La scarrellata sull’ultimo pilone, ancora poche decine di metri e l’ingresso nella stazione, la più alta del tracciato della funivia, la fine del viaggio. Non è ancora il momento dei perché, dice in lacrime la sindaca di Stresa, Marcella Severino. Ma lo diventerà già oggi, soprattutto perché tutto sembra inspiegabile, impossibile, incomprensibile, più di altre volte. Il disastro dell’impianto che da piazzale Lido di Carciano di Stresa, in riva al lago Maggiore, di fronte all’Isola Bella, porta su, fino a quasi 1500 metri sul livello del mare, è avvenuto in un punto in cui il panorama si apre, a poche decine di metri dall’arrivo. Cos’è successo, quali sono gli elementi certi di questa storia apparentemente senza spiegazione? Cosa si sa dell’incidente e della gestione della funivia?
A bordo della cabina c’erano 15 persone: una capienza ridotta rispetto a quella consueta, di 35, a causa (o grazie, in questo caso) alle misure anti-Covid. Solo un bambino è sopravvissuto: ha 5 anni e lotta per la vita in ospedale, a Torino.
La funivia aveva ripreso a funzionare il 24 aprile dopo i primi provvedimenti di riapertura del governo. E’ gestita da una società a carattere quasi familiare, la Ferrovie del Mottarone srl, 11 dipendenti, al cento per cento di proprietà di Gigi Nerini, azienda erede di quella storica che gestiva un trenino elettrico che prima della funivia, dal 1911, copriva il percorso da Stresa alla cima del Mottarone.
Le ipotesi
Quello che è certo è che c’è un cavo tranciato, dice il tenente colonnello dei carabinieri Giorgio Santacroce, che comanda il reparto operativo di Verbania. Un solo cavo tranciato perché “gli altri sono intatti“. Quel cavo è il cosiddetto “traente“. Si è staccato, dice l’ufficiale dell’Arma, all’altezza dell’ultimo pilone. È il tratto di salita in cui l’impianto è sottoposto allo sforzo maggiore. Esiste un dispositivo di sicurezza che entra in funzione in casi come questi. Ma la cabina, raccontano numerosi testimoni, ha cominciato ad arretrare, a velocità crescente. Ha finito di correre all’altezza dell’ultimo pilone contro il quale si è scontrata: lì è precipitata giù per 15-20 metri e ha cominciato a rotolare lungo il pendio per qualche decina di metri finché non si è fermata contro alcuni abeti. Alcune delle vittime sono state sbalzate fuori dalla vettura anche per diversi metri. Dopo la tragedia, la cabina che viaggiava in senso opposto, verso valle, è stata bloccata non appena partita dalla stazione della vetta. Gli occupanti sono stati evacuati grazie a delle funi con le quali si sono calati con l’assistenza dei soccorritori.
Per ricostruire cos’è successo serviranno molte competenze tecniche, perizie, consulenze. Il ministro dei Trasporti Enrico Giovannini ha annunciato una commissione ministeriale, la procuratrice di Verbania Olimpia Bossi ha messo sotto sequestro tutto l’impianto e ha aperto un fascicolo per omicidio colposo plurimo.
In queste ore, a causa della concitazione che ha seguito il disastro, si è fatta molta confusione su quale cavo si sia spezzato: quello portante o quello traente? E’ certo che a cedere e a finire tranciato è quello “traente”, come hanno detto la sindaca di Stresa e il comandante provinciale dei vigili del fuoco di Verbania Roberto Marchioni. Cos’è il cavo traente? E’ la fune d’acciaio che produce il movimento delle cabine: è a quella fune che gli abitacoli sono agganciati. Poi c’è l’altra, la “portante”, che rimane ferma rispetto ai veicoli e che ha funzione di sostegno. Tutti gli impianti di risalita hanno sistemi di pesi, contrappesi e di sicurezza sia a monte che a valle per bloccare la corsa delle cabine in caso di anomalie. La domanda, a poche ore dal disastro, è se la rottura del cavo sia stata la causa dell’incidente o l’effetto di un’anomalia nella corsa della fune metallica. Nella prima ipotesi il cavo si è spezzato, la cabina ha cominciato ad arretrare e all’altezza del pilone, dove ci sono le carrucole, si è scontrata col pilone e si è sganciata finendo nel vuoto. Nella seconda ipotesi il cavo – per motivi tutti da capire – si è “scarrucolato”, come si dice in gergo, cioè è uscito dalla via delle rulliere sulla parte alta del pilone e a quel punto si è strappato. “Non è un accertamento che può essere fatto nell’immediatezza sarà necessario fare verifiche di carattere tecnico” dice la procuratrice Bossi.
Ma c’è una terza ipotesi e la avanza all’AdnKronos Beppe Pontrelli, fondatore del Comitato Giustizia 3 febbraio, che riunisce le famiglie delle vittime della strage del Cermis del 1998, quando un aereo militare Usa della base di Aviano tranciò un cavo della funivia provocando la morte di 20 persone. Secondo Pontrelli “è evidente che il sistema di sicurezza del freno della cabina non ha funzionato” perché “il vagoncino a valle si è fermato a pochi metri dalla stazione. In buona sostanza si è trattato di un guasto tecnico per mancato funzionamento del sistema frenante della cabina sulla fune portante”. “Sono tragedie che colpiscono immensamente noi gente di montagna – conclude – e che si potrebbero evitare con un po’ di scrupolo perché le cose non accadono mai per caso”.
Le revisioni
L’ultima revisione ai cavi della funivia Stresa-Mottarone è stata nel novembre 2020, sei mesi fa. A farla è stata la Leitner, impresa italiana di Vipiteno, leader del settore insieme a poche altre (come la Doppelmayr), incaricata della manutenzione annuale. “L’ultimo controllo magnetoscopico della fune è stato effettuato a novembre del 2020 e gli esiti dello stesso non hanno fatto emergere alcuna criticità” dice in una nota l’azienda. Cos’è il controllo magnetoscopico? “Tutte le funi degli impianti sono sottoposte a controlli visivi frequenti. Bisogna essere certi dell’integrità di tutta la fune, anche della parte interna. Per questo motivo, secondo i piani di manutenzione, le funi sono sottoposte a un controllo magnetoscopico. In pratica, la fune viene sottoposta a un campo magnetico con uno speciale toroide (una sorta di anello, ndr): l’analisi dell’onda elettromagnetica di ritorno permette di evidenziare eventuali anomalie da indagare. Al termine del controllo, il risultato viene validato dall’Ustif, Ufficio speciale trasporti a impianti fissi”. La Leitner ha in carico manutenzione straordinaria e ordinaria. In capo alla società che gestisce l’impianto, cioè la Ferrovie del Mottarone, restano i controlli giornalieri e settimanali. Poi ci sono le ispezioni del ministero delle Infrastrutture.
Era stata sempre la Leitner a effettuare la revisione generale di cui si è parlato già dalle ore successive all’incidente. Era l’agosto del 2016 e l’intero impianto era stato sottoposto a manutenzione per due anni. La revisione generale, spiega ancora l’azienda altoatesina, consiste in un controllo “severo” dell’intero impianto: “Dalle cabine ai carrelli, agli argani e alle apparecchiature elettriche“. Allora, secondo quanto risulta alla Leitner, non furono fatti interventi sulle funi.
La sicurezza
La revisione generale viene fatta ogni 15, 20, 30 anni, a seconda dei casi, dice Valeria Ghezzi, presidente di Anef, aderente a Confindustria, che riunisce 250 esercenti di impianti a fune, pubblici e privati. “In questo caso sono passati cinque anni scarsi e sarebbe pazzesco se questo disastro fosse avvenuto a causa di materiale usurato” aggiunge. “Nel nostro settore – dice – il tema della sicurezza è primario e non conosco casi in cui le manutenzioni vengono trascurate. Siamo consapevoli che trasportiamo delle persone appese a un filo”.
In una nota Dario Balotta, presidente Osservatorio Nazionale Infrastrutture e Trasporti e blogger de ilfattoquotidiano.it, definisce “inadeguati i sistemi di vigilanza ministeriali dell’Ansfisa”. L’organo di vigilanza, ricorda Balotta, “ha unificato il settore stradale e quello ferroviario lasciando nel limbo le funivie”. Due anni fa, ricorda Balotta, ex sindacalista ed esperto di trasporti, un decreto disponeva “i modelli dei regolamenti di esercizio per le varie tipologie di impianti a fune”: “Si tratta di controlli per l’esercizio e la manutenzione degli impianti a fune adibiti al trasporto pubblico di persone che evidentemente non sono stati effettuati e che ancora una volta lasciano una grande ombra sulla gestione del ministero dei Trasporti da poco diventato della Mobilità Sostenibile. Ministero che continua a proporre nuove opere senza curare la manutenzione di quelle già esistenti e vigilare sulla loro sicurezza”.
Cronaca
Tragedia della funivia del Mottarone | Le ipotesi sulle cause dell’incidente, quella revisione di 6 mesi fa, la gestione dell’impianto
Il cavo rotto è la causa o l'effetto di una fuoriuscita della fune d'acciaio dalla guida delle carrucole sopra ai piloni? La Procura: "Serviranno le perizie". La Leitner, azienda leader del settore: "Controlli sempre molto severi". L'associazione di categoria: "Per noi sicurezza primaria: sappiamo che trasportiamo persone appese a un filo"
La scarrellata sull’ultimo pilone, ancora poche decine di metri e l’ingresso nella stazione, la più alta del tracciato della funivia, la fine del viaggio. Non è ancora il momento dei perché, dice in lacrime la sindaca di Stresa, Marcella Severino. Ma lo diventerà già oggi, soprattutto perché tutto sembra inspiegabile, impossibile, incomprensibile, più di altre volte. Il disastro dell’impianto che da piazzale Lido di Carciano di Stresa, in riva al lago Maggiore, di fronte all’Isola Bella, porta su, fino a quasi 1500 metri sul livello del mare, è avvenuto in un punto in cui il panorama si apre, a poche decine di metri dall’arrivo. Cos’è successo, quali sono gli elementi certi di questa storia apparentemente senza spiegazione? Cosa si sa dell’incidente e della gestione della funivia?
A bordo della cabina c’erano 15 persone: una capienza ridotta rispetto a quella consueta, di 35, a causa (o grazie, in questo caso) alle misure anti-Covid. Solo un bambino è sopravvissuto: ha 5 anni e lotta per la vita in ospedale, a Torino.
La funivia aveva ripreso a funzionare il 24 aprile dopo i primi provvedimenti di riapertura del governo. E’ gestita da una società a carattere quasi familiare, la Ferrovie del Mottarone srl, 11 dipendenti, al cento per cento di proprietà di Gigi Nerini, azienda erede di quella storica che gestiva un trenino elettrico che prima della funivia, dal 1911, copriva il percorso da Stresa alla cima del Mottarone.
Le ipotesi
Quello che è certo è che c’è un cavo tranciato, dice il tenente colonnello dei carabinieri Giorgio Santacroce, che comanda il reparto operativo di Verbania. Un solo cavo tranciato perché “gli altri sono intatti“. Quel cavo è il cosiddetto “traente“. Si è staccato, dice l’ufficiale dell’Arma, all’altezza dell’ultimo pilone. È il tratto di salita in cui l’impianto è sottoposto allo sforzo maggiore. Esiste un dispositivo di sicurezza che entra in funzione in casi come questi. Ma la cabina, raccontano numerosi testimoni, ha cominciato ad arretrare, a velocità crescente. Ha finito di correre all’altezza dell’ultimo pilone contro il quale si è scontrata: lì è precipitata giù per 15-20 metri e ha cominciato a rotolare lungo il pendio per qualche decina di metri finché non si è fermata contro alcuni abeti. Alcune delle vittime sono state sbalzate fuori dalla vettura anche per diversi metri. Dopo la tragedia, la cabina che viaggiava in senso opposto, verso valle, è stata bloccata non appena partita dalla stazione della vetta. Gli occupanti sono stati evacuati grazie a delle funi con le quali si sono calati con l’assistenza dei soccorritori.
Per ricostruire cos’è successo serviranno molte competenze tecniche, perizie, consulenze. Il ministro dei Trasporti Enrico Giovannini ha annunciato una commissione ministeriale, la procuratrice di Verbania Olimpia Bossi ha messo sotto sequestro tutto l’impianto e ha aperto un fascicolo per omicidio colposo plurimo.
In queste ore, a causa della concitazione che ha seguito il disastro, si è fatta molta confusione su quale cavo si sia spezzato: quello portante o quello traente? E’ certo che a cedere e a finire tranciato è quello “traente”, come hanno detto la sindaca di Stresa e il comandante provinciale dei vigili del fuoco di Verbania Roberto Marchioni. Cos’è il cavo traente? E’ la fune d’acciaio che produce il movimento delle cabine: è a quella fune che gli abitacoli sono agganciati. Poi c’è l’altra, la “portante”, che rimane ferma rispetto ai veicoli e che ha funzione di sostegno. Tutti gli impianti di risalita hanno sistemi di pesi, contrappesi e di sicurezza sia a monte che a valle per bloccare la corsa delle cabine in caso di anomalie. La domanda, a poche ore dal disastro, è se la rottura del cavo sia stata la causa dell’incidente o l’effetto di un’anomalia nella corsa della fune metallica. Nella prima ipotesi il cavo si è spezzato, la cabina ha cominciato ad arretrare e all’altezza del pilone, dove ci sono le carrucole, si è scontrata col pilone e si è sganciata finendo nel vuoto. Nella seconda ipotesi il cavo – per motivi tutti da capire – si è “scarrucolato”, come si dice in gergo, cioè è uscito dalla via delle rulliere sulla parte alta del pilone e a quel punto si è strappato. “Non è un accertamento che può essere fatto nell’immediatezza sarà necessario fare verifiche di carattere tecnico” dice la procuratrice Bossi.
Ma c’è una terza ipotesi e la avanza all’AdnKronos Beppe Pontrelli, fondatore del Comitato Giustizia 3 febbraio, che riunisce le famiglie delle vittime della strage del Cermis del 1998, quando un aereo militare Usa della base di Aviano tranciò un cavo della funivia provocando la morte di 20 persone. Secondo Pontrelli “è evidente che il sistema di sicurezza del freno della cabina non ha funzionato” perché “il vagoncino a valle si è fermato a pochi metri dalla stazione. In buona sostanza si è trattato di un guasto tecnico per mancato funzionamento del sistema frenante della cabina sulla fune portante”. “Sono tragedie che colpiscono immensamente noi gente di montagna – conclude – e che si potrebbero evitare con un po’ di scrupolo perché le cose non accadono mai per caso”.
Le revisioni
L’ultima revisione ai cavi della funivia Stresa-Mottarone è stata nel novembre 2020, sei mesi fa. A farla è stata la Leitner, impresa italiana di Vipiteno, leader del settore insieme a poche altre (come la Doppelmayr), incaricata della manutenzione annuale. “L’ultimo controllo magnetoscopico della fune è stato effettuato a novembre del 2020 e gli esiti dello stesso non hanno fatto emergere alcuna criticità” dice in una nota l’azienda. Cos’è il controllo magnetoscopico? “Tutte le funi degli impianti sono sottoposte a controlli visivi frequenti. Bisogna essere certi dell’integrità di tutta la fune, anche della parte interna. Per questo motivo, secondo i piani di manutenzione, le funi sono sottoposte a un controllo magnetoscopico. In pratica, la fune viene sottoposta a un campo magnetico con uno speciale toroide (una sorta di anello, ndr): l’analisi dell’onda elettromagnetica di ritorno permette di evidenziare eventuali anomalie da indagare. Al termine del controllo, il risultato viene validato dall’Ustif, Ufficio speciale trasporti a impianti fissi”. La Leitner ha in carico manutenzione straordinaria e ordinaria. In capo alla società che gestisce l’impianto, cioè la Ferrovie del Mottarone, restano i controlli giornalieri e settimanali. Poi ci sono le ispezioni del ministero delle Infrastrutture.
Era stata sempre la Leitner a effettuare la revisione generale di cui si è parlato già dalle ore successive all’incidente. Era l’agosto del 2016 e l’intero impianto era stato sottoposto a manutenzione per due anni. La revisione generale, spiega ancora l’azienda altoatesina, consiste in un controllo “severo” dell’intero impianto: “Dalle cabine ai carrelli, agli argani e alle apparecchiature elettriche“. Allora, secondo quanto risulta alla Leitner, non furono fatti interventi sulle funi.
La sicurezza
La revisione generale viene fatta ogni 15, 20, 30 anni, a seconda dei casi, dice Valeria Ghezzi, presidente di Anef, aderente a Confindustria, che riunisce 250 esercenti di impianti a fune, pubblici e privati. “In questo caso sono passati cinque anni scarsi e sarebbe pazzesco se questo disastro fosse avvenuto a causa di materiale usurato” aggiunge. “Nel nostro settore – dice – il tema della sicurezza è primario e non conosco casi in cui le manutenzioni vengono trascurate. Siamo consapevoli che trasportiamo delle persone appese a un filo”.
In una nota Dario Balotta, presidente Osservatorio Nazionale Infrastrutture e Trasporti e blogger de ilfattoquotidiano.it, definisce “inadeguati i sistemi di vigilanza ministeriali dell’Ansfisa”. L’organo di vigilanza, ricorda Balotta, “ha unificato il settore stradale e quello ferroviario lasciando nel limbo le funivie”. Due anni fa, ricorda Balotta, ex sindacalista ed esperto di trasporti, un decreto disponeva “i modelli dei regolamenti di esercizio per le varie tipologie di impianti a fune”: “Si tratta di controlli per l’esercizio e la manutenzione degli impianti a fune adibiti al trasporto pubblico di persone che evidentemente non sono stati effettuati e che ancora una volta lasciano una grande ombra sulla gestione del ministero dei Trasporti da poco diventato della Mobilità Sostenibile. Ministero che continua a proporre nuove opere senza curare la manutenzione di quelle già esistenti e vigilare sulla loro sicurezza”.
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Trump e Putin decidono le condizioni per la tregua in Ucraina, ma l’Europa frena di già. Scenari post guerra | Fantasmi elettorali a Kiev
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"Abbiamo riscontrato che gli attacchi alle infrastrutture civili non sono assolutamente diminuiti durante la prima notte dopo questa telefonata apparentemente rivoluzionaria e formidabile", ha detto il ministro della Difesa tedesco Boris Pistorius in un'intervista televisiva.
Tel Aviv, 19 mar. (Adnkronos/afp) - Il governo israeliano ha approvato nella notte il ritorno di Itamar Ben Gvir alla carica di ministro della Sicurezza nazionale. Lo ha indicato in un comunicato stampa l'ufficio del primo ministro Benjamin Netanyahu.
"Il governo ha approvato all'unanimità la proposta del primo ministro Benjamin Netanyahu di rinominare il deputato Itamar Ben Gvir ministro della Sicurezza nazionale", si legge nel testo. Ben Gvir si è dimesso dal suo incarico il 19 gennaio, in disaccordo con la decisione di tregua con Hamas che ha definito “scandalosa”.
Sana'a, 19 mar. (Adnkronos) - Almeno 10 attacchi americani hanno colpito alcune zone dello Yemen, tra cui la provincia di Saada e Hodeidah. Lo hanno riferito i media Houthi dello Yemen. Gli Stati Uniti hanno lanciato un'ondata di attacchi nelle zone dello Yemen controllate dagli Houthi, alleati dell'Iran, che la scorsa settimana hanno dichiarato di voler riprendere gli attacchi alle navi mercantili del Mar Rosso per sostenere i palestinesi a Gaza.
Sana'a, 19 mar. (Adnkronos) - Gli Houthi hanno condotto una "operazione militare di alta qualità" contro la USS Harry S Truman. Lo ha reso noto un portavoce dell'organizzazione terroristica, secondo cui l'operazione, la quarta in 72 ore, prevedeva anche un attacco a "diverse navi da guerra nemiche" e ha sventato "un attacco aereo che si stava preparando contro il nostro Paese".
Washington, 19 mar. (Adnkronos) - Il Segretario di Stato americano Marco Rubio e il Consigliere per la sicurezza nazionale Mike Waltz torneranno in Arabia Saudita per colloqui su un cessate il fuoco nella guerra tra Russia e Ucraina. Lo ha dichiarato a Fox News l'inviato speciale del Presidente degli Stati Uniti Donald Trump, Steve Witkoff. Parlando poche ore dopo la lunga telefonata fra il presidente americano Donald Trump con il presidente russo Vladimir Putin, Witkoff ha affermato che i colloqui su un accordo di cessate il fuoco "inizieranno domenica a Gedda".
Riferendosi a un cessate il fuoco sulle infrastrutture energetiche e sugli obiettivi nel Mar Nero, Witkoff afferma: "Penso che entrambi siano ora concordati con i russi. Sono fiducioso che gli ucraini saranno d'accordo".
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Roma, 18 mar. (Adnkronos) - Sì al rafforzamento della difesa, ma senza toccare i fondi di coesione; no all'invio di truppe italiane in Ucraina, tema che "non è mai stato all'ordine del giorno", come pure l'esercito comune europeo; Europa e Usa devono restare uniti, perché è "inimmaginabile" costruire delle "efficaci garanzie di sicurezza" dividendo le due sponde dell'Atlantico; e sui dazi, bisogna evitare "rappresaglie'' e trovare "soluzioni di buonsenso" provando a scongiurare una guerra commerciale con Donald Trump. Davanti alla platea di Palazzo Madama, la premier Giorgia Meloni ha tracciato ieri la linea che il governo italiano porterà al tavolo del Consiglio europeo di Bruxelles del 20 e 21 marzo, dove si parlerà di Ucraina e del maxi-piano di riarmo targato Ursula von der Leyen. Una posizione, quella dell'esecutivo, sintetizzata nella risoluzione in 12 punti della maggioranza, frutto di un paziente lavoro di mediazione che ha visto protagonista il ministro degli Affari Ue Tommaso Foti, oltre ai capigruppo del centrodestra.
Alla sinistra della premier ha preso posto il ministro degli Esteri Antonio Tajani; alla destra, quello dell'Economia Giancarlo Giorgetti. Assente il vicepremier leghista Matteo Salvini, all'estero per impegni istituzionali. Ma il ministro delle Infrastrutture ha tenuto in mattinata ad augurare 'in bocca al lupo' a Meloni in una telefonata che i rispettivi staff definiscono "cordiale e amichevole". I due, si leggeva in una nota, hanno scherzato "sugli ennesimi retroscena che raccontano di presunti litigi" nel governo: la Lega è "il collante della maggioranza", ribadiva Salvini a Meloni durante il colloquio.
Meloni ha preso la parola in Aula sottolineando l'importanza dell'attuale momento storico, "decisivo per il destino dell'Italia, dell'Europa e dell'Occidente". E' partita dai temi economici ed energetici, il capo del governo: competitività (l'Europa non deve rassegnarsi "al ruolo di gregario"); decarbonizzazione "sostenibile per le nostre imprese e per i nostri cittadini"; automotive, settore "strategico" che "non può essere abbandonato al proprio destino"; semplificazione, perché - ha messo in guardia Meloni - "se l'Europa pensa di sopravvivere a questa fase continuando a pretendere di iper regolamentare tutto, non sopravviverà"; sicurezza ed interconnessioni energetiche, nell'ottica del Piano Mattei caro all'Italia; completamento dell'Unione dei mercati dei capitali per stimolare gli investimenti privati.
Non è formalmente nell'agenda del Consiglio europeo, ma il tema dei dazi americani aleggia sul prossimo summit Ue e anche sull'Aula di Palazzo Madama. Meloni non è sfuggita alla questione, vista la sua delicatezza per una Nazione esportatrice come l'Italia: il quadro "è complesso", ha ammesso la premier, ma bisogna lavorare "con concretezza e pragmatismo" per trovare un'intesa con gli Usa di Trump, evitando "rappresaglie" e scongiurando, così, una "guerra commerciale" che secondo Meloni "non avvantaggerebbe nessuno, né gli Stati Uniti né l'Europa".
Migranti e Medio Oriente sono altri due argomenti affrontati da Meloni nel suo discorso: l'Italia, ha detto la leader di Fdi, segue "con grande attenzione il ricorso pregiudiziale innanzi alla Corte di Giustizia, relativo ai trattenimenti in Albania" e auspica "che la Corte scongiuri il rischio di compromettere le politiche di rimpatrio". Meloni poi non ha nascosto la sua "grande preoccupazione" per la ripresa dei combattimenti a Gaza, così come per la situazione in Siria.
A proposito del conflitto russo-ucraino, Meloni ha ricordato il "massimo sostegno" che il governo sin dall'inizio della guerra ha garantito a Kiev: una scelta di campo "rimasta immutata", ha rivendicato, "non soltanto per Fratelli d'Italia, ma per l'intera maggioranza di centrodestra". Meloni ha salutato con favore la nuova fase di negoziati, dichiarando il suo sostegno per "gli sforzi del presidente degli Stati Uniti, Donald Trump".
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Altro grande tema in discussione è stato il potenziamento della difesa del Vecchio Continente. Meloni è tornata a bocciare il nome del piano 'ReArm Europe', definendolo "fuorviante per i cittadini". Ma la questione posta da Meloni non è soltanto semantica. L'annuncio dello stanziamento di 800 miliardi per la difesa da parte della Commissione Ue è "roboante" rispetto alla realtà, ha sottolineato Meloni, perché quelle non sono "risorse che vengono tolte da altri capitoli di spesa né risorse aggiuntive europee". A questo proposito, la premier ha ricordato il fermo 'no' del governo all'ipotesi di spostare i fondi di coesione destinati alle aree svantaggiate del Sud sul settore difesa.
I conti pubblici vanno preservati, nonostante il loro stato di salute sia "molto buono" e una manovra correttiva non sia "nei radar" del governo. Per questo, ha spiegato, l'Italia "valuterà con grande attenzione l'opportunità o meno di attivare gli strumenti previsti dal piano" che prevedono anche il ricorso a deficit aggiuntivo.
La strada indicata dal governo italiano va nella direzione di un meccanismo di garanzie pubbliche europee sul modello 'InvestEu' "per mobilitare più efficacemente i capitali privati e rilanciare gli investimenti nel settore della difesa".
Due i passaggi più applauditi del discorso di Meloni: il riferimento a Papa Francesco, al quale la premier ha augurato una pronta guarigione, e la solidarietà nei confronti del Capo dello Stato Sergio Mattarella, più volte attaccato dal Cremlino. La citazione di Pericle ha chiuso l'intervento della presidente del Consiglio: "La felicità consiste nella libertà e la libertà dipende dal coraggio".
Nonostante le fibrillazioni che hanno attraversato il centrodestra negli ultimi giorni, le comunicazioni di Meloni non hanno deluso le aspettative della Lega. Il Carroccio - sotto i riflettori per il suo voto contrario al piano von der Leyen a Strasburgo - ha espresso il suo apprezzamento per un discorso che "va nella giusta direzione, fortemente auspicata da Salvini", ossia: "Niente truppe italiane in Ucraina e nessuna ipotesi di esercito europeo, nessun taglio ai fondi per lo sviluppo e nessun accenno a un debito comune europeo, massimo sostegno all'impegno di Donald Trump per la pace e investimenti per la sicurezza in Italia". La risoluzione di maggioranza alla fine è passata con 109 sì, 69 contrari e 4 astenuti. Oggi il bis alla Camera dei deputati. (di Antonio Atte)