Nel racconto “la scomparsa di Pickles McCarthy” ad un certo punto si legge: “Ma hai tu mai visto il sole sorgere, almeno una volta, dal monte Grappa, o sentito, nel sangue dentro di te, il crepuscolo di giugno sulle Dolomiti? O gustato il liquore Strega a Cittadella?”. Lo scriveva Ernest Hemingway nel 1919, gran bevitore. Apprezzava i drink e uno di questi “che bevo da quando ero adolescente e poche cose mi hanno dato più piacere” era il “mezoevo”, un cocktail a base di liquore Strega, che lui veniva a gustare a Cittadella quando era in licenza dal fronte italiano della Grande Guerra. Con lo Strega, mescoli Mezzo e Mezzo Nardini (il tipico aperitivo di Bassano del Grappa, altra meta fedele al Giro), ci aggiungi una foglia di menta fresca e uno schizzo di seltz. Un twist di limone e molto ghiaccio et voilà… Proprio da Cittadella è partita la tappa numero quattordici, 204 chilometri sino al Monte Zoncolan.

Siamo cioè al redde rationem, il “Mostro” infatti non perdona, smaschera i bluff, ridimensiona le ambizioni. Lo Zoncolan degli incubi. Terrore di perdere. Quando le gambe, ad ogni strappo, ti si riempiono d’aghi. Le montagne hanno sempre giocato un ruolo capitale nel Giro: lo Zoncolan stabilisce gerarchie. E’ il momento in cui ogni corridore riflette sulla fatica, sorta di ascesi in bicicletta. Marco Pantani diceva di andare “più forte che posso in salita per accorciare l’agonìa”. Per Alfredo Martini, la salita è ciclismo puro, e “il ciclismo è l’unico sport che ti consente di pensare mentre pedali”.

Remco Evenepoel, il giovanissimo virgulto tornato a correre dopo il tremendo incidente del Lombardia, forse pensa troppo. La paura lo frena in discesa, perché è quella che lo ha tradito e quasi ammazzato. Gli avversari l’hanno capito. Dalla Forcella del Monte Rest, quando mancano 58 chilometri all’arrivo, lo attaccano senza pietà. E’ l’Astana del russo Vlasov che va all’arrembaggio. Col capitano, ci sono Tejada e soprattutto un grande Luis Leon Sanchez. La maglia rosa Egan Bernal li aggancia con facilità. Jonathan Castroviejo, Pello Bilbao e Gorka Izagirre si accodano. I sette staccano di mezzo minuto Remco. In mezzo, i migliori con Caruso, Nibali, Ciccone, Yates. Poi, via via che la strada si fa meno insidiosa, Caruso e soci ripigliano i sette con Bernal. Il recupero di Evenepoel è più lento, lo aiuta Joao Almeida. Sono segnali di fumo. Allarme.

Davanti, in testa alla corsa, come ormai prassi di questo Recovery Giro, ci sono undici corridori: il combattivo George Bennett, il portoghese Nelson Oliveira, Remy Rochas, il bravo Edoardo Affini battuto in extremis sul traguardo di Verona da un furioso Giacomo Nizzolo, Bauke Mollema con il fido Jacopo Mosca, e ancora Lorenzo Fortunato, col compagno di team Vincenzo Albanese, Jan Tratnik, Andrii Ponomar, Alessaandro Covi.

La fuga regge. A cinque chilometri dalla vetta i superstiti hanno ancora 4’42” di vantaggio. Fortunato e Tratnik allungano, guadagnano quaranta secondi su Mollema, Bennett, Covi e Oliveira. Dal gruppo si stacca malinconicamente Vincenzo Nibali che ieri aveva già messo le mani avanti, “soffro di allergia”. Parole che celano rabbia e umiliazione. Il vecchio campione stufo di vedere le imprese degli altri. Gli inattesi Fortunato e Tratnik insistono. Lorenzo si libera dello sloveno. Il corridore bolognese tenta il tutto per tutto. E’ a duemila metri da un successo memorabile. E’ la grande fuga per la vittoria. A un chilometro e 400 metri uno spettatore deficiente senza mascherina cerca di spingere Fortunato che rischia il capitombolo. Dove sta il servizio d’ordine?

Fortunato di nome e di fatto perché è rimasto in piedi ha ancora 3 minuti di vantaggio su Bernal, con Vlasov in difficoltà, ma il russo resiste con Caruso, mentre Evenepoel scivola indietro, così il suo luogotenente Almeida è costretto di nuovo ad attenderlo. Mentre Fortunato spinge con la forza del sogno, Simon Yates attacca, e Bernal lo francobolla. Nel 2018 l’inglese aveva battagliato con Chris Froome. Il resto, è dramma. Lorenzo è sul muro del 27 per cento, sbarella, la pedalata è sghemba. Con disperazione si aggrappa al manubrio, strattona la bici, la bocca spalancata in una smorfia. Gli ultimi trecento metri sono devastanti: la ferocia di questa salita. Tra la nebbia e i cumuli di neve ai bordi della strada, sbuca trionfatore sotto allo striscione d’arrivo. Sembra una scena da film. Lorenzo è frastornato dal dolore e dalla gioia. Primo sulla montagna dei primi.

Nel frattempo, Bernal molla imperioso Yates. Il colombiano pianta il britannico sull’impennata più diabolica. Un ceffone a pedali. Più simbolico che altro, poiché gli sfila solo undici secondi. Ma è un gesto per riaffermare la sua supremazia. Il resto dell’intendenza piange. La classifica vede Yates secondo (un bel balzo dalla quinta posizione) dietro Bernal, a 1’33”, mentre Damiano Caruso mantiene la terza posizione a 1’51”, davanti a Aleksandr Vlasov di due piccolissimi secondi, quinto l’altro inglese Hugh John Carthy, il cui nome ricorda un po’ quello del racconto di Hemingway…Evenepoel è ora ottavo a 3’52”. Un distacco significativo. Quelli della Deceunink-Quick Step, la sua squadra, hanno fatto sapere che lunedì valuteranno se sarà più o meno il caso che Remco continui il Giro.

Quanto a Fortunato, la sua è un’altra “prima” vittoria di questo Giro Chioccia, ed è la settima tappa in cui la fuga di giornata va a buon fine, e ancora, Lorenzo ha 25 anni, è simpatico, loquace, spavaldo. Deve aver imparato dal padre che è stato compagno di banco di Alberto Tomba, a Castel de’ Britti. Corre per l’Eolo-Kometa, formazione neofita del Giro, il successo lo ha giustamente gasato, “ringrazio Luca Spada, il patron della squadra, sono venuto qui per andare in fuga, mai avrei immaginato di vincere sullo Zoncolan, però io in salita vado forte, pedalo bene, e vi prometto che mi vedrete ancora nelle prossime tappe”. Lo pilotano dall’ammiraglia Ivan Basso, Stefano Zanatta, Sean Yates, Jesus Hernandez: “Devo tutto a loro”. Per oggi, è lui l’uomo solo al comando, la sua maglia è celeste, il suo nome Lorenzo Fortunato.

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