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Giro d’Italia, perché per me quello di Cortina non è stato affatto un ‘tappino’

di Davide Tumminelli

Sono un appassionato di ciclismo e, seppur negli ultimi anni ho scritto prevalentemente di diritto, non sono riuscito ad astenermi dal mettere le mani sulla tastiera dopo essermi imbattuto, alla fine di quella che doveva essere la tappa simbolo del Giro d’Italia 2021, nel commento di Leonardo Coen su ilfattoquotidiano.it, dal titolo: “Il tappone dimezzato consegna la corsa rosa a Bernal: d’ora in poi si lotta per il podio”.

E’ vero, sulla carta tutti si aspettavano quattro tra le salite storiche più difficili, estenuanti ed emozionati delle Dolomiti, che hanno reso il Giro una delle tre corse a tappe più importanti del mondo e invece, alla fine, di salite ce ne sono state soltanto due.

E’ vero anche che la difficoltà della tappa ne è uscita altamente ridimensionata, ma da appassionato di ciclismo, non sono per nulla d’accordo sulla considerazione di Leonardo Coen (giornalista che comunque ammiro e stimo da tempo), secondo cui il tappone dolomitico che poteva essere il “momento della verità” è diventato un “tappino”.

Capisco la delusione di chi, da giorni, sente il richiamo di quelle cime (e i veri appassionati mi capiranno bene). Capisco anche che, in un mondo da sempre contrassegnato da episodi che a definirli epici parrebbe quasi di sminuirli, ribolle un po’ il sangue a leggere la notizia dell’azzoppamento di una tappa così attesa. Capisco pienamente l’intento di Coen e di tanti altri giornalisti che hanno posto l’attenzione sulla soppressione dei due Gran Premi della Montagna tanto attesi, ma i “tappini”, nel mondo del ciclismo (fortunatamente) ancora non esistono.

Nel leggere quella parola mi sono per un attimo venuti alla mente i volti stremati dei ciclisti in molte tappe di questo Giro, contrassegnato come ogni anno, complice il posizionamento nel programma ciclistico internazionale, da intemperie e situazioni metereologiche al limite dell’accettabile per chi sceglie la domenica di fare una passeggiata di pochi chilometri, figurarsi per chi di chilometri in tre settimane è chiamato a farne quasi 3500.

E’ divertente concentrarci sulle polemiche sportive, soprattutto quando si registra qualcosa di improvviso e imprevisto come la decisione degli organizzatori del Giro, ma è davvero giusto concedergli così tanto spazio? Giusta o sbagliata che sia stata questa decisione, meritava davvero i tre/quarti del famoso “Processo alla Tappa” in diretta su Rai 2? Meritava davvero più del racconto delle gesta di un ragazzo di 24 anni che, dopo più di 2000 km di fatica e vento in faccia, ha deciso di buttare di nuovo la sua fame di vittoria sull’asfalto e di trasformare quella che sì, la squadra-corazzata in cui corre (Ineos) poteva rendere una tappa piatta e noiosa, in un’altra pagina di storia di uno sport che resta unico ed inimitabile.

Più di sei chilometri, a una pendenza media superiore al nove per cento, in solitudine. Una discesa ripidissima e tecnica fatta con picchi degli 80 all’ora, con strada bagnata, con le temperature che non superavano i 5 gradi, meritano di esser riassunte in un “non è successo nulla”?

Coen ricorda le gesta epiche nella bufera che Charly Gaul domò sul Bondone, l’8 giugno del 1956 e il suo volto devastato dal gelo e dalla fatica, Fiorenzo Magni che con la clavicola rotta mordeva un tubolare per il dolore, le più recenti imprese di Nibali e Visconti, ma siamo sicuri che in odor di polemica e di qualcosa di diverso da raccontare non ci siamo in realtà persi qualcosa nella tappa di oggi? Accecati, come le telecamere Rai, dal cattivo tempo e da tutto ciò che quest’ultimo ha causato.

Nibali oggi, il solito Nibali, quello che è costantemente bersagliato da critiche stante lo sfogo recente della moglie, che un mese fa era sotto i ferri e non riusciva nemmeno a salire in bicicletta, con una contusione costale rimediata il giorno precedente, una mano quasi inutilizzabile e 36 anni di chilometri e passione, si è fatto più di metà tappa “a tutta” per provarci. E’ andata male, ma in un “tappino” se ne sarebbe stato lì a passeggiare. E’ giusto rinchiuderlo nella frase “i soliti fuggitivi di giornata”? Chiedere al sempre encomiabile Filippo Ganna, che da campione del mondo è stato per quasi un’ora a tirare il gruppo, se stava semplicemente “facendo sfogare” Nibali e i compagni di fuga, o se quell’ennesimo slancio di orgoglio dello Squalo dello Stretto, che non avrebbe più nulla da dimostrare nessuno, qualche preoccupazione in realtà ai primi della classifica generale l’ha creata.

Tutto questo semplicemente per concludere che chi ritiene che “non ci resta che piangere per l’occasione perduta del tappone dimezzato”, l’occasione vera la perde nel non applaudire, ancora una volta, questi uomini e queste donne (che non sono certo da meno nella loro categoria), che in un mondo ormai governato dallo sport-merchandising, (in cui si pensa di ridurre la durata delle partite di calcio perché le renderebbe più spendibili con sponsor e televisioni), salgono in sella e ogni giorno continuano a scrivere pagine epiche di fatica, passione e dedizione.

La risposta di Leonardo Coen

Il mio intento nel chiamare la tappa dimezzata “tappino” non era quello di svilire la fatica dei corridori, bensì l’insipienza degli organizzatori. Sul resto, Davide Tumminelli scrive cose che scrivo anche io da sempre. Se riduci la tappa più difficile ad una tappa di normale amministrazione, diminuiscono le occasioni per gli avversari di Bernal di provare a metterlo in difficoltà. Non è in ballo il talento e la forza del giovane colombiano, è un fuoriclasse, bensì la possibilità di dare spessore e sostanza ai duelli dei corridori. Altrimenti è un monologo (del resto, a questo Giro mancavano Roglic e Pogacar, i due sloveni che nelle corse a tappe sono i veri rivali di Bernal…).