Sara Lucaroni ha scelto di dedicare il suo primo libro al tema dei suicidi nelle Forze armate e di polizia, confermando ancora una volta una grande sensibilità per i diritti dei lavoratori in uniforme. Il buio sotto la divisa. Morti misteriose tra i servitori dello Stato, pubblicato ad aprile da Round Robin, è già alla terza ristampa ed è stato presentato l’11 maggio in un webinar organizzato dal Sibas Finanzieri, con la partecipazione di Monica Giorgi, presidente del Nsc (Nuovo Sindacato Carabinieri) e di Renato Scalia, consigliere della Fondazione Antonino Caponnetto ed ex sindacalista del Silp Cgil della Polizia di Stato.
Il libro prende le mosse da un’inchiesta pubblicata dalla giornalista su L’Espresso il 3 luglio 2019: non era mai accaduto che la stampa nazionale si occupasse dei suicidi degli appartenenti ai corpi armati: perciò l’articolo suscitò interesse e ottenne grande apprezzamento all’interno del mondo sindacale. Oggi Sara Lucaroni racconta, con una rigorosa ricostruzione, sei storie di servitori dello Stato che, per cause diverse e in circostanze ancora misteriose, si sono tolti la vita.
Ogni anno decine di militari e poliziotti decidono di farla finita: nel 2020 ci sono state 51 vittime, mentre quest’anno se ne contano già 18. L’argomento va affrontato con cautela, perché il suicidio è senza dubbio un fenomeno complesso. Ma è innegabile che le condizioni lavorative producono ripercussioni di carattere psicologico. Perciò sarà prezioso il contributo dei sindacati militari per la promozione del benessere organizzativo, a partire da un dibattito qualificato su questioni che non devono più essere trascurate. Penso, per esempio, ai seminari promossi dal Sam (Sindacato Autonomo dei Militari) sui temi del burnout, dello stress correlato e dei disturbi collegati al rientro dalle missioni all’estero.
L’analisi di Sara Lucaroni è condivisibile: “Il suicidio non è arginabile – scrive in un recente articolo su L’Espresso – nessuno è in grado di fermarlo: ha a che fare con sfere intime e dimensioni esistenziali su cui nessuno può intervenire. Si può intervenire invece nella dimensione lavorativa di chi indossa la divisa attraverso una ‘prevenzione’ a tre livelli: abbattimento del ‘tabù’ del sostegno psicologico per trasformarlo da ‘stigma’ a routine, potenziare la formazione, eliminare pericolose derive della gerarchizzazione specie in ambito militare”.
Sul piano della prevenzione, le associazioni sindacali dovranno costituire un baluardo per la difesa della dignità, combattere le prevaricazioni, contrastare quelle sacche di barbarie create da certi ufficiali col loro modo arrogante di gestire il personale, difendere gli agenti e gli ufficiali di polizia giudiziaria da pressioni indebite, favorire l’interazione e il dialogo tra dirigenti e collaboratori. “Sotto l’uniforme”, per dirla con Cleto Iafrate, sindacalista del Sibas, “c’è prima di tutto una persona”.
Quello dei suicidi in divisa – “eventi suicidiari”, come vengono spesso definiti con una brutta espressione del burocratese – è un argomento molto delicato. Andrebbe operata una valutazione attenta, caso per caso. Certo è impossibile prevedere questi gesti estremi, ma occorre uno sforzo in più per prevenirli. Su questo fronte, se le amministrazioni hanno fatto dei progressi con l’istituzione di servizi interni di supporto psicologico, si potrebbe invece optare per un approccio di sistema che preveda il coinvolgimento di esperti, specialisti e professionisti esterni. Sul punto, sarebbe utile rispolverare la tesi di Émile Durkheim: il suicidio, quello del poliziotto come quello del metalmeccanico o dell’imprenditore, è un problema di tutti, le cui cause interpellano la responsabilità collettiva. Perché quell’uomo si è tolto la vita? Cosa abbiamo fatto per dargli una mano? Partendo da queste premesse, appare auspicabile un maggior impegno da parte di tutta la società civile.
Per questo il libro di Sara Lucaroni va letto anche da chi non indossa un’uniforme. “È una lettura difficile, ma anche una luce necessaria” ha commentato Patrizio Nissirio. Io direi che è una lettura piacevole, perché Sara scrive con la passione di chi non accetta le ingiustizie e lotta per i diritti muovendo dal valore incommensurabile della persona umana. “Non è un libro di morte – dice l’autrice – è un libro che parla di vita e di speranza”.