Da tempo e ancora con maggiore insistenza in questi ultimi giorni una storica associazione della proprietà edilizia sta mettendo in campo una forte campagna contro il blocco degli sfratti sulla base di due azioni.
La prima giuridica: attraverso il sostegno a ricorsi alla magistratura tendenti a chiedere alla Corte Costituzionale di esprimersi sulla sospensione degli sfratti sulla base del fatto che la sospensione degli sfratti è stata generalizzata e non tesa solo a sostenere le famiglie in crisi a causa dell’emergenza sanitaria da Covid.
In realtà, lo si legge anche nelle due sentenze recenti dei giudici di Trento e Piacenza, si omette completamente che la sospensione degli sfratti si basava sul fatto elementare che in piena pandemia non si potevano certo sfrattare e mettere per strada oltre centomila persone, ma questo secondo i due giudici e l’associazione storica dei proprietari è un dettaglio. La Corte Costituzionale di questo “dettaglio” terrà conto e l’Unione Inquilini ha già dichiarato che presenterà una memoria contraria che considererà questo “dettaglio”, in quanto il diritto alla salute, in particolare durante una pandemia globale, è almeno sullo stesso piano del diritto alla proprietà privata che in ogni caso deve tenere conto della sua funzione sociale.
La seconda azione è culturale e politica. L’associazione storica della proprietà edilizia afferma che: “Il blocco uccide l’affitto”. Ma è davvero così? Vediamo i dati storici del ministero dell’Interno sugli sfratti e in particolare sulle motivazioni delle sentenze. Con i dati si può dimostrare quanto sia falso l’assunto, del tutto ideologico, che il blocco degli sfratti uccida l’affitto e il settore delle locazioni.
Questi i dati di tre periodi storici:
– nel 1999, primo anno di vigenza della legge 431/98, che ha abolito l’equo canone e liberalizzato il mercato delle locazioni, assumendo il libero mercato come canale contrattuale prioritario, le sentenze per finita locazione sono state 14.230, le sentenze per morosità sono state 38.944;
– nel 2010 le sentenze per finita locazione sono state 8.464; le sentenze per morosità 56.147;
– nel 2019 (ultimi dati disponibili) le sentenze per finita locazione sono state 4.265, le sentenze per morosità sono state 42.326.
Si può continuare con questa mistificazione? Appare lampante come la liberalizzazione degli affitti ha comportato che nel 1999 per una sentenza per finita locazione ve ne erano tre per morosità. Nel 2010 a fronte di una sentenza per finita locazione ve ne erano sette per morosità. Nel 2019 a fronte di una sentenza per finita locazione ve ne sono state dieci per morosità.
Sarebbe pure ora di smetterla con le narrazioni tossiche. Chi ha affossato il mercato delle locazioni è stato il libero mercato e i dati del ministero dell’Interno sono lì a dimostrarlo. Al contrario durante la vigenza dell’equo canone dal 1978 al 1998 le sentenze per finita locazione erano la maggioranza delle sentenze. Tanto per citare un dato, nel 1983 dopo cinque anni di vigenza dell’equo canone, le sentenze per finita locazione sono state 100.891 mentre quelle per morosità 17.895
Non sarà certo una sospensione degli sfratti durante una pandemia ad affossare il mercato delle locazioni, ma le pretese di affitti insostenibili offerti, oltretutto, a famiglie in Italia che non sono in grado di sostenere. Dal 1999 non abbiamo assistito ad un mercato capace di calmierarsi, ma abbiamo visto un mercato più simile alla giungla dove la priorità non era trovare il giusto equilibrio tra domanda e offerta ma dove l’offerta pretendeva solo il massimo introito dalla rendita. Poi sarebbero i sindacati inquilini quelli ideologici, vero?