Ventiquattro i voti favorevoli, nove i contrari e 14 astenuti. A una settimana dall’inizio della tregua dopo 11 giorni di bombardamenti e lanci di razzi tra Israele e Gaza, il Consiglio diritti umani delle Nazioni unite ha approvato una risoluzione per la creazione di una Commissione d’inchiesta permanente (lo strumento più potente a disposizione dell’organo) che monitori e registri le violazioni dei diritti umani da parte di Israele nei confronti dei palestinesi nello Stato ebraico come nella Striscia e in Cisgiordania e che approfondisca le “cause profonde” delle tensioni.
Ma a intervenire contro la risoluzione dell’Onu è insorto il premier israeliano Benjamin Netanyahu che ha condannato l’iniziativa, bollata come “decisione vergognosa” che è “l’ennesimo esempio della palese ossessione anti-israeliana del Consiglio delle Nazioni unite per i diritti umani”. Per Netanyahu “ancora una volta, una maggioranza automatica immorale al Consiglio ignora un’organizzazione terroristica genocida – ha detto facendo riferimento ad Hamas – che prende deliberatamente di mira i civili israeliani mentre trasforma i civili di Gaza in scudi umani. Questo mentre raffigura come ‘colpevole’ una democrazia che agisce legittimamente per proteggere i suoi cittadini da migliaia di attacchi missilistici indiscriminati. Questa farsa si fa beffe del diritto internazionale e incoraggia i terroristi in tutto il mondo”, ha scritto in vari post.
Il ministro degli Esteri israeliano ha poi aggiunto che “la decisione” di istituire la commissione in seno all’Onu “non contiene alcun riferimento all’organizzazione terroristica di Hamas e ignora completamente i 4.300 razzi verso i cittadini israeliani”. Ed è una “macchia morale sulla comunità internazionale e sulle Nazioni Unite“. “Il vero scopo della commissione d’inchiesta è quello di nascondere i crimini dell’organizzazione terroristica di Hamas e incriminare Israele per azioni in difesa dei suoi cittadini”, ha aggiunto, secondo una dichiarazione citata da Times of Israel.
La risoluzione Onu – A favore hanno votato Cina e Russia; vari Paesi occidentali e africani si sono opposti. Gli Stati Uniti non hanno partecipato, nel loro ruolo di Stato osservatore; dopo l’approvazione, la missione Usa a Ginevra ha detto di essere “profondamente dispiaciuta”. Israele aveva fatto appello ai Paesi “amici” perché non partecipassero.
Il Consiglio dei diritti umani dell’Onu si è riunito in seduta straordinaria proprio per discutere della creazione della commissione e l’Alto commissario Michelle Bachelet ha dichiarato che i raid di Israele, se ritenuti indiscriminati e sproporzionati, “possono costituire crimini di guerra“. “Gli attacchi aerei in aree così densamente popolate” come Gaza, ha aggiunto, “hanno provocato un alto livello di vittime e feriti civili, nonché la distruzione diffusa delle infrastrutture civili”. Per contro, il lancio indiscriminato di razzi da parte di Hamas è stata una chiara violazione delle regole di guerra, ha aggiunto. La Commissione indagherà anche “tutte le cause sottostanti le attuali tensioni, instabilità e proseguimento del conflitto”, tra cui discriminazione e repressione, secondo il testo. Il testo chiede agli Stati di astenersi dal “trasferire armi” (senza specificare a quali destinatari) quando valutano un “chiaro rischio” che possano essere utilizzate per commettere gravi violazioni dei diritti umani o della legge umanitaria. Il riferimento sembra alle spedizioni di armi a Israele.
L’Onu, tramite la coordinatrice umanitaria Lynn Hastings, ha inoltre lanciato un appello per raccogliere 95 milioni di dollari da destinare ai bisogni umanitari e di ricostruzione dell’enclave, fermo restando il meccanismo che impedisce arrivino ad Hamas. Nello stesso giorno Malala Yousafzai, premio Nobel per la pace, ha destinato 150 milioni di dollari alla popolazione di Gaza, attraverso le organizzazioni Save the Children, KinderUSA e DCI Palestine.
Le critiche ad Haaretz – Le polemiche in Israele si accendono però anche sul fronte interno, non sono su quello internazionale. A scatenare clamore è stata la copertina dell’autorevole quotidiano di centrosinistra Haaretz, che ha pubblicato le fotografie dei bambini uccisi negli 11 giorni di guerra dai raid dello Stato ebraico, con il titolo ‘67 bambini uccisi a Gaza. Questo è il prezzo della guerra‘. Il contenuto è stato ripreso da un articolo del New York Times, che nella versione originale conteneva però anche i due minori israeliani uccisi dai razzi esplosi da Hamas. Le reazioni sono state accese. Molti hanno definito la scelta del quotidiano “coraggiosa”, esprimendo “rispetto” e domandandosi se fosse il sintomo di una presa di coscienza che “cambierà le cose”.
Altrettante le critiche, tra cui quella del deputato Bezalel Smotrich, leader del Partito sionista religioso, di estrema destra, che ha invitato a cancellare gli abbonamenti alla rivista. Mentre su Twitter divampava il dibattito, sul social network è intervenuto l’editore Amos Schocken, facendo un passo indietro: “Togliere i due bambini israeliani uccisi in guerra dall’articolo del New York Times è un grave errore da parte di un caporedattore, che ha giustificato la decisione con il fatto che abbiamo seguito ampiamente e in real time i loro casi. Allo stesso tempo, ciò danneggia il modo in cui il Nyt ha rappresentato quanto accaduto in guerra ai bambini di entrambe le parti”. Oltre a scusarsi con i lettori, Schocken ha dichiarato che la versione online del servizio sarebbe stata rivista.
I negoziati – L’Egitto nel frattempo ha invitato Israele, Hamas e l’Autorità nazionale palestinese a colloqui separati, con cui consolidare il cessate il fuoco. Nella speranza di organizzare poi negoziati diretti, ha affermato un funzionario egiziano. I colloqui, secondo la fonte, mirano a organizzare un vertice al Cairo con rappresentanti di Israele, Autorità nazionale palestinese, Egitto e forse Usa. Tra i temi ci sarebbero la ricostruzione dell’enclave sotto blocco, l’accesso a forniture umanitarie ed edili, uno scambio tra prigionieri, nonché l’unità tra le fazioni rivali palestinesi. Sul fronte internazionale, Israele ha convocato l’ambasciatore francese, protestando con lui per le affermazioni del ministro degli Esteri Jean-Yves Le Drian. Questi, in un’intervista, ha dichiarato che “il rischio di apartheid è forte, se si continua ad avanzare nella logica di uno Stato o dello status quo”. Ira di Tel Aviv: “Israele si aspetta che gli amici non si esprimano in maniera irresponsabile, alimentando gli elementi estremisti e l’attività anti israeliana”.