In televisione, l’abitudine a far confrontare persone con diversi background culturali e professionali non è certo una novità. Se il contesto lo consente, o lo richiede, questa soluzione non solo non scandalizza nessuno, ma risulta anzi divertente. Se si parla infatti di calcio, cibo, gossip, o altri argomenti leggeri, il confronto tra l’esperto e la famosa casalinga di Voghera (la vox populi) fa parte della natura pop della TV. Se però si discute di medicina, scienza, immigrazione, o altri temi seri che richiedono un bagaglio di conoscenze minime condivise, il giochino del “sentiamo cosa ne pensa l’amico da casa” è molto pericoloso. Pericoloso perché la televisione è piatta e tende a mettere tutto sullo stesso piano, senza distinzioni di profondità.
Vent’anni di dibattiti, in cui professionisti stimati e dilettanti allo sbaraglio sono stati messi sullo stesso palco a parlare di argomenti importanti, hanno spianato la strada ad un decennio di social network in cui tutti si sentono legittimati a parlare di tutto, senza alcuna competenza. Nei salotti dei talk show, come nelle arene social, le opinioni di un primario e di uno scienziato internazionale valgono ormai (agli occhi dei più sprovveduti, cioè la maggioranza degli spettatori) quanto quelle di un adolescente frustrato o di un ex vip in cerca di visibilità.
Un giorno rideremo di questa follia, ma per ora non possiamo ancora permettercelo. Il prossimo passo, fisiologica conseguenza di questo delirio, non può che essere quello di schiere di persone che non credono più a nulla e che vogliono cancellare la storia. Ne vedremo delle belle…
E così, parlando di questo problema con mio padre qualche giorno fa, ci è tornato in mente Sir Jack R. Goody, scomparso ahimè nel 2015. Per chi non lo sapesse, il professor Goody (Università di Cambridge, nominato Sir per meriti accademici) è stato uno degli antropologi culturali più poliedrici e prolifici del secolo scorso, un vero “mostro” di sapere. Ormai più di qualche anno fa, il professor Goody aveva appena pubblicato con Mondadori il volume Famiglia e matrimonio in Europa (poi riedito da Laterza). Il curatore dell’edizione italiana fu incaricato di rintracciarlo per invitarlo ad una trasmissione condotta da Enrica Bonaccorti e Piero Badaloni (Italia Sera) dedicata appunto al tema del matrimonio.
Dopo svariate telefonate, si riuscì finalmente a parlare con lui. Goody amava molto l’Italia (dove era stato impegnato durante la Seconda guerra mondiale) e fu immediatamente disponibile a venire a Roma. Poi però, chiese: “Chi altri partecipa?” L’emissario della Mondadori non lo sapeva e, dopo essersi informato, richiamò per riferire che avrebbero partecipato una sarta per abiti da sposa e uno chef esperto in torte nuziali. Approfittando di una certa complicità con la persona che lo aveva contattato, Goody rispose: “Non potresti farmi la cortesia di dire che non mi hai rintracciato?”.
Tornando alla realtà dei nostri giorni, ecco riaffiorare le immagini caleidoscopiche di un Massimo Cacciari furioso che discute di geopolitica internazionale con la Santanchè, di un Umberto Galimberti spazientito che disquisisce di immigrazione e razze con Matteo Salvini. Che sconforto… Quante discussioni inutili, fuorvianti, diseducative, finanche pericolose si sarebbero potute evitare se uomini di tale cultura e notorietà avessero fatto come Goody, evitando di andare e di legittimare certi contesti. Qualcuno osserverà giustamente che esiste anche una responsabilità di chi invita.
Ed infatti, su questo punto Piero Angela raccontava (in una bella intervista radiofonica di qualche anno fa) che lui si rifiutò di far confrontare in studio uno scienziato ed un altra persona che proponeva metodi alternativi a quelli scientifici. La ragione era molto semplice e non riguardava il contenuto delle due proposte. Per il noto divulgatore, il problema era di forma. Non si può conferire, infatti, agli occhi del pubblico, pari dignità a tesi scientifiche comprovate da un lato, e a proposte che (per quanto interessanti) non hanno alcun fondamento scientifico dall’altra.
Le ragioni del pluralismo (bisogna rappresentare tutte le voci) le conosciamo bene. Tuttavia, per dare vita ad una discussione seria, occorrono delle basi condivise, anche e soprattutto se la si pensa diversamente. Se si parla di Storia della democrazia ad esempio, insieme a Luciano Canfora è meglio invitare Franco Cardini, piuttosto che il solito politico che inneggia alla democrazia in cerca di facili consensi.
Se pensate che sia un’esagerazione pretendere la qualità, nella diversità, proviamo a esagerare davvero nell’altro senso, così, solo per rendere l’idea. A breve, restando in questa scia, assisteremo a confronti tv tra il leader dei terrapiattisti e il portavoce della Nasa, tra i complottisti della “neve artificiale per ingannarci” e i fisici di Ginevra, tra i sopravvissuti dei campi di concentramento e quelli che sostengono che luoghi simili non siano mai esistiti. So che in molti pensano, in assoluta buona fede, che le persone serie e preparate debbano far sentire la propria voce soprattutto in momenti difficili; ma se non ci sono le condizioni per farlo in modo appropriato è meglio dare più forza al proprio messaggio usando altri strumenti.
Ammettiamolo senza troppa ipocrisia, in una discussione non è mai quello più colto, preparato e civile che riesce ad alzare il livello del dibattito, è sempre il cafone, l’urlatore, il tamarro, il guappo da bisca che trascina tutti nella fogna. Quanti dibattiti, potenzialmente interessanti e con ospiti preparati, si trasformano in vuote chiacchiere da bar a causa del solito mentecatto (letteralmente preso nella mente) che costringe tutti al suo infimo livello di essere pre-culturale.
Suoneranno forse eccessive, in tempo di politicamente corretto, celebri frasi come quella attribuita ad Oscar Wilde: “Mai discutere con un idiota. Ti trascina al suo livello e ti batte con l’esperienza”. Oppure a quella di Arthur Schopenhauer: “Di fronte agli sciocchi e agli imbecilli esiste un modo solo per rivelare la propria intelligenza: quello di non parlare con loro”. Che si tratti di ignoranti, di cretini, o di gente in malafede, l’unica soluzione è quella di sottrarsi.
Cari luminari e grandi intellettuali dei nostri giorni, fate come Sir Jack Goody, chiedete umilmente chi viene a cena, prima di accettare l’invito. Perché il rischio vero è quello evidenziato magistralmente da Arthur Bloch: “Non discutere mai con un idiota: la gente potrebbe non notare la differenza”.