L'uomo, titolare di una ditta che produce trasformatori elettrici, dopo quasi due mesi di prigionia era stato liberato su ordine del procuratore generale. E invece l'hanno riportato dietro le sbarre. Alla famiglia e al suo avvocato non è stata fornita alcuna spiegazione
Diventa sempre più un intrigo la prigionia dell’imprenditore veneziano Marco Zennaro, in una terra – il Sudan – dove la l’applicazione della legge sembra essere dettata più dai rapporti di forza instaurati dalle milizie che non dalla forza del diritto. Zennaro, che ha 46 anni anni ed è titolare di una ditta che produce trasformatori elettrici, dopo quasi due mesi di prigionia è stato, infatti, liberato per ordine del procuratore generale. Ma quando stava lasciando il commissariato dove è rimasto in una cella con un’altra trentina di persone, nelle peggiori condizioni, i miliziani lo hanno ripreso e fatto tornare nella struttura. L’applicazione della decisione del magistrato è stata quindi annullata.
Zennaro, intanto ha lanciato un altro disperato appello da Khartoum: “Venitemi a prendere”. Lo ha detto attraverso il suo avvocato, che le ha riferite ai familiari in Italia, nonché al deputato veneziano Nicola Pellicani che si sta occupando della vicenda e all’ambasciatore italiano in Sudan, Gianluigi Vassallo. Era stato il procuratore generale di Khartoum ad ordinare la scarcerazione, ritenendo infondate le accuse che avevano portato al provvedimento. Zennaro aveva fornito una partita di trasformatori elettrici, acquistati da un intermediario che nel frattempo è morto durante un misterioso incidente subacqueo nel Nilo. A pagare la fornitura era stato un militare che l’aveva poi contestata per asserite difformità delle caratteristiche tecniche rispetto al capitolato. Il militare aveva accusato e denunciato Zennaro per frode. Era scattato il provvedimento cautelare, dapprima in un albergo della capitale, da cui Zennaro era uscito dopo aver pagato 400 mila euro. Si preparava ad imbarcarsi su un volo per l’Europa quando era stato arrestato e portato in una cella di sicurezza del commissariato di polizia.
Adesso sembrava che l’incubo fosse terminato con la decisione del procuratore generale. Invece, uscito dalla cella, Zennaro si è visto fermare nuovamente e riportare dietro le sbarre dalle milizie. Né ai familiari, né all’avvocato Ayman Khaled è stata fornita alcuna spiegazione, né hanno potuto visionare eventuali nuovi provvedimenti di custodia cautelare. Eppure il procuratore aveva comunicato che i membri della pubblica accusa “di tutti i gradi, hanno accettato di rifiutare (il procedimento penale, ndr) e di rilasciare l’accusato, annullare il caso e revocare il divieto di viaggio”. Più in particolare avevano stabilito che il miliziano Abdallah Esa Yousif Ahamed, il suo accusatore, “non aveva la capacità di avviare questa causa contro l’imputato, in quanto non vi era alcuna interazione diretta tra l’attore e l’imputato, ed è stato inoltre riscontrato che l’imputato Zennaro non ha utilizzato mezzi fraudolenti”. Quando sembrava fatta e Zennaro stava uscendo dal commissariato i miliziani l’hanno ripreso e nuovamente arrestato. Ai famigliari non è stata data nessuna spiegazione, così come all’avvocato della famiglia, Ayman Khaled, e all’ambasciatore. Abdallah sostiene di avanzare ancora 700mila euro come risarcimento da Zennaro. A questo punto si profila un vero e proprio sequestro di persona, che solo un intervento della Farnesina potrà interrompere.
Un fratello, Alvise Zennaro, ha dichiarato al quotidiano “La Verità”: “Marco aveva ottenuto una sentenza che in accoglimento del ricorso statuiva l’infondatezza dell’accusa di frode e disponeva dopo oltre 56 giorni la sua immediata. Ma all’uscita dal commissariato veniva nuovamente fermato e ricondotto all’interno senza alcuna spiegazione, né esibizione di alcun provvedimento. Abbiamo informazioni confuse. L’avvocato non ha rintracciato il procuratore che avrebbe disposto la prosecuzione dell’incarcerazione di Marco e quindi ad oggi resta detenuto senza alcuna evidenza di provvedimento”.