La prima volta che arrivò in Brasile era il 1998. In Italia, racconta, per lui c’erano poche prospettive. Ha iniziato così con lezioni di italiano a San Paolo, città da oltre 12 milioni di abitanti: “Nel giro di qualche mese avevo l’agenda piena di contatti”, ricorda. Oggi, oltre 20 anni dopo, con un master, una borsa di studio e un concorso vinto, Paolo Ricci, 47 anni, da Ravenna, è docente di Scienze Politiche all’Università di San Paolo. “I ragazzi devono internazionalizzarsi – spiega –. L’espatrio non è più una scelta definitiva”.

Dopo la laurea nel 1997 in Scienze Politiche all’Università di Bologna, Paolo decide di partire per il Brasile. Superato il primo impatto, la strada è in discesa. Nel 2000 inizia un master, nel 2008 vince un concorso e diventa professore assistente. “Qui l’accoglienza è di casa, è la norma. Molti brasiliani si sentono italiani, grazie ai milioni di connazionali emigrati fino al 1920 nella regione di São Paulo. Si stima che il 15% della popolazione brasiliana abbia antenati italiani. In città dicono che ci sono circa 5mila pizzerie”, sorride.

Centro finanziario del Paese e una delle città più popolose al mondo, San Paolo è una metropoli dove gli spostamenti possono anche durare un paio d’ore. Le difficoltà maggiori, spiega, sono finanziarie, legate a un costo della vita molto alto. “Questa è una città cara, soprattutto se non hai una casa di proprietà”. Se hai figli, poi – e Paolo ha due, di 9 e 19 anni – tocca pagare rette da 200-300 euro al mese per permettersi una buona scuola, “visto che quella pubblica non ha una buona reputazione”. Stesso discorso se parliamo di assistenza sanitaria: la sanità pubblica, continua Paolo, è a un livello bassissimo. “Chi se lo può permettere paga un’assicurazione che per tre persone si aggira intorno ai 400-500 euro al mese”. E il Brasile nelle ultime settimane ha vissuto un’ondata pandemica fortissima, peggiorata proprio a causa di una rete sanitaria pubblica particolarmente carente, anche dal punto di vista del materiale sanitario e dei medicinali. “Sulla popolazione gli effetti sono devastanti e hanno aggravato la povertà – racconta Paolo –. L’incapacità del governo federale di fornire una risposta adeguata è enorme. A livello locale anche se si parla di lockdown continuamente, non lo si è mai applicato al 100%. Ho la netta sensazione che non vedremo grossi miglioramenti entro la fine dell’anno”.

Al Dipartimento di Scienze Politiche dove studia e insegna Paolo si ricevono molti studenti e professori americani, ci sono “forti incentivi per la ricerca” e la collaborazione con gli Stati Uniti è molto stretta. Questo si traduce in meno lezioni frontali (un paio a settimana al massimo), mentre il resto del tempo viene gestito tra attività di ricerca, in gran parte finanziata dal governo dello Stato di São Paulo. “Non ho alcun dubbio, sono un privilegiato rispetto a tanti altri brasiliani o lavoratori autonomi del settore”.

E le differenze sono evidenti anche sul fronte stipendi. “In media il cittadino brasiliano guadagna una miseria, intorno ai 1.600 reais (meno di 300 euro). A San Paolo generalmente gli stipendi sono più alti. Spesso gli italiani si lamentano: mi viene da ridere quando penso alla realtà brasiliana”.

C’è l’opzione di tornare in Italia? Da pensionato, “sicuramente”, sorride Paolo. “Non lascerei l’Università brasiliana per fare qualcosa di diverso in Italia. Gli stimoli che ho qui sono enormi, tra sussidi per la ricerca e fondi speciali”. Sarebbe bello tornare per entrare nel mondo universitario italiano, certo. “Ma non mi pare sia un’opzione”, aggiunge. Anzi, “anche se lo sforzo è opportuno e giusto, andrebbe ripensata la politica di rientro, con incentivi anche per i figli e agevolazioni fiscali”. Tolto questo, c’è tutto il discorso sulla burocrazia che “più che incentivare produce effetti contrari”.

Per Paolo l’onda populista e sovranista degli ultimi anni ha creato un divario tra il mondo occidentale e i brasiliani, rafforzando i pregiudizi. Il suo futuro, per ora, rimane a San Paolo, insieme a sua moglie, le sue figlie, e l’incarico all’università. “Qui, rispetto all’Italia, ci sono le condizioni per investire in vari campi. Nonostante la crisi sanitaria attuale, l’economia è stimolante e le opportunità non mancano”.

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