Non tutti i record sono fatti per essere ostentati. Ce ne sono alcuni in grado di trasformare santi in eretici, club in zimbelli, sogni estivi in incubi permanenti. Primati neri come l’abisso e rossi come la vergogna, da nascondere in fretta sotto al tappeto nella speranza che il tempo riesca a inghiottirli e a consegnarli all’oblio. Il calcio in mano al popolo è un’utopia che odora di stantio, uno slogan impregnato di nostalgismo. Eppure spesso il calcio delle (vere o presunte) opulente proprietà internazionali si rivolta contro il popolo. Ed è particolarmente fantasioso nel trovare nuovi metodi con cui far soffrire i propri tifosi. Un concetto che negli ultimi mesi è diventato di stringente attualità a Sheffield. Non una città qualsiasi, ma quella che ha codificato le regole del pallone.
Nobiltà da cartolina, eredità di un passato che ormai non ha più niente a che vedere con il presente. Perché ora Sheffield si è trovata cucita addosso un’altra etichetta. Quella di città più retrocessa d’Europa. Nel vero senso della parola. È successo tutto ben prima della fine del campionato. Lo United ha chiuso all’ultimo posto in Premier League. Era stato dichiarato spacciato già a dicembre, quando dopo 14 giornate aveva messo insieme appena un punto. La fine è arrivata il 17 aprile, dopo la sconfitta per 1-0 in casa dei Wolves. Una disfatta che in qualche modo perverso assomigliava a una liberazione. Lo United precipita in Championship. Dover però non troverà i rivali dello Sheffield Wednesday. Perché a loro volta i cugini sono sprofondati nella terza serie inglese dopo aver chiuso il campionato all’ultimo posto. Una matrioska di delusioni che ha finito per far penare tutti, ma che soprattutto ha strappato alle due fazioni il nettare più dolce per ogni tifoso: gioire delle disavventure dei propri cugini. Sheffield è una città che sta affrontando grandi sfide. Nel calcio. Nell’economia. Un agglomerato da mezzo milione di abitanti nel cuore dell’Inghilterra che sta pagando il conto salato del Covid 19. Per la “Steel City”, la città delle fabbriche di acciaio che ricorda così da vicino le “Iron Towns” raccontate da Anthony Cartwright in “Città di Ferro” (uscito in Italia per 66thand2nd), l’attualità è piuttosto complessa.
Secondo uno studio del 2019 che ha analizzato i dati dei cinque anni precedenti, il 17% dei negozi ha abbassato la saracinesca. Per sempre. Colpa anche della difficoltà a competere con Meadowhall, il centro commerciale costruito nel 1990. L’ultimo biennio sembrava quello della ripresa. Secondo alcune stime riportate dai quotidiani inglesi, fra il 2018 e il 2019 il South Yorkshire ha fatto registrare un’impennata di assunzioni, con oltre 15mila nuovi posti di lavoro saltati fuori nel settore privato. Neanche nell’era del boom economico precedente alla crisi del 2009 si era registrato un simile slancio. Il sollievo, però, è durato molto poco. La nuova contrazione dell’economia legata alla pandemia, infatti, potrebbe cancellare qualcosa come 40mila posti di lavoro. Un’enormità. Anche il calcio ha pagato il suo dazio. Prima che il Coronavirus sbarcasse nel Vecchio Continente, lo United era sesto in Premier League mentre il Wednesday era nella stessa posizione della Championship. Il futuro non era ancora una terra straniera. Europa e promozione erano due parole pronunciate frequentemente nei diversi quartieri della città. Invece il sol dell’avvenire si è tramontato piuttosto in fretta.
In estate lo United del principe saudita Abd Allah bin Musa’id Al Sa’ud ha speso sul mercato quasi 63 milioni di euro. Le entrate per le cessioni, invece, non hanno portato nelle casse societarie neanche un euro. Un paio di calciatori sono stati svincolati, altri ceduti in prestito a titolo gratuito. Buona parte del budget è stato speso per acquistare Rhian Brewster, attaccante ventenne del Liverpool. Quello che doveva essere l’uragano con il quale funestare le aree avversarie, però, è stato subito declassato ad assolato pomeriggio d’estate senza neanche un filo di vento. In 27 partite (il 34% da titolare), Brewster ha fatto registrare lo score di zero gol segnati e zero assist subiti. Ma anche la “vecchia” guardia ha tradito le aspettative. Jack O’Connell, il centrale difensivo che aveva fatto stropicciare gli occhi all’Inghilterra nel campionato precedente, si è rotto il legamento del ginocchio e ha messo insieme appena due presenze. Oliver McBurnie, che sulle spalle porta il simbolico numero 9, ha segnato un gol in 23 partite. Ma fuori dal campo ha fatto di peggio. A metà maggio ha avuto un diverbio in strada con una ragazza. Così un tifoso del Leeds ha pensato di intervenire per calmarlo. “Rilassati amico, non può essere peggio che essere retrocesso”, ha detto all’attaccante. Così McBurnie, inglese naturalizzato scozzese, ha dato in escandescenze e l’ha aggredito.
Lys Mousset, jolly offensivo che l’anno scorso aveva messo a referto 6 gol e 4 assist, in questa stagione ha giocato appena 289’, tutti da impalpabile. “Il suo impatto più grande negli ultimi mesi – scrive il Guardian – è stato quando è stato accusato di guida imprudente dopo che la sua Lamborghini da 300mila sterline ha colpito alcune auto parcheggiate”. La somma delle individualità non si è mai trasformata in collettivo. I numeri fanno spavento. In tutto il campionato lo Sheffield ha segnato appena 20 gol. E non c’è molto che faccia ben sperare nel futuro. Perché i capocannonieri della squadra non sono esattamente usciti dal vivaio: David McGoldrick, 34 anni, ha segnato 8 gol. Billy Sharp, ormai trentacinquenne, è andato in rete 3 volte. Mentre il terzo nella classifica dei marcatori (con due centri) è Jayden Bogle. Lui di anni ne ha quasi 21. Ma di professione fa il difensore. La noia diventa un sentimento fin troppo lussuoso. Qualche settimana fa Abd Allah bin Musa’id Al Sa’ud, ha parlato della sua passione per il fantacalcio inglese. E ha specificato che nella sua squadra immaginaria non c’è neanche un giocatore dello Sheffield United. Non un dettaglio da poco conto se a a sottolinearlo è il proprietario del club in persona. La prossima stagione ha già preso la forma di un punto interrogativo. Sei calciatori (Ampadu, Lundstram, Bryan, Rodwell, Moore e Jagielka) sono arrivati a scadenza. E non dovrebbero essere rinnovati. Per ritornare subito in Premier serviranno altri investimenti importanti. Ma non sarà facile. Anche perché gli stipendi dei giocatori rappresentano il 160% delle entrate.
Anche l’alba della stagione dello Wednesday è stata insolitamente scura. La scorsa estate al club sono stati inflitti 12 punti di penalità (poi dimezzati) per “irregolarità finanziarie” da scontare in questa stagione. Tutto ruota intorno alla vicenda dello stadio di Hillsborough, che nel 2019 era stato acquistato dal proprietario del club, l’imprenditore tailandese Dejphon Chansiri, per 60 milioni di sterline. Solo che il profitto era stato fatto rientrare nel bilancio della stagione precedente. Per centrare la salvezza nonostante questa pietra al collo, i “Gufi” hanno preso una decina di giocatori. Windass e Paterson sono arrivati da Wigan e Cardiff per poco più di 500mila euro a testa. Gli altri non sono costati neanche una sterlina. Il campionato deludente appena terminato rischia di essere un antipasto di quello futuro. La scorsa settimana, infatti, Chansiri si è autoincoronato sovrano dell’ancien regime. Nella sua figura si accentreranno i ruoli di presidente, amministratore delegato e direttore dell’area sportiva. Con buona pace della separazione dei poteri. Secondo il sito Transfermartk, 17 giocatori della rosa dei Gufi sono in scadenza di contratto il 30 giugno. E nessuno di loro è ancora stato rinnovato. In due, Van Aken e Rhodes, si sono accordati con altri club gratuitamente, mentre Liam Shaw è già stato ceduto al Celtic per 450mila euro. Sheffield continua a essere una città senza derby. Negli ultimi 10 anni United e Wednesday sono state nella stessa serie appena 2 volte. La Steel City lotta per rialzarsi. O quanto meno per evitare di diventare la Orano di Camus: “Una città senza intuizioni, quindi una città assolutamente moderna”. Almeno nel calcio.