Un solo punto fermo e una dinamica da ricostruire. Il freno della cabina della funivia Stresa-Alpino-Mottarone “pacificamente non ha funzionato”. Un freno che, stando all’azienda di manutenzione, era stato controllato lo scorso 3 maggio. È da qui che parte il lavoro della procura di Verbania, guidata da Olimpia Bossi, per risalire a come e perché la cabina con 15 persone è precipitata lungo le pendici del monte che separa il lago Maggiore e il lago d’Orta quando era ormai arrivata in quota. I pubblici ministeri, insieme ai loro consulenti, dovranno analizzare tutti i pezzi del sistema meccanico per comprendere il motivo per il quale la cabina ha iniziato a marciare all’indietro per poi schiantarsi contro un pilone e precipitare al suolo spezzando la vita di 14 passeggeri, quattro famiglie distrutte in una delle prime domeniche di ritorno alle gite fuori porta dopo mesi di norme anti-Covid che hanno limitato gli spostamenti.
La prima ipotesi – Fin dai momenti successivi si è parlato della rottura del cavo traente, un fatto certo. A quel punto la cabina avrebbe iniziato a marciare all’indietro, verso valle, per poi impattare contro un pilone. La rottura del cavo traente come ‘innesco’ della tragedia non spiegherebbe però l’avaria del sistema di frenata, attivatosi invece sull’altra cabina che stava viaggiando dal Mottarone verso Stresa. Se la rottura del cavo – per cause da stabilire – ha dato il là all’incidente, “pacificamente”, come dicono gli inquirenti, un ruolo deve averlo avuto anche un cattivo funzionamento del freno d’emergenza.
Gli ultimi controlli 20 giorni fa – Secondo l’azienda Leitner di Vipiteno, che si è occupata della manutenzione, l’ultimo controllo sulle centraline idrauliche di frenatura dei veicoli risale allo scorso 3 maggio, mentre l’1 dicembre scorso era stati effettuati i “finti tagli”, cioè delle prove che prevedono una simulazione della rottura della fune traente e la conseguente attivazione del freno d’emergenza. Sono anche stati anticipati, spiega sempre Leitner, i controlli sui componenti meccanici di sicurezza dell’impianto previsti dalla revisione quinquennale: c’era tempo fino ad agosto, ma sono stati anticipati dal 29 marzo all’1 aprile. “Invece, i controlli giornalieri e settimanali previsti dal regolamento d’esercizio e dal manuale di uso e manutenzione – sottolinea l’azienda – sono in carico al gestore”.
L’esperto: “Serie di concause” – Serve “molta cautela” nel citare le cause perché, di conseguenza, sono “subito riconducibili le responsabilità”, sottolinea il professor Gianpaolo Rosati, ordinario di Tecnica delle costruzioni al Politecnico di Milano e perito nell’incidente del ponte Morandi. “In situazioni di questo genere, non esiste mai una sola causa, ma si combinano nella maniera peggiore una serie di concause – spiega – Sarà necessario un lavoro intenso, con prove di laboratorio, che coinvolga tutte le parti della struttura, compresi gli argani”.
“Controllare anche l’argano” – I cavi, sottolinea Rosati, possono rompersi per “diversi motivi”. Per “fatica o corrosione” che “ne riducono la resistenza”, ma anche perché in un “sistema meccanico” come una funivia “altri organi” li “sottopongono a forze non compatibili con la sua resistenza”. Un esempio: “La fune ‘scarrucola’ dalla ruota del carrello della cabina, ma l’argano continua a tirarla. A quel punto, le forze non sono compatibili con la sua resistenza e si spezza”. Allo stesso tempo, sottolinea il docente, “è vero che i sistemi meccanici hanno freni che si attivano in situazioni di emergenza”.
L’ipotesi dello ‘scarrellamento’ – Questo, come detto dalla procuratrice di Verbania Olimpia Bossi, di certo non è avvenuto. Quale può essere il motivo? Se si spacca la fune traente, conferma infatti Rosati, “ci si aspetta che se si azionino i freni dopo che il carrello è tornato indietro per qualche metro”. Può esserci stato un mal funzionamento del sistema frenante, quindi, oppure esiste una seconda ipotesi: uno “scarrellamento” dalla fune portante. Il carrello della cabina potrebbe insomma essere uscito dal proprio ‘binario’, l’unico sul quale agisce il freno in caso di pericolo. I motivi potrebbero essere svariati e, anche in questo caso, potrebbero esserci delle responsabilità: dagli esperti viene ritenuta plausibile una deformazione della ruota o del cavo che abbia indotto la cabina ad uscire dalla sede, rimando attaccata al solo cavo traente. “A quel punto – dice il docente del Politecnico – la fune traente, che ha un diametro minore, potrebbe non aver retto il peso, spezzandosi. Arriveremo a capirlo sicuramente grazie a una perizia. Ci vorrà del tempo, ma sapremo esattamente cosa è accaduto”.
La ‘scatola nera’ – Un aiuto potrebbe arrivare da una sorta di ‘scatola nera’ di cui sono dotati gli impianti. Tecnicamente si chiama “registratore di eventi”, come ha spiegato Valeria Ghezzi, presidente dell’Anef, a Repubblica. Si tratterà insieme al libro giornale e al registro di manutenzione di uno dei primi elementi che gli inquirenti useranno per orientarsi nella ricostruzione puntuale di quanto avvenuto dalla partenza della cabina fino al momento in cui ha iniziato a precipitare verso valle.
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