di Rita Ricchiuti
“Da quando in qua le donne giocano a calcio?”: bisogna ammettere che è una domanda legittima. Il mondo ormai gira al contrario e qualcuno ha cambiato le carte in tavola. Ma il problema di questa società è più vecchio del gioco del calcio stesso. Da quando in qua le donne hanno diritto di voto? Chi ha deciso che le donne potessero lavorare? Come siamo arrivati a un tempo in cui queste donne scrivono, parlano, cantano e comandano?
Dobbiamo riconoscere che ci sono ambiti in cui la presenza femminile non potrà mai avere lo stesso peso di quella maschile. Come per esempio, il mondo delle scienze e della tecnologia, che deve al matematico britannico Charles Babbage il merito di aver ideato un primo calcolatore programmabile ma soprattutto di aver condiviso il suo prototipo con la giovane Ada Lovelace, contessa e figlia d’arte, che studiò un’idea e la trasformò in una visione per il futuro. Fu Ada Lovelace a scrivere sotto forma di semplici note l’algoritmo che costituisce la base del primo programma informatico della storia, Lovelace a immaginare una tecnologia che in epoca vittoriana non era neanche ipotizzabile, Lovelace a riconoscere una connessione tra numeri e arte, tra matematica e musica, scienza e immagine.
Studi scientifici di fonti sconosciute e anonime hanno inoltre comprovato, come ci è stato insegnato poco tempo fa, che “la voce maschile risulta musicalmente più piacevole all’orecchio umano rispetto a quella femminile”. Ce lo conferma l’artista Laura Pausini, nominata agli Oscar 2021 per la miglior canzone originale e vincitrice del Golden Globe 2021 per la medesima categoria.
Quindi, di fronte a tali illustri esempi di evidenti fallimenti, chi ha deciso che le donne potessero anche giocare a calcio? Per quanto il calcio femminile nasca in Inghilterra alla fine dell’Ottocento dalla femminista Nettie Honeyball e in seguito dalle operaie della Dick, Kerr & Co. che producevano le munizioni che permettevano agli uomini di combattere in guerra, si potrebbe affermare però che questa assurda tendenza si sia sviluppata maggiormente negli Stati Uniti d’America, forse perché avevano bisogno di migliorare la pratica di uno sport che per loro ha anche un nome diverso rispetto al resto del mondo.
La Nazionale di calcio statunitense, infatti, su dieci partecipazioni ai Campionati del mondo, vanta come miglior piazzamento un terzo posto nel 1930, mancando poi anche la qualificazione ai Mondiali del 2018. Allo stesso modo, la Nazionale femminile statunitense, su otto partecipazioni mondiali, ha conquistato quattro coppe del mondo e non si è mai classificata al di sotto del terzo posto, combattendo contemporaneamente per l’uguaglianza di genere. Oggi, negli Stati Uniti d’America, il calcio porta esclusivamente il nome di Mia Hamm, Megan Rapinoe, Alex Morgan e compagne.
Ma come i presentatori in tv insegnano, le donne devono saper stare un passo indietro ai loro uomini. Ed è ciò che abbiamo fatto in Italia, proprio in occasione dei Mondiali del 2018. Una serie di eventi altamente drammatici però hanno impedito alla Nazionale Italiana di superare la fase delle qualificazioni. E quindi ci abbiamo riprovato con la squadra femminile nel 2019, con i Mondiali di Francia, e lì le Azzurre hanno cantato il nostro inno con tutta la passione e l’orgoglio di una Nazionale, hanno agguantato una vittoria nei minuti di recupero, ci hanno fatto sognare e infine si sono fermate solo ai Quarti di Finale e solo di fronte alla squadra che avrebbe poi raggiunto la Finale.
In occasione dunque della celeberrima Partita del Cuore (Maschile) e in aperto contrasto con l’obiettivo fondamentale con cui l’evento ha avuto origine al principio, ossia la ricerca per la cura di una malattia che non fa distinzioni, è stato domandato retoricamente a una donna convocata ufficialmente per partecipare alla gara “da quando in qua le donne giocano?”. Non lo sappiamo, ma si potrebbe ipotizzare dal momento in cui alcuni uomini sembrano aver dimenticato lo spirito e i significati più autentici del gioco del calcio.