“Mi candido a Roma alle primarie del centrosinistra per le elezioni comunali contro Gualtieri per affermare una sinistra che rimetta al centro, anche nella Capitale, il lavoro e la giustizia sociale”. Lo annuncia ai microfoni de “L’Italia s’è desta”, su Radio Cusano Campus, il deputato di LeU Stefano Fassina, che, nel corso della trasmissione radiofonica, fa un’approfondita analisi della situazione politica e socio-economica attuale del Paese.
Il suo primo commento è sui vitalizi: “La questione è stata affrontata in maniera corretta a partire dal 2012: i parlamentari e i consiglieri regionali devono essere trattati con le regole del sistema contributivo, esattamente come tutti gli altri lavoratori, senza accanimenti e senza privilegi. I vitalizi sono stati ereditati da una stagione in cui il sistema pensionistico italiano era particolarmente generoso con tante categorie, soprattutto coi parlamentari e i consiglieri regionali – continua – È stato corretto dopo le riforme degli anni ‘90, dopodiché per i condannati deve valere quello che vale per gli altri cittadini. Quindi, trovo questa discussione periodica sul vitalizio di quello o di quell’altro una manifestazione di un assalto alla politica che rischia di degenerare in un assalto al parlamentarismo e alla qualità della nostra democrazia. Le regole sono state normalizzate e vanno applicate. Punto”.
Fassina si sofferma poi sulla mancata proroga del blocco dei licenziamenti: “Mi ha molto preoccupato la reazione iper-corporativa di Confindustria, a cominciare dal titolo vergognoso sul loro giornale contro il ministro Orlando, additato come truffatore e traditore (“Licenziamenti, l’inganno di Orlando”, in prima pagina sul Sole 24 Ore del 23 maggio, ndr). Ho trovato preoccupante anche la posizione di Draghi che, al di là del merito, ha dato un messaggio secondo cui le politiche del lavoro e lo stesso ministro del Lavoro non possono avere un minimo di autonomia rispetto agli interessi più forti, mentre oggi la priorità è difendere gli interessi dei più deboli, cioè dei lavoratori. E quella posizione preoccupante di Draghi è anche in linea con il suo intervento in merito al codice degli appalti, che ora sembra parzialmente rientrato”.
E rincara: “Nonostante tutte le chiacchiere durante la pandemia, “nulla sarà come prima”, qua rischiamo che sarà peggio di prima, perché, invece di tener conto delle lezioni di questo ultimo anno e mezzo, si ripristina e si aggrava un’agenda liberista che scarica letteralmente sulla pelle dei lavoratori esigenze fondamentali, come quella della velocizzazione degli appalti, che però vanno affrontate con soluzioni che vanno alla radice. Qui il punto fondamentale è che le centrali degli appalti, che allo stato attuale sono migliaia e poco attrezzate – spiega – vanno sensibilmente ridotte e qualificate con figure professionali, come ingegneri e architetti, di cui oggi l’amministrazione pubblica è carente. Se questo non accade, si va a finire male. E invece si vuole ripristinare la scorciatoia che è già risultata fallimentare in termini di qualità del lavoro, di costi e di sicurezza del lavoro. Va fatta una correzione di rotta, ieri mi pare ci sia stato un primo risultato togliendo il massimo ribasso, ma non brinderei perché si ritorna alla situazione di partenza che non era particolarmente felice”.
Il parlamentare stigmatizza la retorica sulla burocrazia, definendola insopportabile, e accusa: “Sul piano politico, il governo Conte Due è stato fatto fuori e poi rimpiazzato dal governo Draghi perché aveva un’attenzione alle istanze sociali che gli interessi più forti di questo Paese considerava insopportabili. Non c’è da stupirsi molto se il governo Draghi fa da sponda a una certa parte del mondo industriale e alle grandi imprese. Bisogna resistere e, temo, aprire una stagione conflittuale a livello sociale, nonostante ci sia bisogno invece di unità. E tutto questo perché non c’era bisogno di fare dei licenziamenti l’obiettivo della politica economica di questa fase, perché nell’ultimo anno e mezzo abbiamo avuto un milione di posti di lavoro persi, di cui i tre quarti riguardano contratti di lavoro dipendenti. Chi ha in mano le redini dell’economia vuole puntare a una concorrenza – prosegue – che ancora una volta più che sulla qualità punta sulla compressione dei costi e del lavoro. Questo è inaccettabile. Ed è quindi evidente l’ipocrisia sulla discussione realtiva alla transizione ecologica e digitale. E per far cambiare idea a questi signori non bastano i seminari o i commenti sui giornali. C’è bisogno di aprire una stagione conflittuale finalizzata a trovare un punto di equilibrio che non peggiori ulteriormente le condizioni del lavoro, già di per sé drammatiche. Ci riempiamo la bocca della parola ‘diseguaglianze’ ma le condizioni sempre più gravi del lavoro sono la principale fonte di diseguaglianza. Dietro a tutta questa retorica insopportabile, c’è poi una serie di atti concreti che vanno in direzione opposta a quella annunciata”.
Fassina conclude: “Il messaggio politico che è stato dato al ministro Orlando, ai sindacati, alla sinistra, al Pd è stato questo: ‘State buoni, perché qua comandiamo noi. Il livello di tutela del lavoro lo decidiamo noi. Non vi allargate troppo’. E questo agire politico di Draghi è preoccupante. Dovrebbero smetterla quelli che, dalle parti del Pd, continuano a dire, come facevano ai tempi del governo Monti, che l’agenda Draghi è la loro agenda”.