La scarrellata sull’ultimo pilone, ancora poche decine di metri e l’ingresso nella stazione, la più alta del tracciato della funivia, la fine del viaggio. Non è ancora il momento dei perché, dice in lacrime la sindaca di Stresa, Marcella Severino. Ma lo diventerà già oggi, soprattutto perché tutto sembra inspiegabile, impossibile, incomprensibile, più di altre volte. Il disastro dell’impianto che da piazzale Lido di Carciano di Stresa, in riva al lago Maggiore, di fronte all’Isola Bella, porta su, fino a quasi 1500 metri sul livello del mare, è avvenuto in un punto in cui il panorama si apre, a poche decine di metri dall’arrivo. Cos’è successo, quali sono gli elementi certi di questa storia apparentemente senza spiegazione? Cosa si sa dell’incidente e della gestione della funivia?
A bordo della cabina c’erano 15 persone: una capienza ridotta rispetto a quella consueta, di 35, a causa (o grazie, in questo caso) alle misure anti-Covid. Solo un bambino è sopravvissuto: ha 5 anni e lotta per la vita in ospedale, a Torino.
La funivia aveva ripreso a funzionare il 24 aprile dopo i primi provvedimenti di riapertura del governo. E’ gestita da una società a carattere quasi familiare, la Ferrovie del Mottarone srl, 11 dipendenti, al cento per cento di proprietà di Gigi Nerini, azienda erede di quella storica che gestiva un trenino elettrico che prima della funivia, dal 1911, copriva il percorso da Stresa alla cima del Mottarone.
Le ipotesi
Quello che è certo è che c’è un cavo tranciato, dice il tenente colonnello dei carabinieri Giorgio Santacroce, che comanda il reparto operativo di Verbania. Un solo cavo tranciato perché “gli altri sono intatti“. Quel cavo è il cosiddetto “traente“. Si è staccato, dice l’ufficiale dell’Arma, all’altezza dell’ultimo pilone. È il tratto di salita in cui l’impianto è sottoposto allo sforzo maggiore. Esiste un dispositivo di sicurezza che entra in funzione in casi come questi. Ma la cabina, raccontano numerosi testimoni, ha cominciato ad arretrare, a velocità crescente. Ha finito di correre all’altezza dell’ultimo pilone contro il quale si è scontrata: lì è precipitata giù per 15-20 metri e ha cominciato a rotolare lungo il pendio per qualche decina di metri finché non si è fermata contro alcuni abeti. Alcune delle vittime sono state sbalzate fuori dalla vettura anche per diversi metri. Dopo la tragedia, la cabina che viaggiava in senso opposto, verso valle, è stata bloccata non appena partita dalla stazione della vetta. Gli occupanti sono stati evacuati grazie a delle funi con le quali si sono calati con l’assistenza dei soccorritori.
Per ricostruire cos’è successo serviranno molte competenze tecniche, perizie, consulenze. Il ministro dei Trasporti Enrico Giovannini ha annunciato una commissione ministeriale, la procuratrice di Verbania Olimpia Bossi ha messo sotto sequestro tutto l’impianto e ha aperto un fascicolo per omicidio colposo plurimo.
In queste ore, a causa della concitazione che ha seguito il disastro, si è fatta molta confusione su quale cavo si sia spezzato: quello portante o quello traente? E’ certo che a cedere e a finire tranciato è quello “traente”, come hanno detto la sindaca di Stresa e il comandante provinciale dei vigili del fuoco di Verbania Roberto Marchioni. Cos’è il cavo traente? E’ la fune d’acciaio che produce il movimento delle cabine: è a quella fune che gli abitacoli sono agganciati. Poi c’è l’altra, la “portante”, che rimane ferma rispetto ai veicoli e che ha funzione di sostegno. Tutti gli impianti di risalita hanno sistemi di pesi, contrappesi e di sicurezza sia a monte che a valle per bloccare la corsa delle cabine in caso di anomalie. La domanda, a poche ore dal disastro, è se la rottura del cavo sia stata la causa dell’incidente o l’effetto di un’anomalia nella corsa della fune metallica. Nella prima ipotesi il cavo si è spezzato, la cabina ha cominciato ad arretrare e all’altezza del pilone, dove ci sono le carrucole, si è scontrata col pilone e si è sganciata finendo nel vuoto. Nella seconda ipotesi il cavo – per motivi tutti da capire – si è “scarrucolato”, come si dice in gergo, cioè è uscito dalla via delle rulliere sulla parte alta del pilone e a quel punto si è strappato. “Non è un accertamento che può essere fatto nell’immediatezza sarà necessario fare verifiche di carattere tecnico” dice la procuratrice Bossi.
Ma c’è una terza ipotesi e la avanza all’AdnKronos Beppe Pontrelli, fondatore del Comitato Giustizia 3 febbraio, che riunisce le famiglie delle vittime della strage del Cermis del 1998, quando un aereo militare Usa della base di Aviano tranciò un cavo della funivia provocando la morte di 20 persone. Secondo Pontrelli “è evidente che il sistema di sicurezza del freno della cabina non ha funzionato” perché “il vagoncino a valle si è fermato a pochi metri dalla stazione. In buona sostanza si è trattato di un guasto tecnico per mancato funzionamento del sistema frenante della cabina sulla fune portante”. “Sono tragedie che colpiscono immensamente noi gente di montagna – conclude – e che si potrebbero evitare con un po’ di scrupolo perché le cose non accadono mai per caso”.
Le revisioni
L’ultima revisione ai cavi della funivia Stresa-Mottarone è stata nel novembre 2020, sei mesi fa. A farla è stata la Leitner, impresa italiana di Vipiteno, leader del settore insieme a poche altre (come la Doppelmayr), incaricata della manutenzione annuale. “L’ultimo controllo magnetoscopico della fune è stato effettuato a novembre del 2020 e gli esiti dello stesso non hanno fatto emergere alcuna criticità” dice in una nota l’azienda. Cos’è il controllo magnetoscopico? “Tutte le funi degli impianti sono sottoposte a controlli visivi frequenti. Bisogna essere certi dell’integrità di tutta la fune, anche della parte interna. Per questo motivo, secondo i piani di manutenzione, le funi sono sottoposte a un controllo magnetoscopico. In pratica, la fune viene sottoposta a un campo magnetico con uno speciale toroide (una sorta di anello, ndr): l’analisi dell’onda elettromagnetica di ritorno permette di evidenziare eventuali anomalie da indagare. Al termine del controllo, il risultato viene validato dall’Ustif, Ufficio speciale trasporti a impianti fissi”. La Leitner ha in carico manutenzione straordinaria e ordinaria. In capo alla società che gestisce l’impianto, cioè la Ferrovie del Mottarone, restano i controlli giornalieri e settimanali. Poi ci sono le ispezioni del ministero delle Infrastrutture.
Era stata sempre la Leitner a effettuare la revisione generale di cui si è parlato già dalle ore successive all’incidente. Era l’agosto del 2016 e l’intero impianto era stato sottoposto a manutenzione per due anni. La revisione generale, spiega ancora l’azienda altoatesina, consiste in un controllo “severo” dell’intero impianto: “Dalle cabine ai carrelli, agli argani e alle apparecchiature elettriche“. Allora, secondo quanto risulta alla Leitner, non furono fatti interventi sulle funi.
La sicurezza
La revisione generale viene fatta ogni 15, 20, 30 anni, a seconda dei casi, dice Valeria Ghezzi, presidente di Anef, aderente a Confindustria, che riunisce 250 esercenti di impianti a fune, pubblici e privati. “In questo caso sono passati cinque anni scarsi e sarebbe pazzesco se questo disastro fosse avvenuto a causa di materiale usurato” aggiunge. “Nel nostro settore – dice – il tema della sicurezza è primario e non conosco casi in cui le manutenzioni vengono trascurate. Siamo consapevoli che trasportiamo delle persone appese a un filo”.
In una nota Dario Balotta, presidente Osservatorio Nazionale Infrastrutture e Trasporti e blogger de ilfattoquotidiano.it, definisce “inadeguati i sistemi di vigilanza ministeriali dell’Ansfisa”. L’organo di vigilanza, ricorda Balotta, “ha unificato il settore stradale e quello ferroviario lasciando nel limbo le funivie”. Due anni fa, ricorda Balotta, ex sindacalista ed esperto di trasporti, un decreto disponeva “i modelli dei regolamenti di esercizio per le varie tipologie di impianti a fune”: “Si tratta di controlli per l’esercizio e la manutenzione degli impianti a fune adibiti al trasporto pubblico di persone che evidentemente non sono stati effettuati e che ancora una volta lasciano una grande ombra sulla gestione del ministero dei Trasporti da poco diventato della Mobilità Sostenibile. Ministero che continua a proporre nuove opere senza curare la manutenzione di quelle già esistenti e vigilare sulla loro sicurezza”.