Sono 215 i resti di bambini appartenenti alla comunità dei Tk’emlúps te Secwépemc trovati all’interno di una delle cosiddette “Residential Schools” della British Columbia, collegi governativi riservati agli indigeni. Una scoperta che aggiunge l’ultima pagina a uno dei capitoli più cruenti della storia canadese, arricchendo il bilancio di vittime causato dal trasferimento forzato in collegi cattolici di oltre 150mila bambini nativi americani strappati alle loro famiglie.
La Kamloops Indian Residential School, dov’è stata ritrovata una fossa comune con all’interno piccole ossa senza nome, era il più grande istituto residenziale del sistema canadese. Aperta nel 1890, la scuola contava fino a 500 studenti al suo picco, negli anni ’50. Create dal governo federale alla fine dell’800, le scuole residenziali erano strutture gestite da preti, per la maggior parte cattolici, dove venivano portati i bambini indigeni per “assimilarli alla cultura dominante” e “farli diventare veri canadesi“. L’ultimo di questi istituti ha chiuso nel 1996. Nel corso degli anni migliaia di bambini, lontani dalle loro famiglie, hanno subito ogni genere di abusi e violenze. Secondo un rapporto del 2015 della “Commissione per la verità e la riconciliazione”, almeno seimila sono morti. Di molti altri non si hanno più avute notizie.
“È stata confermata una perdita impensabile, di cui si era parlato ma che non era mai stata documentata”, ha detto la presidente della comunità Tk’emlúps te Secwépemc, Rosanne Casimir, annunciando la scoperta. “Il mio cuore è sprofondato”, ha commentato un ex studente della scuola, Harvey McLeod, in un’intervista alla Cnn. “È stato così doloroso scoprire, alla fine, ciò che pensavamo stesse accadendo lì”. Per Justin Trudeau, primo ministro canadese, il ritrovamento “riporta alla memoria in modo doloroso un capitolo vergognoso della storia” del Canada. “Le scuole residenziali – aggiunge – appartenevano ad una politica coloniale che ha strappato i bambini indigeni dalle loro comunità”.
Tre anni fa il premier aveva personalmente pregato papa Francesco di chiedere scusa ai sopravvissuti e alle famiglie delle vittime, ma Bergoglio non lo aveva ritenuto opportuno. Il governo canadese aveva invece presentato le sue scuse formali alle comunità aborigene già nel 2008, quando l’allora premier Stephen Harper avviò il processo della Commissione per la verità e la riconciliazione. L’anno dopo papa Benedetto XVI ricevette in Vaticano il capo dell’Assemblea dei nativi del Canada, Phil Fontaine, e manifestò “il suo dolore e l’angoscia causata dalla deplorevole condotta di alcuni membri della Chiesa“, sottolineando che “atti di abuso non possono essere mai tollerati nella società” e pregando perché le vittime potessero ricevere conforto.