Peccato. Torna a casa Remco Evenepoel, che ieri era andato a sbattere contro un guardrail, e si era seriamente ferito all’avambraccio sinistro. Il giovanissimo fuoriclasse belga ha fatto i conti con la dura realtà delle corse a tappe, con gli agguati delle infide discese, con i fantasmi delle sue paure (ha rischiato la pelle finendo in un burroncello al Lombardia dello scorso agosto), con la presunzione di essere comunque un campione “superiore” che lo aveva illuso, lui e i suoi dirigenti. Ora è facile dire, col senno di poi, che sarebbe stato meglio per Remco una marcia d’avvicinamento al grande ciclismo graduale e ponderata. Hanno voluto forzare i tempi. Remco pensava di poter essere più competitivo. Si è sbagliato. Hanno sbagliato quelli del suo team. Il ciclismo non è un’opera di beneficenza.

Anche Giulio Ciccone ha abbandonato, malconcio dopo la caduta nella discesa dal passo san Valentino. Vincenzo Nibali, suo capitano, invece tiene duro, prosegue: con fasciatura al braccio destro, perché pure il siciliano è caduto, l’ennesimo incidente che ha costellato e spezzato la sua straordinaria carriera. Altra tempra? Probabile, saper soffrire al limite della sopportabilità spesso è la differenza tra il grande campione e l’aspirante campione. Più delle ferite conta la resilienza mentale. La testa pedala con lo stesso impegno delle gambe, talvolta di più.

La malinconica defezione dell’abruzzese, decimo in classifica generale, favorisce l’irlandese Daniel Martin, il vincitore di Sega d’Ala, che s’insedia al posto suo, entrando nella top ten, la referenza delle gare a tappe. E’ sempre più un Recovery Giro, mai tante vittime illustri come quest’anno. Da Mikel Landa a Remco Evenepoel, da Domenico Pozzovivo a Giulio Ciccone, da Pavel Sivakov a Jay Hindley, da Marc Soler a Matej Mohoric, una lunga lista che comprende anche vincitori di tappa come Caleb Ewan, disertore che ha voluto evitare le fatiche delle montagne e Joseph Dombrowski. Manca da molte tappe pure il “rosso” friulano di Buia, al secolo Alessandro De Marchi, combattente nato, maglia rosa dopo Filippo Ganna, che dedicò il suo provvisorio primato alla causa di Giulio Regeni. Un Giro più di assenze che di presenze.

Oggi va in scena la tappa più lunga e ghiotta (penso ai risotti Carnaroli, ai salami di Varzi, alla schita – la frittella locale – agli agnolotti pavesi), dal Trentino ai vigneti della Bonarda di Stradella, nell’Oltrepò Pavese, dove hanno allestito una bella sagra dedicata ai prodotti locali: sono 231 chilometri con qualche increspatura nel finale, quattro scollinamenti, c’è persino un piccolo Gran Premio della Montagna di quarta categoria, alla Casa Barbieri di Castana (m.328) quando mancano ventidue chilometri al traguardo.

Dunque, tappa di relativa tranquillità per i big che smaltiscono le tossine delle salite tridentine, parentesi opportuna per Egan Bernal che deve elaborare le conseguenze psicologiche della “bambola” di cui è stato vittima negli ultimi chilometri della salita a Sega d’Ala e che lo ha riportato sulla terra, “anche lui è umano”, ha ironizzato Damiano Caruso. La piccola crisi del colombiano ha ringalluzzito gli avversari: chissà, forse non è un malessere passeggero, forse la maglia rosa è vulnerabile… e più felici sono gli organizzatori del Giro, perché aumenta l’interesse se c’è parvenza d’incertezza.

Giornata dunque per riflessioni e confronti (Giro e Tour, per esempio), ciclomercato (si parla del passaggio di Peter Sagan alla Israel del miliardario e filantropo Sylvan Adams di Quebec, doppia nazionalità canadese ed israeliana, che ha già ingaggiato Chris Froome), ma soprattutto tappa da fuga robusta e finisseur. Infatti, dopo una trentina di chilometri scappa via un gruppetto consistente di ventitré corridori in rappresentanza di sedici squadre (su 23).

Spiccano i nomi di Diego Ulissi, ieri sorprendente quarto (le salite difficili non sarebbero il suo pane) e di Alberto Bettiol, anche lui in gran spolvero a Sega d’Ala. Con loro, l’eroico Stefano Oldani, uno dei due superstiti della decimata Lotto-Soudal, il bravo Andrea Vendrame soprannominato Vendramix, vincitore della tappa da Siena a Bagni di Romagna, e ancora Gianni Vermeersch, lo svizzero Simon Pellaud che guida la speciale classifica dei fuggitivi (ha già ampiamente superato i 695 chilometri!), Andrii Ponomar, l’eritreo Natnael Tesfatsion, Samuele Battistella, il basco Gorka Izagirre, Filippo Zana, Simone Consonni, il cronoman Rémi Cavagna, Francesco Gavazzi, Samuele Rivi, Wesley Kreder, Patrick Bevin, Dario Cataldi, Niklas Arndt, Nico Denz, Alessandro Covi, il figlio d’arte Nicolas Roche. Papà Stephen nel 1987 rastrellò tutto: Giro, Tour e Mondiale. Maria, la sorella di Stephen, è la madre di Daniel Martin. Meraviglioso intreccio della genetica. E della passione ciclistica.

I ventitré divorano la strada a 45 chilometri l’ora. Il loro vantaggio assume proporzioni bibliche. Sfiora il quarto d’ora. A Bernal gli fa un baffo. Il migliore in classifica, tanto per capirci, è Izagirre, a 57 minuti e 34 secondi dalla maglia rosa. Ulissi sta a un’ora 7 minuti e 39”, Bettiol a 1h 22’40”. Vermeersch, che si aggiudica il traguardo volante, è lontano una tappa, 3 ore 13’ 30”, novantanovesimo in classifica. Riccardo Minali, l’attuale ultimo, perde 4 ore 30’34” secondi. Brocchi? No, frutto delle logiche di corsa. Ogni tappa cela nel suo tracciato un mucchio di corse parallele. Quella per la maglia rosa e il podio. Quella per la top ten. Quella per la vittoria di giornata. C’è la corsa per la maglia ciclamino, determinata dai punti che si ottengono negli arrivi e in traguardi intermedi. C’è la grande lotta per la maglia azzurra di miglior scalatore, trofeo ambito e di nobile storia. L’accanita disputa dei traguardi volanti. La classifica delle fughe. La maglia bianca del miglior giovane under 26. Il trofeo del fair play. La graduatoria a squadre.

Quando mancano trenta chilometri all’arrivo, comincia la bagarre. In sei salutano la compagnia: Izagirre, Bevin, Roche, Bettiol, Mosca e Oldani. Guadagnano una manciata di secondi, mentre il gruppo è sedici minuti e mezzo. Ulissi, sorpreso, conduce l’inseguimento. E’ Samuele Battistella a riprendere Bettiol e gli altri cinque. Il tempo di rifiatare e schizza via Cavagna. Che è uno difficile da riprendere, perché il corridore di Clermont Ferrand va come un Tgv, è uno dei migliori specialisti al mondo nelle corse contro il tempo. Infatti guadagna subito 10”. Ad inseguirlo, restano in sedici. Il francese di origini piemontesi deve aver ricordato il salmo “Liberami dai miei nemici, mio Dio/mettimi in salvo dai miei avversari”…

Cavagna macina chilometri sui saliscendi, a 23 km dall’arrivo, ha già 24 secondi di vantaggio ed intasca i tre punticini del Gran Premio della Montagna. Deve passare Cicognola (dove c’è il castello della famiglia di Letizia Brichetto Arnaboldi in Moratti) e poi Broni, per salire a Canneto Pavese e scendere a Stradella, dove ventisette anni fa vinse Max Sciandri che regolò in volata il possente Dzamolidin Abdoujaparov, Zanini, Sorensen e Gianni Bugno. Fu, quel Giro del 1994, l’edizione in cui Marco Pantani divenne il Pirata delle salite: dominò a Merano, stroncò i rivali all’Aprica. L’uzbeko “Abdou” detto il Terrore di Taskhent fu capace di vincere le classifiche a punti in tutti e tre i grandi Giri, nell’anno di Stradella, fu primo sia al Giro d’Italia sia al Tour. Fece sue nove tappe al Tour, sette alla Vuelta, una al Giro e una Gand-Wevelgem. La reputata rivista Cyclingnews lo inserì nella top ten dei velocisti di ogni tempo. Ma era il 2011.

Bettiol cerca disperatamente di riprendere Cavagna, Rémi è avanti di diciassette secondi. L’italiano allo spasimo rosicchia secondi. L’ultimo dado da trarre. Bettiol ormai vede Cavagna. Duello. Anzi, triello: perché Roche raggiunge Bettiol. La strada spiana e il francese guadagna qualcosina sui due che vorrebbero azzannarlo. Corrono ciclismi troppo diversi. Cavagna, quello costante del cronometro. Bettiol, quello che disgrega, che torce le pedivelle, che spinge alla disperata. Roche, quello bello ma non basta. Ed infatti l’irlandese perde la ruota di Alberto. Bettiol agguanta Cavagna. L’orgoglio lo aizza. L’italiano scrolla una volta, due, alla terza molla l’osso. Cavagna incassa l’uppercut. La sua musica ha finito, canterebbe Francesco Guccini, “se guardi nelle tasche della sera/ritrovi le ore che conosci già…”.

Bettiol ha distrutto Roche, stroncato Cavagna. Va come quando trionfò nel Giro delle Fiandre. Il traguardo di Stradella è suo. Paolo Conte le ha dedicato una canzone: “la fisarmonica di Stradella”. Cos’è la Pianura Padana dalle sei in avanti, “una nebbia che sembra di essere dentro/a un bicchiere di acqua e di anice, eh già/l’ha detto anche oggi la radio ed è vero…”, ma oggi su Stradella e la Padania splendeva un sole di maggio bellissimo e caldo e le colline dell’Oltrepò verdi come smeraldi, e i chilometri non sono più lunghi, come canta Conte, ma dolci.

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