di Paolo Bagnoli

A dire la verità non se ne può proprio più. Tutte le volte che si avvicina la scadenza del rinnovo dei vertici Rai, immancabili come rimorsi, si sentono, non si sa oramai da quanti anni, sempre i soliti discorsi contro la lottizzazione, l’invadenza dei partiti, il tenere lontano la politica dall’azienda e via dicendo. Sono discorsi, naturalmente e tali rimangono, perché poi avviene il contrario e tutto bene madama la marchesa. La scena riparte al giro successivo.

Recentemente – vedi la Repubblica del 3 maggio u.s. – l’attore antilottizzazione è stato il presidente della Camera, che ha inanellato usuali banalità peraltro non presupposte da un ragionamento che dovrebbe essere fatto in premessa. L’Italia ha un sistema radiotelevisivo il cui proprietario è il Parlamento. Chi vince le elezioni e conquista il governo ha come cadeau pure la Rai e, quindi, nomina a proprio piacere e determina avanzamenti e cadute di dirigenti e di giornalisti. La Rai rappresenta, per le forze politiche, uno strumento forte di esercizio del potere al di là e ben oltre la ragione stessa dell’ente. Questa è la verità dalla quale non si può prescindere a meno che non la si stacchi del tutto dal vincolo proprietario e si pensi a organizzare il servizio pubblico in altro modo.

Ritenere, tuttavia, che non vi sia lottizzazione finché le cose stanno così vuol dire non pensare la questione televisiva. La logica cambia se cambia l’assetto proprietario altrimenti sarebbe meglio stare zitti e, magari, preoccuparsi per come si fa informazione soprattutto nei tg.

Infatti, per quanto concerne la resa in pubblico delle varie posizioni delle forze politiche, viene adottato un metodo che ridicolizza il servizio e pure chi, di volta in volta, per la sua parte è chiamato a urlare frasette di propaganda contingente oppure a essere ripreso mentre attraversa una strada e una voce fuori campo riporta una sua dichiarazione. Un modo pietoso di fare informazione politica che altro non è se non la funzione richiesta di una struttura servente il proprietario reale. Oltretutto poi, in una realtà dominata dai social, ripensare le modalità dell’informazione “pubblica” sarebbe non solo opportuno, ma anche doveroso.

La serale passerella dei rappresentanti politici offre da sola il nodo del problema, fermo restando che la Rai, nel suo complesso, è un’azienda di notevole professionalità e qualità, ma certo il canone informativo andrebbe modificato. Quelli della consueta e ridicola passerella serale sono i “proprietari” della Rai, per cui, si torna sempre al punto di partenza.

Il caso Fedez, per esempio, ci dice anche di una governance quanto meno approssimativa; stiamo certi che non sapremo mai come sono andate realmente le cose. Che poi si parli di cambiare legge sempre quando ci si avvicina alla scadenza degli organi è anche una dimostrazione di italica furbezza, sapendo bene che se c’è un momento in cui non si possono mettere le mani nella Rai è proprio questo; inoltre sarebbe opportuno aprire anche nella società – quella che una volta si definiva “civile” e che testimonia di esserlo ancora – un dibattito approfondito sia sul piano culturale che giuridico.

Siamo convinti che, da tempo, è scoccata l’ora di staccare la Rai dal Parlamento; a nostro avviso l’operazione che doveva essere fatta già dalla seconda metà degli anni Ottanta a fronte delle novità del settore dovute alla televisione commerciale e ai vari tipi di concorrenza che metteva in campo con la tv di Stato.

Nonostante torni, a mo’ di ritornello, che la Rai potrebbe mutuare il modello inglese BBC oppure quello francese della France Télévisions, fa parte della recita poiché entrambe sono soluzioni distanti dalle condizioni italiane. Altre vie potrebbero esserci, ma se prima non c’è un’assunzione di responsabilità da parte della “politica” sono solo chiacchiere e, come dice un vecchio adagio, “con acqua e chiacchiere non si fanno le frittelle”.

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