“Cosa si aspettava la Spagna dal Marocco?”. Mustafa Ramid, ministro dello Stato responsabile dei Diritti Umani, considera l’apertura delle frontiere come naturale conseguenza di un gesto che i vicini spagnoli hanno definito “umanitario”. Il governo di Pedro Sánchez ha accettato di curare nell’ospedale di Logroño per covid Brahim Gali, leader del Fronte Polisario, movimento fondato nel 1973 che ha come obiettivo l’indipendenza del Sahara Occidentale. Da domenica sera le autorità marocchine hanno smesso di presidiare per qualche giorno la frontiera che separa la località di Fnideq dalla città autonoma spagnola di Ceuta. La voce ha cominciato a diffondersi e nella giornata di martedì già si contavano 8mila migranti sulla spiaggia di Tarajal, a Fuerteventura, tra cui almeno 1.500 minori. La maggior parte di loro ha superato i frangiflutti in ferro arrivando dall’altra parte a nuoto.
Alcuni continuano ad accorrere a Fnideq pensando che la situazione sia rimasta invariata, ma le autorità marocchine hanno chiuso il confine e allontanato chi ha cercato di avvicinarsi. L’ultimo dato parla di 5.600 persone già tornate in Marocco, che ha raggiunto un accordo sulle espulsioni con Madrid. La Polizia locale di Ceuta e le autorità del governo Sánchez, che ha schierato l’esercito, stanno girando per la città autonoma da mercoledì notte alla ricerca di adulti di nazionalità marocchina arrivati negli ultimi giorni da riportare indietro ogni due ore a gruppi di 40.
Ma i rimpatri forzati sono iniziati già da prima e ci sono ancora molti i dubbi sulla strategia che la Spagna sta usando. Il ministero dell’Interno si è rifiutato di dare spiegazioni, limitandosi a parlare di “restituzioni al confine” o “a caldo”, ovvero respingimenti immediati senza prendere in considerazione lo status di rifugiato. La Convenzione Europea dei Diritti Umani proibisce le espulsioni collettive, ma dal governo insistono sulle decisioni prese autonomamente da alcuni migranti. Circa un migliaio di persone, secondo il ministero dell’Interno spagnolo, ha fatto marcia indietro volontariamente. Tra di loro ci sarebbero anche donne e lavoratori rimasti bloccati a Ceuta dal primo lockdown.
La Spagna sta sfruttando a suo favore due sentenze. La prima, del Tribunale Costituzionale, è stata pronunciata lo scorso novembre e avalla le espulsioni al confine tra i due vicini, con due eccezioni: minori e persone vulnerabili, come donne incinte o anziani. La seconda, del Tribunale Europeo dei Diritti Umani, risale a febbraio 2020, e dà ragione al governo spagnolo sull’espulsione immediata di due migranti, un malese e un ivoriano che avevano scavalcato la recinzione di Melilla. Infine, un accordo bilaterale con Rabat del 1992 rende possibile il rimpatrio forzato.
Il governo si è mosso per chiedere a ogni Comunità Autonoma di accogliere i circa 750 minori rimasti, fatta eccezione per le Canarie, che ne ospita già 2.641. La Comunità Valenciana, le Asturie, i Paesi Baschi e la Catalogna hanno già accettato. Diversa la situazione in Andalusia, dove il partito di estrema destra Vox ha minacciato di uscire dal governo in caso l’esecutivo regionale sottoscriva l’accordo.
Le polemiche hanno raggiunto anche il Parlamento, dove il leader del Partito Popolare, Pablo Casado, ha accusato Sanchez del “caos che sta indebolendo la Spagna all’estero”. Ha inoltre usato l’alleanza dei socialisti con gli indipendentisti baschi e catalani come esempio di mancanza di impegno nella difesa della sovranità di Ceuta e dell’altra città autonoma, Melilla, dove circa 90 persone hanno scavalcato la recinzione che separa Marocco e Spagna. Una situazione senza precedenti che supera di gran lunga la crisi migratoria dello scorso novembre, quando in oltre 2mila arrivarono al porto di Arguineguín, nelle Canarie, attraverso la rotta atlantica.