Il modus operandi descritto dalle giovani - ventenni dalla vita ordinaria e alla ricerca di un impiego - è sempre uguale a sè stesso: l'invito a casa, i tranquillanti sciolti nelle bevande, gli abusi e le fotografie. Si indaga su una rete di complici che secondo gli inquirenti aiutava l'imprenditore ad attirare nuove vittime nella trappola. Alcuni scatti della galleria degli orrori risalgono a molto tempo fa
Raccontano di essere state sequestrate per “giorni” o addirittura “settimane”. Due delle tre ragazze ascoltate per otto ore dai pm di Milano – il procuratore aggiunto Letizia Mannella e la pm Alessia Menegazzo – nell’indagine su Antonio Di Fazio, il 50enne imprenditore farmaceutico in carcere dal 21 maggio con l’accusa di aver narcotizzato e violentato una 21enne, hanno restituito racconti “da film dell’orrore“. Le ragazze, a quanto si apprende, hanno descritto un modus operandi sempre uguale a sé stesso: l’invito in azienda e poi a casa per discutere di uno stage formativo, la somministrazione di tranquillanti sciolti nelle bevande (nel tentativo, pare, di cancellare i ricordi dell’abuso) e infine gli stupri seguiti da fotografie. Ad attirarle nella trappola, pare, una rete di complici composta da collaboratori e altre persone vicine al manager, ex amministratore unico della ditta Global Farma, definito dagli inquirenti “soggetto molto pericoloso”.
Le due giovani, appena ventenni, studentesse dalla vita ordinaria e alla ricerca di un impiego, hanno descritto in particolare di essere state imprigionate per diversi giorni, fino ad alcune settimane. Drogate con le benzodiazepine, arrivavano a trovarsi in uno stato di “soggezione psicologica“, impaurite dalla figura dell’uomo, che portava spesso con sé una pistola (in realtà finta) intratteneva rapporti con personaggi ambigui e millantava contatti con ambienti di criminalità organizzata.
In base a quanto ricostruito finora, Di Fazio collezionava gli scatti delle proprie vittime in una sorta di “album dei trofei” (“Una galleria fotografica degna di un novello Barbablù”, si legge nell’ordinanza di arresto) conservato in smartphone e pc. Le foto trovate dai carabinieri nel corso di una perquisizione sono almeno 60, ma gli investigatori lavorano per portarne alla luce molte altre: raffigurano volti e corpi di giovani studentesse seminude, tutte incoscienti. Alcune risalgono a molto tempo fa, circostanza che fa presumere che gli abusi si siano ripetuti per anni. Dopo l’appello dei Carabinieri alle possibili vittime perché si facciano avanti, sono arrivate almeno una decina di segnalazioni che gli investigatori stanno verificando: alcune di loro si sono dette spaventate e timorose di mettere la loro versione a verbale.