di Daniele Castellari*
È stato un anno difficile da vivere nella scuola: banchi a rotelle (arrivati/non arrivati, comunque ridicoli), classi tagliate a mezzo, riforma della valutazione alla primaria ed Educazione civica alle superiori buttate lì a casaccio, slogan dai soliti consulenti pedagogici che inneggiavano alla Dad, poi alla Did, poi al Didò, monumenti all’inutilità come il Curriculum dello studente, quarantena sì quarantena no, quarantena boh, modello didattico stop&go (presenza, assenza, 50%, assenza secondo tempo, 50%, 70%).
Il sistema scolastico italiano dal punto di vista strutturale è fra i più rigidi del mondo e non sopporta flessibilità e variazioni per motivi congeniti, non per cattiva volontà: regge al 100% o allo 0%, già al 50% va in sofferenza: ma c’era bisogno del 70% che come numero non esce mai né alla lotteria né a tombola?
Risposta alla domanda retorica: la politica italiana non decide mai se non per piaggeria demagogica nei confronti di qualche gruppo di elettori e il 70% della presenza a scuola, che va a migliorare soltanto di qualche minuto la partecipazione delle singole classi, voleva essere un regalo di questo tipo. Non bastasse tale colpo di genio del ministero, nella nostra città si è pure predisposto un piano che prevede un doppio orario d’ingresso degli studenti degli istituti superiori e che devasta orari, calendari, gestione dello studio da parte dei ragazzi e della didattica per i docenti, e invita di fatto le famiglie ad accompagnare a scuola a metà mattina i loro figli.
E su tutto c’è la pandemia, che viene utilizzata come capro espiatorio per spiegare il festival dell’incapacità politica che già esisteva e che il virus, facendo il suo mestiere, ha avuto l’unico torto di mettere onestamente in luce. Ed ora, che fare? Io un’idea modesta ce l’avrei.
In realtà, si tratta di una preghiera da rivolgere al ministro dell’Istruzione, ai sottosegretari, ai direttori generali del ministero, fino a tutti i cascami della burocrazia scolastica, ai Direttori degli uffici scolastici regionali, idem agli uffici scolastici provinciali, agli ex provveditori agli studi – chiamateli come volete – , ai governatori e ai Prefetti, a tutti quelli che in questo anno hanno dato il loro contributo volenteroso alle decisioni sulla scuola italiana, agli eretti ed erigendi comitati di saggi, alla cornucopia debordante dei consulenti e degli esperti di turno, Fondazione Agnelli compresa: perché il prossimo anno non ve ne state fermi?
Prendetevi un anno sabbatico di contemplazione zen sulla scuola. Evitate riforme e decisioni geniali, alchimie tecniche e metodologie organizzative. Un anno senza agitarvi, senza dover legittimare per forza la vostra presenza. Intanto potreste occuparvi di bagatelle e cosette da poco, che so, assumere insegnanti, sistemare un pochino l’edilizia scolastica, quelle robe lì, giusto giusto per far passare il tempo. Per un anno lasciate fare a docenti, studenti e dirigenti scolastici. Vi chiedo solo un anno. Dovrebbe bastare per far ripartire la scuola.
*docente di Italiano e latino al Liceo scientifico Aldo Moro di Reggio Emilia