Scandalo in Turchia per le parole di Sedat Peker che ha raccontato che dopo il suo attacco a "Hurriyet" le quote del quotidiano furono vendute a un consorzio vicino al governo. Ankara risponde: "E' un complotto internazionale contro di noi"
Giornalisti, mafia e politica. E’ scoppiato in Turchia un grande scandalo che coinvolge uno dei principali boss del Paese che, con le sue rivelazioni, sta gettando varie accuse sui rapporti tra ministri erdoganiani e stampa. Si chiama Sedat Peker e ora vive a Dubai: in un video su Youtube ha rivelato fatti e nomi. Ha ammesso di essere stato la mente dietro un attacco di mafia al quotidiano Hurriyet nel 2015 su richiesta di un parlamentare del governo attualmente in carica, per interrompere la critica del quotidiano contro Erdogan. Da quell’episodio, ha sostenuto, sarebbe maturata la decisione dell’editore di Hurriyet, Aydin Dogan, di vendere le sue quote del giornale ad un consorzio vicino al governo.
Uno dei nomi tirati in ballo, il potente ministro dell’Interno Süleyman Soylu, si è giustificato dicendo che l’uscita del boss fa parte di un complotto internazionale contro Ankara, così come accaduto secondo i filo erdoganiani a Gezi Park e nel golpe farlocco del 2016. Ma Peker entra nel merito e lo accusa di averlo avvertito di un’indagine imminente contro di lui l’anno scorso, permettendogli di fuggire dalla Turchia prima di essere arrestato. Soylu è una delle figure di spicco del governo Erdoğan ed è finito nel mirino dell’opposizione con il Partito Repubblicano del Popolo, il Chp: ha chiesto ufficialmente al ministro che riveli quale deputato riceveva 10mila dollari ogni mese dallo stesso Peker e ha invitato la magistratura a intraprendere un’azione legale contro le affermazioni fatte da Peker, che includono il presunto appoggio del governo ad un traffico internazionale di stupefacenti e la collaborazione con la mafia russa. Obiettivi di Peker sono anche il ministro della Giustizia Mehmet Ağar, il figlio di Ağar Tolga Ağar, che è un deputato dell’Akp, e l’ex ministro delle Finanze, e genero di Erdoğan, Berat Albayrak.
Il legame non più oscuro tra certa stampa e il governo si ritrova, oltre che negli arresti degli ultimi anni di giornalisti e oppositori del regime di Erdogan, anche nelle maglie della cronaca. Moltissimi infatti sono i media turchi che non hanno dato rilevanza alle rivelazioni di Peker, come lo stesso Hurriyet. Un giornalista dell’agenzia di stampa statale turca Anadolu Ajansı è stato licenziato solo per aver rivolto una domanda sul caso Peker al ministro dell’Industria Mustafa Varank e al ministro dell’Agricoltura Bekir Pakdemirli. Si chiama Musab Turan ed è stato accusato di mancare di “principi giornalistici” e di fare propaganda “politica”. Secondo Fahrettin Altun, direttore della comunicazione della presidenza turca, “coloro che cercano di danneggiare la rispettabilità del nostro stato ne pagheranno il prezzo”.
Un tweet a cui hanno fatto seguito le amare parole del cronista: “Il signor Rıdvan Tezel, il consulente del ministro, si è appoggiato con forza al mio orecchio e ha detto: non facciamo domande. Questo mi ha fatto arrabbiare. Mi scuso per essermi emozionato, ma non mi scuso per aver posto le domande perché tutti stanno cercando di porre fine all’Akp. Il ritorno dell’Akp alle sue impostazioni di fabbrica è molto importante per il futuro dei nostri giovani”.