Il tappone dolomitico che poteva essere “il momento della verità” è diventato un tappino, la sedicesima frazione del Recovery Giro da Sacile a Cortina d’Ampezzo è stata addomesticata, i chilometri che avrebbero dovuto essere 212, sono stati sforbiciati a 153, ma quel che è peggio, i 5700 metri di dislivello sono stati abbassati a 2700. Un ridimensionamento record.

Dimezzate, purtroppo, le cime storiche del Giro: cancellato il Pordoi che vide cinque volte passare per primo Fausto Coppi (lo ricorda una stele, ben lo sanno i cicloturisti). Annullato il perfido Fedaia. L’alibi? Condizioni meteo proibitive: freddo, pioggia gelata, asfalto che ghiacciando avrebbe falcidiato il gruppo, già ridotto di trentadue unità. I corridori non hanno apprezzato (salvo la Ineos della maglia rosa Egan Bernal) la drastica decisione di Mauro Vegni, direttore della corsa, che ha preferito non correre alcun rischio. Una prudenza che qualcuno ha giudicato eccessiva.

Eppure, il ciclismo si nutre di queste situazioni estreme, anzi, sono loro a renderlo uno sport leggendario. Nel 2013 Vincenzo Nibali trionfò sotto la neve nella tremenda tappa delle Tre Cime di Lavaredo e vinse un Giro reso drammatico dal maltempo. In quel freddissimo maggio del 2013, Giovanni Visconti conquistò la tappa del Col du Galibier, accorciata ma pur sempre bersagliata dalla neve; sullo Jungfrau i corridori vennero flagellati dalla pioggia gelata. Senza dimenticare l’epica bufera che Charly Gaul domò sul Bondone, l’8 giugno del 1956, lo scalatore lussemburghese che spadroneggiò sulle salite nella seconda metà degli anni Cinquanta, una giornata da tregenda, il volto di Charly devastato dal gelo e dalla fatica, tanto che sarebbe diventato l’Angelo del ghiaccio.

Pioggia e vento gelido contro gli 86 corridori in gara, compreso lo stoico Fiorenzo Magni che a 36 anni – l’età di Nibali – con la clavicola rotta, mordeva un tubolare per il dolore. Sul monte Bondone il termometro precipitò a quattro gradi sotto lo zero. Gaul fu sollevato di peso dalla bici, era semisvenuto, spiccicò qualche parola solo dopo un lungo bagno d’acqua bollente. Alessandro Fantini arrivò secondo, a sette minuti, terzo lo straordinario Magni. Degli 84 corridori partiti 242 chilometri prima da Merano, sul Bondone riuscirono a concludere la corsa in 43, due fuori tempo massimo. Gaul vinse quel Giro che bissò nel 1958, dopo aver conquistato il Tour del 1958.

Insomma, aver dimezzato difficoltà e salite ha svilito questo Recovery Giro. Come se l’avessero neutralizzato. Non è successo nulla. O meglio, c’è stato l’ennesimo show di Bernal che dopo aver lasciato sfogare i soliti fuggitivi di giornata (stavolta, in testa ci sono andati Vincenzo Nibali, Joao Almeida, Davide Formolo, Amanuel Ghebreigzabhier, Antonio Pedrero e Gorka Izagirre Insausti), facilmente li ha ripresi sulla lunga salita del passo Giau (Cima Coppi di quest’anno, a quota 2233), sbarazzandosi degli avversari, a cominciare dal russo Alexandr Vlasov e del britannico Simon Yates. Bernal supera in solitaria magnificenza la Cima Coppi, segui a 45” da un ottimo Damiano Caruso, in virtuale seconda posizione in classifica generale.

La discesa a Cortina è insidiosa. Caruso rosicchia secondi su secondi alla maglia rosa. A sette chilometri dal traguardo, Caruso perde 34” da Bernal, incalzato dal francese Romain Bardet che sfrutta la sua grande abilità di discesista ed avvicina il ragusano. Yates affonda a 2’40”. Caruso salva l’onore del nostro ciclismo. Bernal vince la sua seconda tappa e suggella il primato alle sedici in punto di lunedì 24 maggio, data a noi cara, ma per altri conflitti… la supremazia di Egan è disarmante. Secondo Bardet, a 27” che batte Caruso. Poi, Ciccone a 1’17”. Consoliamoci. Vlasov a 2’10”, Yates a 2’36”.

Fine del Recovery Giro. A meno di una colossale “balla” del colombiano, che tuttavia appare improbabile, da mercoledì a domenica ci sarà battaglia solo per il podio. Purtroppo, in questo ciclismo dove ogni istante è monitorato e assistito, le imprese come una volta sono rare come le mosche bianche. Non ci resta che piangere per l’occasione perduta del tappone dimezzato. Ma Bernal è di un altro pianeta. Al traguardo si è persino tolto la mantellina che lo proteggeva dal freddo e dalla pioggia per esibire la maglia rosa e rivendicare il suo immenso valore a pedali.

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