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Morta Carla Fracci, la sua vita come una fiaba: così la figlia di un tramviere è diventata con talento e ostinazione la più famosa ballerina del mondo

di Davide Turrini
Morta Carla Fracci, la sua vita come una fiaba: così la figlia di un tramviere è diventata con talento e ostinazione la più famosa ballerina del mondo

Addio Carla Fracci. L’etoile mondiale della danza del Novecento dalle radici profondamente popolari aveva 84 anni. Milanese, infanzia da sfollati in campagna, padre tranviere scampato alla guerra di Russia, mamma operaia alla Innocenti, bambina “molto fragile ma dal bel faccino” la Fracci voleva fare la parrucchiera ma diventò la più acclamata, autentica, delicata e allo stesso determinata ballerina di danza in ogni angolo del pianeta per oltre metà del secolo scorso. Altri tempi quelli di Carla bambina per nulla prodigio. Niente mamme e babbi ossessionati dal successo ad istigare le figlie artiste. La piccolina, decenne, mentre trotterella un valzer viene notata da amici dei suoi genitori che ne intuiscono il talento nel muoversi a tempo con la musica. Per fortuna che le audizioni alla scuola di danza del Teatro alla Scala nel 1946 erano gratuite. Chi mai se lo sarebbe potuto permettere.

Eppure il cigno in tutù e calzamaglia, oltre duecento personaggi interpretati, Cenerentola, la silfide di Nourrit, Giulietta al balcone shakesperiano, sonnambula del Bellini e schiaccianoci di Tchaikovsky, tra i più impervi e sperimentali scenari teatrali, anche le cabine elettorali come spogliatoi a Paestum con Zeffirelli, era tutta lì da scoprire nella sua immensa, rara e armoniosa bellezza. Nel decennio dei cinquanta forgia il suo corpo in maniera incessante, supera le ritrosie delle insegnanti che affermano distratte che non si impegna, si diploma e si afferma come ballerina della Scala. Vede sul palco de La bella addormentata la monumentale Margot Fontayne, stella del Royal Ballet londinese, la ballerina della regina Elisabetta, e capisce finalmente che il palco è la sua casa. Carla monade della danza intuisce in quell’istante che “tutto sembrò avere un senso: la sbarra, il solfeggio, gli esercizi al centro”.

L’aveva raccontato nel bel libro biografico Passo dopo passo, edito da Mondadori nel 2013. All’improvviso non è più una questione di tecnica, ma di grazia, probabilmente divina: “Mi ripetono sempre che il mio modo di ballare dà emozione: questo è il complimento che preferisco. Ma se riesco a emozionare il pubblico, vuol dire che anch’io mi emoziono: la tecnica perfetta soltanto non fa grande una ballerina. Artista è chi, con la propria sensibilità, riesce a portare questa emozione agli altri”. Nel 1967 raggiunge la vetta dell’American Ballet Theatre e come dire, dopo, tutto diventa naturale, spontaneo. Inesausta la Fracci che si appoggia tra le braccia di Nureyev e Baryshnikov, Bortoluzzi e Iancu, apparentemente leggera come una piuma, in realtà in uno sforzo fisico supremo e vibrante, roba che la Nina Sayers/Natalie Portman de Il cigno nero di Aronofsky è una sciocchezza. “La danza è soltanto lavoro, lavoro micidiale. Non è qualcosa che riguarda la ginnastica, ma l’estetica, la danza è un dialogo incessante con la bellezza”, spiegava. Ed è lì che il miracolo dell’artista si compie ed è continuato a compiersi per decenni.

Fracci attrice come seconda moglie di Giuseppe Verdi, in tv che danza con le Kessler e gareggia con Mina e Franca Valeri, simpatica apparizione in un album di Elio e le storie tese canticchiando Heavy Samba. Scevra dall’altezzoso presenzialismo del settore, Carla dalle origini umili, Carla “terrestre”, che nel 1964 sposa il fiorentino Beppe Meneghetti, regista poi di molti spettacoli con lei protagonista, papà dell’amato figlio Francesco. “Era il 1954, Carla aveva 17 anni, io ero stato chiamato come assistente di Luchino Visconti alla Scala. La vidi per terra, a compiere alcuni esercizi con i piedi. La guardai, e l’intensità di quello sguardo non si è smarrita dopo oltre sessant’anni”. Di bianco sempre vestita la Fracci, spesso un decolleté con laccetto a sbucare sulla caviglia tra la gonna e il piede, “eterna fanciulla danzante” come la definì in una poesia Eugenio Montale, la ballerina milanese è stata direttrice del Corpo di Ballo del Teatro San Carlo di Napoli negli anni ottanta, dal ’96 di quello dell’Arena di Verona, e dal 2000 per dieci anni a capo della compagnia di danza all’Opera di Roma, ma sempre sottotraccia il rimpianto, non privo di rancore, del mancato annuncio a dirigere il balletto alla Scala.

Assessore alla cultura e allo sport della provincia di Firenze nella giunta Pd-Idv-Sel dell’allora presidente Barducci, il rispetto e la vicinanza perfino per Fidel Castro, un film su di lei in lavorazione con Alessandra Mastronardi protagonista, Carla Fracci ha vissuto il Novecento italiano delle arti concedendosi senza mai risparmiarsi. “Non si finisce mai di imparare e tutto ricomincia daccapo ogni giorno. Ogni mattina, se sei una ballerina, che tu sia donna di diciassette, ventisette, trentasette o settantasette anni, devi rimetterti alla sbarra e cominciare dalla prima posizione”.

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