12 anni. Nel 1982 avevo vinto con Gentile in campo lo scudetto Under 15. Dell’Agnello lo impostai da 3 anziché da 4 perché era 2.01 e faceva fatica. Lavorammo molto e arrivò in Nazionale.

Arrivaste secondi nella stagione regolare, poi una cavalcata trionfale nei playoff.
Da noi il palazzetto era sempre strapieno, il pubblico si sentiva, era davvero il sesto uomo in campo. Come allenatore mi confrontai con tecnici di valore assoluto: Sergio Scariolo ai quarti, Ettore Messina in semifinale e Mike D’Antoni in finale. Non so da quante partite la Philips non perdeva a Milano, eppure è successo.

Con Esposito in panchina col ginocchio rotto.
Noi ci siamo compattati, tutti si sono sacrificati perché è quello che fanno i gruppi veri, non piangono sulle assenze. Tutti avevamo l’obiettivo dello scudetto: i giocatori, lo staff, i dirigenti e il presidente Maggiò.

La stagione successiva non fu altrettanto felice.
Uscimmo presto dalla coppa dei Campioni e arrivammo ai quarti dei playoff. Nel frattempo avevo avuto delle offerte da altri club ma volevo essere concentrato su Caserta. Allora non c’erano agenti, il mercato si faceva a marzo. La società non mi confermò per la stagione seguente e così scesi di categoria con il Verona. Sono stato molto bene anche in Veneto ed infatti ora vivo qui con la mia famiglia. Al momento sono fermo, dopo tanti anni di settore giovanile, ma sono molto tranquillo.

Nel 1989 Caserta era arrivata ad un passo dalla conquista della Coppa delle Coppe.
Perdemmo con il Real Madrid di Drazen Petrovic. Lui è stato il sogno di ogni allenatore per come dedicava anima e corpo alla pallacanestro. Quando venne a giocare a Caserta durante la fase a gironi, si allenò con la squadra al palazzetto dopo di noi. Al mattino il custode in dialetto stretto casertano si lamentò con me di aver dormito poche ore perché Petrovic era rimasto da solo a provare il tiro, costringendolo a mettere il lucchetto alla porta molto tardi.

Potrà esserci ancora un altro scudetto al Sud?
Dal 1996 con la legge Bosman è diventato difficile. A Caserta il presidente riuscì a rifiutare proposte allettanti per i propri tesserati. Oggi sarebbe più complicato, i giocatori sono più liberi di andarsene. Con la rosa che ha l’Olimpia Milano per l’Happy Casa Brindisi sarà un miracolo già arrivare seconda.