Mercoledì 26 maggio, tappa numero diciassette del Recovery Giro 2021, giorno di san Filippo Neri. Neri come i corridori della Ineos di Egan Bernal. Neri come gli umori dei suoi rivali. Neri come i pensieri degli uomini in fuga verso il passo San Valentino: erano partiti alla ventura in diciannove, compreso il francese Geoffrey Bouchard che indossa la maglia azzurra di miglior scalatore del Giro e va a caccia di quei Gran Premi della Montagna non ardui come lo Zoncolan o il Giau, o lo stesso arrivo di oggi a Sega di Ala. Ma il gruppo non gli ha lasciato tanto margine. E la lunga salita al San Valentino sfoltisce i corsari di giornata. Così, appena prima del valico, sono rimasti tre in testa: Gianni Moscon, scudiero della maglia rosa, Daniel Martin e Antonio Pedrero. Ma Bouchard non si arrende. Li riacchiappa. Ligio alla sua legge di predatore delle vette, dopo aver preso 4 punti al Gpm di Sveseri (m. 1096, colle di terza categoria), rastrella altri 40 fondamentali punti passando per primo anche al San Valentino (m.1315, prima categoria), il che gli garantisce un cospicuo vantaggio di 73 punti su Bernal.

Ma la maledizione delle cadute che ha falcidiato questo Giro ed incombe in ogni discesa, colpisce ancora. Alle 16 e 10 in punto, nella discesa dal san Valentino, quando manca una ventina di chilometri al traguardo, Remco Evenepoel cade insieme ad un gruppo di corridori che stava in coda al gruppo dei migliori. Una curva che gira a destra, una sbandata collettiva e il giovane belga va a sbattere contro il guardrail, e quasi si capotta. Perde sangue dall’avambraccio sinistro. Un taglio profondo. E’ sventurato, questo ragazzo sopravvissuto ad una terrificante caduta dieci mesi fa, al Lombardia dello scorso anno, quando precipitò in un burroncello.

Nel ruzzolone collettivo è rimasto coinvolto pure Giulio Ciccone. Bernal ne approfitta. Tarella. Guadagna quasi un minuto su Ciccone, che ha problemi con la bici, il cambio si è scassato, gli fa male la mano destra. La sfortuna, per Giulio, è che pure Vincenzo Nibali è rimasto attardato per la caduta e non può aiutarlo. Ciccone rincorre allo spasimo, recupera secondi, in compagnia di Janssens. Evenepoel, con coraggio, riprende dopo l’intervento dell’ambulanza. E’ rimasto fermo quattro minuti. Giro di sofferenza, per lui.

Davanti, i quattro sono diventati sei, si sono infatti aggiunti Simone Ravanelli e Giovanni Carboni, che in salita va forte, ma il loro vantaggio è esiguo, meno di due minuti. Pochi, per resistere al plotone di Bernal, Caruso, Vlasov e Yates che è composto da 35 corridori. Giulio Ciccone, nel frattempo, finalmente cambia la bici, e li riprende a tre chilometri da Sdruzzinà, dove comincia la salitaccia finale. Quando la strada si fa ripida, i sei in testa hanno ormai solo un minuto e 20” di vantaggio. In undici chilometri di ascesa e di pendenze feroci, sono niente. Carboni, Moscon, Bouchard e Ravanelli perdono subito le ruote di Martin e Pedrero, poi resta solo Martin. In questo momento, il distacco tra il trentaquattrenne capitano della Israel e la maglia rosa è di un minuto e 13”. Il gruppo di Bernal, alla cui ruota pedala Caruso, si è sfoltito. Ora sono una ventina.

Daniel Martin, inglese di Birmingham ma irlandese di passaporto è corridore di grande esperienza e anche di grandi successi: tra i più significativi, un Lombardia, una Liegi-Bastogne-Liegi, due tappe al Tour e due alla Vuelta. E’ uno scalatore di razza, sa che su una salita dura come questa che porta a Sega di Ala il vantaggio iniziale può essere ben difeso, mantenendo un ritmo costante ed efficace, come fosse una cronoscalata. Infatti guadagna qualcosina, ora il suo vantaggio è di 1’27”. Dietro, Ciccone paga caduta e sforzo per la rincorsa. Perde colpi Vlasov. L’implacabile trenino della Ineos di Bernal tritura la concorrenza, macina vittime. Moscon, che si era infilato nella fuga iniziale, aspetta capitan Bernal, così quelli della Ineos diventano quattro: con Bernal e i suoi, ci sono Caruso, Yates, Almeida, Bardet, Diego Ulissi (!), Bennett, Foss, Bettiol. A cinque chilometri dall’arrivo, prima delle rampe più asfissianti, Martin ha ancora 1’ e 20”.

A quattro chilometri, scatta Almeida, decimo in classifica a 10 minuti. Bernal lo lascia scappar via. Un minuto dopo schizza fuori Simon Yates, Bernal e il fido Martinez lo francobollano. Caruso accusa, però saggiamente continua col suo passo. Evita d’imballarsi. Amministra il suo secondo posto in classifica, galleggia a una cinquantina di metri. Almeida è raggiunto, Martin adesso è avanti di 52”, quando mancano tre chilometri e 300 metri. Schermaglie? No: Bernal è in difficoltà. Martinez, accelerando, ha messo in difficoltà il suo capitano. Yates vola via. Il Giro che sembrava dominio di Egan, è di nuovo aperto. Bernal ondeggia, barcolla. Una cotta. Arranca. Caruso lo riprende. O meglio, Bernal ha rallentato, perdendo quindici secondi in un amen. Almeida e Yates mirano Daniel Martin. Tra Simon ed Egal ci sono 44” a due chilometri dalla vetta. Caruso aiuta Bernal. Interessi coincidenti.

La crisi del colombiano riaccende la corsa, ci sono ancora due tappe complicate dalle salite. Venerdì, quella che si conclude all’Alpe di Mera, che assomiglia un po’ alla Sega di Ala, quanto a pendenze. E sabato, altro setaccio, all’Alpe Motta (tappa rimodellata dopo la tragedia di Stresa, non si farà il Mottarone). Se Bernal non dovesse recuperare, c’è terreno per incalzarlo e magari spodestarlo. Senza dimenticare che domenica va in scena la seconda crono di questo Giro, specialità in cui Yates è più forte di Bernal.

Per la cronaca, trionfa Martin, il più anziano dei vincitori di tappa di questo Giro. E’ la decima frazione in cui la fuga di giornata va a buon fine. Daniel Martin è il centoduesimo corridore della storia ad aver vinto almeno una tappa in ognuno dei grandi Giri. Secondo è Almeida, a 13”. Yates è terzo a 30”. Quarto Ulissi che supera Caruso, entrambi a 1’20”. Martinez precede il capitano Bernal, a settimo a 1’23”. Il britannico sale al terzo posto della classifica generale, ma tra lui e la maglia rosa ci sono ancora 3 minuti e 23 secondi. Ancora tanti. Forse troppi, per sperare nel colpaccio. O forse no. Il ciclismo degli umani regala sorprese. E oggi Bernal era umano. Lasciamoci illudere che il Giro sia ricominciato oggi. Quanto a Damiano Caruso, bravo a gestire il suo ruolo di challenger. Mantiene infatti il secondo posto, anzi, ha rosicchiato tre piccoli secondi e ora è staccato di 2’21” da Bernal. A Ciccone è andata peggio: era sesto, ora è mesto. Scende alla decima posizione (11’06” il distacco, un macigno). Migliorano Romain Bardet, sesto, e Almeida, ottavo. Ancora tanti.

Immaginate cosa avrebbe potuto essere il tappone dolomitico se non fosse stato avvilito dai tagli dell’organizzazione.

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