Politica

Funivia Mottarone, ecco come la ricerca del profitto a tutti i costi ha generato una tragedia

La tragedia della funivia di Stresa è vergognosa. Per il comportamento criminale degli imprenditori, per l’ignavia del governo che non ha deciso i funerali di Stato. Eppure, i funerali di Stato sarebbero stati un atto dovuto, non solo per il numero dei morti ma perché il contrasto tra la spensieratezza con cui le famiglie sono andate in gita domenica scorsa e le immagini delle scarpine dei bambini sparse attorno alla cabina frantumata, parla di un problema politico.

Uno Stato che non è in grado di tutelare la sicurezza dei propri cittadini in un momento di relax non è uno Stato, ma un puro accrocchio di potere. Qui non stiamo parlando di un incidente. Qui stiamo parlando di un atto criminale la cui estensione temporale e relativa all’intreccio di responsabilità è ancora da chiarire nei suoi contorni. Un atto criminale che non è il frutto del gesto di un folle, sempre difficile da prevedere, ma un atto criminale costruito nel tempo, probabilmente negli anni, in base all’applicazione di una semplicissima logica: garantire i propri profitti. A Stresa i proprietari dell’impianto – o presunti tali – hanno giocato alla roulette russa con la vita dei passeggeri: hanno sbagliato i calcoli e i passeggeri sono morti.

L’elemento drammatico, che non si può tacere, è che questo azzardo morale sulla vita delle persone motivato dal profitto economico non è un caso, ma la normalità di questo sistema capitalistico fondato sul profitto. Vale per i giochi finanziari, vale nelle attività industriali che inquinano, vale nella tragedia del Mottarone.

Qualche commentatore si scandalizza dicendo che non ci sono più gli imprenditori di una volta. Come se la tragedia del Vajont fosse accaduta per altre ragioni o se il capitalismo, sin dalla sua nascita, non fosse fondato sul maggior sfruttamento possibile, a cominciare da quello dei bambini che tutt’ora producono molte delle merci che usiamo quotidianamente.

Il punto vero è che il sistema capitalistico è fondato sull’irresponsabilità sociale di individui che svolgendo ruoli finalizzati ad ottenere il massimo profitto, fanno scommesse che, se non vanno a buon fine, pagano altri. Questi individui si chiamano imprenditori e fanno i capitani coraggiosi con la vita degli altri. Non perché necessariamente siano cattive persone, ma per una logica sistemica: l’attività economica è fatta per produrre profitto, che sia per il singolo proprietario o per gli azionisti poco importa.

Il punto vero è che nei decenni scorsi eravamo riusciti a fissare delle regole, dei lacci e dei laccioli che obbligavano i padroni a fare gli imprenditori, a rispettare delle regole. Invece adesso i padroni sono tornati a fare i padroni, autorità sovrane prive di limiti e controlli. Perché un altro elemento che pare emergere dalla tragedia di Stresa è che i controlli o sono finti o non funzionano. Chi sgarra non paga o paga molto meno dei danni che ha prodotto, questo è il punto. Non è un incidente di percorso ma la normalità prevista e incorporata nei rischi d’impresa.

Se questo è vero voglio avanzare un’ultima considerazione e una proposta. Se la funivia di Stresa fosse stata pubblica e gestita dal pubblico, la tragedia non sarebbe successa. Nessun dirigente o dipendente pubblico avrebbe rischiato la vita di decine di persone e messo a rischio il proprio progetto di vita per il suo stipendio. Una gestione pubblica, che è fondata sul rispetto delle regole e non dalla ricerca del massimo profitto, avrebbe fermato l’impianto. Penso sia una considerazione incontrovertibile.

Se così è bisogna fermare le privatizzazioni e invertire la tendenza. Se le vite valgono più dei profitti privati, pubblicizziamo completamente l’intero settore del trasporto pubblico: dalle funivie agli autobus. Perché si può rischiare la vita delle persone mettendo un “forchettone” o facendo guidare un autista per 12 ore di fila o non facendo la manutenzione dei mezzi. Tutto pubblico e sottratto alla ricerca del profitto. Perché ognuno di noi ha diritto ad andare in gita la domenica con i propri figli senza che qualcuno possa giocare con la nostra vita per riempire il suo portafogli.