Le mascherine dello Stato distribuite nelle scuole, ormai note come “mutanda”, spariranno presto. A prendere in mano la questione dei dispostivi di protezione individuale finiti nei magazzini delle scuole perché gli studenti non le usano a causa della loro scomodità, è il generale Francesco Figliuolo. La struttura commissariale che ha ereditato un contratto firmato da Domenico Arcuri con Fca nel luglio 2020 (valido fino a settembre 2021), sta raccogliendo dati, monitorando i numeri di mascherine non distribuite presenti nei magazzini. Ma non solo. “Sono in atto – spiegano dagli uffici del generale – dialoghi volti a verificare una produzione più aderente sia in termini quantitativi e qualitativi”.

Resta un nodo: pensare che a luglio e agosto si interrompa la catena di produzione sembra difficile ma non impossibile: “Dobbiamo valutare le penali”, dicono da Roma. Intanto si pensa a settembre quando scadrà il contratto con Fca: non è detto che Figliuolo lo voglia rinnovare.

In quest’ultimi mesi la situazione è diventata esplosiva: le scuole non sanno più dove metterle. I bambini e i ragazzi non le vogliono perché o troppo strette o troppo larghe o ancora maleodoranti. Pochi, comunque, i presidi che hanno contattato Figliuolo: il commissario ne ha ritirate solo 800mila rispetto al miliardo e 600mila distribuite.

Il dato aggiornato al 6 aprile scoro parla di 1.688.627.540 dispositivi consegnati al personale scolastico e agli studenti di ogni ordine e grado. Una media giornaliera di 8.215.489 mascherine per i bambini e 2.472.027 per gli adulti. Dati ufficiali nazionali sui dispositivi non usati, però, non ce ne sono. L’unico numero che sono in grado di fornire gli uffici del Commissario è quello delle 800mila ritirate su segnalazione delle scuole.

Secondo il Corriere della Sera, tuttavia, sarebbero almeno almeno due miliardi le mascherine che giacciono inutilizzate nelle scuole italiane. Secondo un sondaggio del sito ScuolaZoo il 96%, dei ragazzi preferisce portarsi la propria mascherina da casa. Su un campione di 23mila studenti tra i 14 e i 20 anni: l’83% non crede che le mascherine distribuite in classe siano di buona fattura; per il 65% fanno cattivo odore; per l’83% non sono di buona qualità e per il 76% non aderiscono bene al volto.

Inoltre solo uno studente su due riceve regolarmente le mascherine in classe. Fatti due calcoli, a detta della Tecnica della Scuola, solo 67.545.100 dispositivi di protezione svolgono il compito per il quale sono state distribuiti (1.621.082.440 restano inutilizzati).

Un altro dato arriva da un’indagine svolta nei mei scorsi dal Coordinamento regionale dei presidenti dei Consigli di Istituto del Lazio: l’84% degli allievi direbbe ogni giorno “no” alla mascherina dello Stato. “Stiamo parlando – citavano i genitori – di cifre importanti: considerando il costo di ogni mascherina attorno ai 50 centesimi, la somma che lo Stato avrebbe speso corrisponde a diverse centinaia di milioni di euro”.

I casi che emergono sono ormai numerosi. Al liceo Enriques di Ostia giacciono in magazzino 163mila mascherine. Stessa situazione al liceo Righi e al Primo Levi all’Eur, dove solo il 20% degli studenti usa quelle del Commissario. Una fotografia uguale in tutt’Italia.

Un problema che gli uffici di Figliuolo non nascondono. Anzi. Loro hanno ereditato un contratto fatto da Domenico Arcuri con Fca nel luglio del 2020. Il tutto viene gestito in questo modo: dagli stabilimenti torinesi partono le mascherine che vengono distribuite alle scuole in base ai dati forniti dal Ministero dell’Istruzione. Ad occuparsi della fornitura ai singoli istituti è Poste Sda che ha magazzini di stoccaggio in Lombardia e nel Lazio.

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