La norma finale, dopo la marcia indietro sulla proroga ad agosto, consente alle aziende industriali di licenziare dal primo luglio. Con l'eccezione di quelle che chiederanno la cig ordinaria. Per il segretario generale della Cisl Sbarra 500mila lavoratori in pericolo, per Bombardieri della Uil "tra i 500.000 e i due milioni". Ecco che cosa dicono le stime ufficiali
Dopo le polemiche dei giorni scorsi e la riscrittura della norma che prorogava il blocco dei licenziamenti, è approdato mercoledì in Gazzetta ufficiale il decreto Sostegni bis. Come già emerso, è saltata la parte che vietava fino al 28 agosto di licenziare alle aziende di industria ed edilizia che in giugno avessero chiesto la cassa Covid. La “mediazione” trovata da Mario Draghi prevede che lo stop continui solo per chi dal primo luglio chiede la cassa integrazione ordinaria, che in compenso diventa gratuita (sono sospese le addizionali di solito richieste a chi utilizza l’ammortizzatore) comportando un costo per lo Stato di 164 milioni. Soddisfatta Confindustria che aveva fatto forti pressioni perché fosse espunta la modifica proposta in extremis dal ministro Andrea Orlando in cdm. I sindacati invece continuano a chiedere al governo di ripensarci, accusano il premier di aver “assunto le posizioni di Confindustria” (copyright Pierpaolo Bombardieri, segretario generale Uil) e si dicono pronti a “ogni tipo di iniziativa”.
Ma quanti sono i posti a rischio da luglio, quando di fatto l’industria sarà libera di interrompere i contratti? Per il segretario generale della Cisl, Luigi Sbarra, più di 500mila. Mentre Bombardieri ha affermato che il range “è tra i 500.000 e i due milioni”, perché “Bankitalia dice che le persone sicuramente a rischio sono oltre 500.000″ e “i nostri dati parlano di una platea due milioni”. E’ il caso di fare chiarezza, partendo dalle previsioni ufficiali fatte prima della nuova norma che secondo il governo dovrebbe comunque disincentivare le uscite. Con la premessa che gli eventuali esuberi avranno un impatto minimo sui dati ufficiali dell‘Istat, che da gennaio ha cambiato metodo di rilevazione e già conta tra i disoccupati i lavoratori in cassa da oltre tre mesi: di qui l’aumento a quasi 1 milione dei nuovi disoccupati a causa delle conseguenze della pandemia.
Torniamo alle previsioni su chi potrebbe perdere il posto a luglio. Nel suo ultimo rapporto sulle comunicazioni obbligatorie, via Nazionale stima i “licenziamenti che si sarebbero verificati anche senza la pandemia e che verosimilmente si manifesteranno progressivamente alla rimozione del blocco” in 90mila nelle costruzioni e 75mila nell’industria, per un totale di 165mila. Altri 100mila (stima conservativa) sarebbero nel commercio e nel turismo, comparti per i quali però il blocco permane fino a ottobre – e per allora ci sarà stato l’impatto positivo della stagione estiva. Palazzo Koch aggiunge che “a questi si aggiungeranno quelli riconducibili alla riduzione dell’attività economica causata dalla crisi”, dato che però dipenderà dall’andamento dell’economia, che in questa fase appare in netta ripresa stando ai dati Istat su fatturato dell’industria e commercio estero.
Un’altra stima l’ha fatta in aprile l’Ufficio parlamentare di bilancio, secondo cui sono circa 130mila i lavoratori a rischio da luglio: meno di quanto si temeva nei mesi precedenti, grazie alla sostanziale tenuta (anche grazie agli aiuti pubblici) della redditività delle imprese manifatturiere, con la sola eccezione del comparto tessile e moda. “Il recupero di regimi normali di attività economica per i settori/comparti assicurati con la Cassa integrazione, unitamente alla possibilità di accedere alla Cassa integrazione con le causali tradizionali e con contatori azzerati, concorre a ridimensionare la platea dei dipendenti che potrebbero essere licenziati”, scrive l’Upb nella memoria sul primo decreto Sostegni. L’organismo indipendente cita il Rapporto “Il mercato del lavoro nel 2020”, secondo cui “a settembre 2020 sono stati poco meno di 200.000 i dipendenti con una quota delle ore integrate superiore all’80 per cento” e tra questi “poco più di 100.000 sono rimasti in integrazione salariale per sette mesi (da marzo a settembre) e altri 60.000 circa per sei mesi”, e sottolinea che questi “sono identificabili come la platea più a rischio di licenziamento. Si tratta di una platea riferibile, però, a tutti i settori/comparti e non specificamente a quelli per cui i licenziamenti sono sbloccati dal 1° luglio”.
Un’indicazione simile si desume, continua l’Upb, dal “più recente Bollettino economico della Banca d’Italia, dove gli occupati nel 2021 sono previsti in contrazione dello 0,9 per cento, con una perdita di circa 225.000 soggetti nel complesso di dipendenti e indipendenti e di tutti i settori/comparti. Anche questo dato va, tuttavia, letto come un upper bound”. Un’altra fonte è l’Osservatorio sul precariato dell’INPS che mostra come le “minori cessazioni” registrate nel periodo del blocco sano state 130mila nei comparti della manifattura e delle costruzioni. Dunque “se dal 1° luglio i datori di lavoro volessero recuperare lo stock accumulato di mancate cessazioni, potrebbero essere a rischio questi 130.000 lavoratori, un dato che si posizionerebbe nel mezzo della forchetta 100.000-200.000 prima individuata”.