Il 24 maggio è un giorno storico in Ecuador, un giorno di festa nel quale si commemora la battaglia avvenuta nel 1822 a più di 3000 metri, sulle pendici del vulcano Pichincha: uno scontro tra l’esercito patriota guidato Antonio José de Sucre (fedelissimo di Simón Bolivar) e l’esercito realista guidato Melchor Aymerich. La sconfitta dell’armata spagnola segnerà le sorti della guerra, giacché condurrà alla definitiva sconfitta dell’esercito dell’impero spagnolo in Sudamerica due anni e mezzo dopo ad Ayacucho in Perù (9 dicembre 1824).
Anche il 24 maggio 2021 però verrà ricordato per essere un momento di transizione storica nell’Ecuador contemporaneo. Si tratta infatti di una transizione politica tra il presidente della Repubblica uscente, Lenin Moreno e il neoeletto Guillermo Lasso che proprio lunedì 24 maggio, di fronte a una platea di rappresentanti politici internazionali, si è insediato ufficialmente.
Alcuni analisti parlano di un cambio di epoca dopo 14 anni di “correismo” (socialismo progressista iniziato nel 2007 con Rafael Correa) ma certo è che risulta difficile vedere una continuità tra le politiche dei primi 10 anni di presidenza Correa e gli ultimi quattro del suo successore Moreno. L’attrito tra i due, sfociato in vera e propria ostilità e persecuzione da parte di Moreno a Correa (che ora vive in Belgio) meriterebbe un libro a parte ma l’idea di questo post è un’altra.
Lasso subentra in un momento di grave crisi: il paese affronta un’emergenza multidimensionale con uno alto tasso di disoccupazione (5,5%), casi di grave corruzione proprio nel settore salute, scontri sociali per il blocco dello sfruttamento minerario e territoriale (Cuenca, Pacto, Pastaza tra gli altri), una situazione di salute disastrosa (solo 400mila ecuadoriani vaccinati con due dosi su una popolazione di 17 milioni di persone), diffusa malnutrizione infantile, tendenza in aumento della diserzione scolastica e un aumento delle gravidanze in età adolescenziale.
Lenin Moreno fa comunque un bilancio positivo dei suoi 4 anni come presidente e attribuisce all’eredità lasciata da Correa (soprattutto il debito esterno) e al Covid-19 la responsabilità di un paese in ginocchio. Moreno è il presidente con il più basso consenso nella regione latinoamericana. Osteggiato da destra e da sinistra, lascia un paese in ginocchio, con proteste scoppiate ben prima della pandemia, ad ottobre 2019 per un “paquetazo” (pacchetto di riforme) strutturale seguendo i dictat del Fondo Monetario Internazionale. L’insorgenza del popolo, soprattutto della comunità indigene del paese, lo obbligò a fare marcia indietro ma non a ripensare la sua forma di governo.
Un aneddoto più di tutti presenta il Lenin Moreno uomo e presidente. Un politico convinto di aver fatto bene, molto bene, e di essere stato incompreso durante tutto questo tempo. Il 5 maggio 2021, a Miami, nel “Foro per la difesa della democrazia nelle Americhe” organizzato dall’Istituto Interamericano per la Democrazia, come raccontato dallo stesso Moreno, succede quanto segue. Una persona si avvicina al presidente dell’Ecuador e gli dice: “Chissà cosa sarebbe successo se avessimo avuto un miglior presidente” e Moreno, senza esitazione risponde: “Chissà cosa sarebbe successo se avessi avuto un miglior popolo”. È forse per questo, che alle 10:40 di mattina di lunedì 24 maggio, durante la cerimonia di successione, mentre Moreno lasciava come da protocollo l’edificio dell’Assemblea, tra le file dei presenti, una voce ha rotto l’armonia degli applausi gridando: “Moreno, nunca más” (Mai più Lenin Moreno).
Nel paese si respira tensione perché, se da un lato il correismo è stato messo in minoranza (sia alle urne nella seconda tornata elettorale con la sconfitta di Arauz, sia nell’elezione delle alte cariche dell’assemblea), dall’altro le forze conservatrici e reazionarie rappresentate da Lasso fanno temere una nuova liberalizzazione senza freni e la distruzione di ciò che resta del welfare.
La crisi provocata dalla pandemia da Covid-19 sarà un giustificativo da poter spendere per riforme strutturali a livello economico e statale, ma la corda sociale è molto tesa e c’è già chi scommette che Lasso potrebbe non arrivare a compiere i 4 anni previsti dal suo mandato presidenziale. Nel suo discorso d’insediamento, Guillermo Lasso ha ripetuto con forza che in Ecuador “è finita l’epoca dei Caudillos”. La domanda che sorge a questo punto però è: “Che epoca è appena cominciata in Ecuador?”