C’è il ritardo nell’avviare la riforma degli ammortizzatori sociali e delle politiche attive del lavoro dietro il tentativo di Andrea Orlando di inserire nel decreto Sostegni bis una proroga fino a fine agosto del blocco dei licenziamenti per l‘industria e l’edilizia. Salvo dover fare marcia indietro dopo la sollevazione di Confindustria con la sponda nella sottosegretaria leghista Tiziana Nisini e la cassa di risonanza offerta dal Sole 24 Ore. Eppure il problema era ben presente a tutte le forze di maggioranza Carroccio compreso, tanto che lo stesso Matteo Salvini prima del consiglio dei ministri aveva auspicato un prolungamento della salvaguardia “aiutando le aziende e i loro dipendenti”, perché “il 30 giugno è dietro l’angolo“. Il punto è che dal primo luglio industria ed edilizia potranno licenziare (con la sola esclusione, ora, delle aziende che chiederanno di usufruire della cig ordinaria gratuita): secondo l’Ufficio parlamentare di bilancio sono a rischio circa 130mila dipendenti. E il governo non è ancora riuscito a rinnovare la cassetta degli attrezzi con gli strumenti per aiutare chi rimane senza lavoro e trovargli un altro posto. “Il tentativo di posticipare lo sblocco è l’ammissione che si è arrivati ad oggi senza risultati concreti in quegli ambiti”, commenta Vincenzo Silvestri, presidente della Fondazione Consulenti per il Lavoro.

Nel suo primo discorso al Senato, a metà febbraio, il premier Mario Draghi aveva messo in cima alla lista delle priorità la “protezione di tutti i lavoratori” e il rafforzamento del sistema di formazione e ricollocazione. L’ex sottosegretario del Pd scelto per guidare il ministero del Lavoro, che aveva trovato sulla scrivania il dossier preparato dalla commissione di esperti nominata dalla precedente titolare del ministero Nunzia Catalfo, ha cercato di accelerare, promettendo una prima proposta di riforma in senso universale – per coprire anche gli autonomi – entro il mese successivo. Ma gli incontri con le parti sociali hanno fatto emergere resistenze sia da parte dei sindacati sia delle imprese. Con i primi restii ad allentare la presa sui fondi bilaterali che erogano l’assegno a chi oggi non è coperto dalla cig (a partire dal Fondo di integrazione salariale a cui fanno capo i lavoratori della ristorazione e delle mense) e Confindustria per nulla intenzionata a vedersi aumentare le aliquote di contribuzione che versa per aver diritto alla cassa.

Risultato: durante l’incontro di inizio maggio Orlando ha garantito che verranno “valorizzate e confermate le esperienze dei fondi bilaterali”, pur con un rafforzamento della vigilanza da parte del ministero, e ha rinviato il varo della riforma a luglio. Quando le aziende saranno ormai libere di licenziare. Vero è che la manifattura è ripartita e gli analisti non si attendono uno tsunami di esuberi. Ma, anche se a macchia di leopardo, quelle che il presidente di Confindustria Carlo Bonomi chiama “ristrutturazioni aziendali” sicuramente si vedranno almeno nei settori più colpiti, a partire dal tessile che secondo l’Ufficio parlamentare di bilancio è stato il comparto manifatturiero più danneggiato dalla pandemia nel 2020. Secondo l’organismo indipendente potrebbero essere circa 130mila. Intanto molte Regioni non hanno nemmeno avviato l’iter di selezione di ulteriori 11.660 addetti per i Centri per l’impiego, un’infornata che più che raddoppierà l’organico attuale. Insomma: la rete di sicurezza che era stata immaginata quando si era deciso di togliere il blocco non esiste ancora.

Di qui il tentativo di infilare nel secondo decreto Sostegni una norma “costruita in modo repentino”, come ammesso dallo stesso ministro in conferenza stampa, che avrebbe impedito fino al 28 agosto di licenziare alle imprese che nel mese di giugno chiederanno all’Inps la cig Covid, finanziata dalla fiscalità generale. La soluzione di mediazione trovata da Palazzo Chigi, dopo gli strali degli industriali, cancella del tutto la proroga. Dal primo luglio il divieto rimarrà solo per le aziende che avranno ancora bisogno della cig, a quel punto quella ordinaria: l’ammortizzatore riservato alle imprese con oltre 15 dipendenti diventa gratuito – si azzerano i contributi addizionali dal 9 al 15% a seconda della durata – in cambio dell’impegno a non licenziare. Non più uno stop assoluto, dunque: chi intende spedire le lettere di licenziamento potrà farlo.

“Coerenza avrebbe voluto che al momento dello sblocco dei licenziamenti fosse stato almeno avviato il processo di riforma”, commenta Vincenzo Silvestri, presidente della Fondazione Consulenti per il Lavoro. “Invece resta lo scoglio della cassa per tutti: nel dibattito non vedo grandi novità sull’inclusione degli autonomi. Quanto all’altra gamba, le politiche attive, si è deciso di riformare la governance dell’Anpal passando per un commissariamento invece che tentare di sistemare le cose che non funzionavano. Non so se sia stata una scelta opportuna farlo adesso”. Certo è, ricorda Silvestri, che la legge di Bilancio per il 2021 prevedeva che entro l’1 marzo l’assegno di ricollocazione – una “dote” che spetta al centro per l’impiego o all’agenzia per il lavoro privata che riesce nell’impresa di trovare un nuovo lavoro alla persona presa in carico – fosse offerto a tutti i percettori di Naspi, Discoll e cassa integrazione. E in parallelo sarebbe dovuto partire il programma Garanzia di occupabilità dei lavoratori, una specie di garanzia giovani riservata però agli adulti. Con la crisi di governo tutto è stato rinviato: ora il Recovery plan prevede che quegli strumenti siano attivati solo nell’ultimo trimestre dell’anno. “Questo non si concilia con la fretta che dovremmo avere nel mettere a punto gli strumenti per affrontare le problematiche che emergeranno dopo lo sblocco dei licenziamenti”, sottolinea il consulente. Il rischio è che a farne le spese sia chi perderà il posto nei prossimi mesi.

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