A Palazzo Chigi non sono piaciuti i tempi dell'uscita del segretario dem. Il "lungo colloquio" tra i due è avvenuto in mattinata e si è svolto, fanno sapere fonti Pd, con toni cordiali e "franchezza". Ovvero nessuno dei due ha rivisto la sua posizione
Mario Draghi ed Enrico Letta si sono sentiti al telefono dopo il botta e risposta a distanza di giovedì sulla tassa di successione rilanciata ieri dal leader dem. Un’uscita che a Palazzo Chigi non hanno apprezzato per la tempistica perché arrivata mentre si presentata il decreto Sostegni bis e prima dell’avvio dei lavori sulla riforma del Fisco. Questo è stato il cuore della lunga telefonata, avvenuta in mattinata, cui dovrebbe seguire un incontro di persona, la prossima settimana. Un “confronto cordiale”, nella “franchezza“, dicono fonti Pd. E proprio l’uso della parola “franchezza”, lascia intendere che le posizioni da una parte e dell’altra non siano state riviste. La proposta del leader dem è nota: chiede di finanziare una dote per i giovani con una tassa fino al 20 per cento sulle eredità immobiliari che valgano 5 milioni, una misura che “riguarda l’1% della popolazione“. E questo concetto ha ripetuto prima al telefono con il presidente del Consiglio, poi su Twitter: “Traggo la triste ennesima conferma che non siamo un Paese per giovani. E non mollo”, ha scritto. Intanto il premier resta convinto, come detto giovedì e come riferito dall’agenzia Ansa, che prima si debba disegnare una riforma complessiva “nel segno della progressività” e dello stimolo alla crescita.
Io ho fatto una proposta sui #giovani. E poi, con serietà, ho parlato di come finanziarla. Ma vedo che si continua a parlare solo di patrimoni e successioni. Ne traggo la triste ennesima conferma che non siamo un paese per giovani. E non mollo. #doteperi18enni
— Enrico Letta (@EnricoLetta) May 21, 2021
Del resto la frase che ha detto più volte il premier, anche ieri, è che non sia questo il momento di “prendere” ai cittadini ma di “dare”. I Dem intanto respingono il tentativo di Matteo Salvini di ‘usare’ Draghi per schiacciarli nel ruolo di ‘tassatori’. In un dibattito che è solo l’antipasto di quello che rischia di accadere tra un mese, quando la riforma del fisco entrerà nel vivo. “Il presidente del Consiglio non ha bocciato la proposta diLetta, ha detto che non è questo il momento di parlarne, ma noi vogliamo stare nella discussione con le nostre idee, senza intralciare la riforma fiscale”, ha detto all’Ansa un dirigente dem. Ma la questione è proprio il tempismo, spiegano altre fonti di maggioranza, che attribuiscono al premier una dose d’irritazione – non confermata dalle fonti ufficiali – per una proposta che al segretario sarebbe stato consigliato di non avanzare ora. Anche perché, è il ragionamento, in una fase di recessione le politiche fiscali devono essere espansive.
Da Palazzo Chigi parlano di un colloquio “lungo e cordiale”. Dal Nazareno aggiungono che c’e’ “franchezza” nelle posizioni. Di Draghi resta a verbale quanto detto giovedì: fermi gli obiettivi di progressività e crescita, bisogna disegnare un “pacchetto” coerente e solo in quell’ambito si potranno poi definire i parametri. Entro fine giugno la commissione parlamentare d’indagine sul fisco consegnerà la sua proposta a Draghi per la legge delega che farà da cornice alla riforma vera e propria. Ma è probabile che, viste le divergenze in partenza, su diversi punti si indichino diverse opzioni e non proposte secche. Poi, è la convinzione comune in maggioranza, sarà Draghi a decidere la rotta, con il lavoro di una commissione ad hoc. Solo così si potranno annullare le distanze tra la Lega che continua a puntare alla flat tax, Fi che con Occhiuto indica l’obiettivo di abbassare le tasse, il M5s che punta a ridurre gli scaglioni e il Pd che si prepara a proporre un sistema tedesco senza scaglioni ma con aliquote tarate sul reddito, insieme alla tassazione dei sussidi ambientali dannosi e la tassa sulle super eredità per aiutare i giovani.
Intanto, però il dibattito si infiamma. Letta rivendica la sua proposta, rilanciando i tanti tweet a sostegno, e affermando che mentre lui punta alla luna (il sostegno ai giovani), il dibattito si sposta sul dito (la tassazione delle eredità). Salvini propone di tassare piuttosto i giganti del web e accusa il Pd di essere il partito delle tasse. In un confronto a distanza che si fa sempre più frequente, perché ciascuno dei due cerca di marcare il suo spazio politico nell’ambito della grande maggioranza, anche in vista delle prossime amministrative. In prospettiva, li separa anche la strategia rispetto all’elezione del presidente della Repubblica, in programma a inizio 2022: per dirla in estrema sintesi, Salvini sembra puntare alla scelta di Draghi per poi tornare al voto, il Pd no.