Alle cene mangiava molto e con gusto, con qualche bicchiere di vino, e si intratteneva fino a tardi. In auto si addormentava, poi all’improvviso si voltava verso il marito, il regista Beppe Menegatti e diceva: “Che ore sono?”. “Ecco, anche stanotte abbiamo fatto le ore piccole. Uffa!”, e si riaddormentava
Era un cigno, ma il cigno nero. Non solo l’eterea ballerina degli atti bianchi del balletto di repertorio, ma anche la donna volitiva e terrena di “Giselle”, che diventa pazza per amore e con i capelli arruffati cammina barcollando fino a cadere. “Dentro di me c’è anche la parte del cigno nero, il fuoco e la passionalità. Sono combattiva e temeraria”, mi aveva svelato. Ultimamente, prima della pandemia, si era data disponibile per un progetto di spettacolo in cui sarebbe diventata la cyber Fracci, un personaggio virtuale in scena. E avrebbe persino danzato sulla musica punk: “Carla Fracci Reinvented”, lo avremmo chiamato. “Mi piacerebbe creare qualcosa di nuovo, in sintonia con i giovani, con la musica rock e con le nuove tendenze della danza. Carla Fracci, il mito, danzava dietro le quinte la rumba ancora quattro anni fa, insieme ai ballerini della Scala, ospiti di un mio gala internazionale al Manzoni di Milano, e alla fine sul palco, davanti a un pubblico incantato e sorpreso.
Alle cene mangiava molto e con gusto, con qualche bicchiere di vino, e si intratteneva fino a tardi. In auto si addormentava, poi all’improvviso si voltava verso il marito, il regista Beppe Menegatti e diceva: “Che ore sono?”. “Ecco, anche stanotte abbiamo fatto le ore piccole. Uffa!”, e si riaddormentava. Prendeva due aerei in un giorno ma arrivava arzilla come una teen ager. Attenta a non perdere il suo scialle bianco, che completava il suo look speciale. Aveva deciso di portare il bianco da quando era incinta del figlio e non aveva più smesso. Ma al mare in Toscana usava i jeans. Non le piacevano le folle. Entrò a un concerto in suo onore che avevo organizzato nel 2011 a Genova, “La musica che danza”, come una bambina smarrita, mentre le ragazzine con lo chignon la circondavano per un autografo e la sala di Palazzo Ducale era gremita. Bisognava accompagnarla fino al palco. Si girava verso l’orchestra alla sue spalle come sopraffatta dalle emozioni. Ma poi, nella sua vera dimensione artistica, cambiava completamente. Diventava l’étoile sicura e carismatica che oscurava tutto.
Aveva lottato per le politiche della danza sin dai tempi in cui era direttrice del Ballo all’Opera di Roma. L’ultima battaglia l’abbiamo fatta insieme nel 2019 a Genova, per il recupero della memoria del Festival del Balletto di Nervi. Carla, insieme ad altre étoile nate proprio in quel contesto, voleva portare il suo saluto alla kermesse rinnovata e i filmati storici del Fondo Mario Porcile. In maniera stupefacente e incomprensibile non ci fu riposta dalle istituzioni locali. Mi disse: “Facciamo una lettera aperta”. E così tutti i media liguri uscirono con le sue parole in prima pagina. Vederla recentemente alla Scala dare consigli ai primi ballerini di “Giselle”, chiamata dal direttore del ballo Manuel Legris, è stato emozionante. Le sfumature del personaggio, solo lei riusciva a darle.