La messa a terra delle riforme e degli investimenti promessi alla Ue in cambio dei fondi del Recovery plan va assicurata “whatever it takes“. Anche a costo di esautorare un ministro, se non rimedia di buona lena ai ritardi o all’inerzia di uno degli enti responsabili dei progetti. E di affidare la stesura dei disegni di legge per la razionalizzazione normativa a una nuova struttura, l’Unità per la razionalizzazione e il miglioramento dell’efficacia della regolazione, composta da esperti “anche estranei alla pubblica amministrazione”. Queste bozze di ddl finiranno direttamente nelle mani del presidente del Consiglio Mario Draghi, che terrà saldamente le redini di ogni intervento attraverso la cabina di regia insediata a Palazzo Chigi. Il meccanismo di governance del Piano, anticipato negli allegati inviati a Bruxelles, è definito nel dettaglio nella prima parte del decreto Semplificazioni. Da cui si scopre anche che in caso di “dissenso, diniego o opposizione” di un organo statale “idoneo a precludere la realizzazione di un intervento rientrante nel Pnrr” partirà una convocazione sprint del consiglio dei ministri per dirimere la questione. E’ invece saltato, per ora, l’articolo che dava via libera a 350 assunzioni a termine – passibili di salire fino a 650 “in ragione di motivate esigenze” – da ripartire tra le amministrazioni per assicurare il buon esito del piano. Ma con tutta probabilità sarà recuperato nel decreto sulle assunzioni veloci nella pa atteso la prossima settimana.
I poteri sostitutivi per scavalcare gli enti locali (ma pure i ministri) – Le prime bozze concedevano quindici giorni di tempo, saliti a trenta nella versione definitiva del decreto. Visto che occorre rispettare il cronoprogramma mandato alla Ue, sarà questa la finestra concessa agli enti locali che tardano nell’adottare atti e provvedimenti necessari per far partire i progetti del Piano. Se il mese passa e l'”inerzia” continua, “ove sia messo a rischio il conseguimento degli obiettivi intermedi e finali” del Piano il consiglio dei ministri, su proposta del premier, nominerà un commissario oppure individuerà un’altra amministrazione o ente che dovrà fare il necessario per rientrare in carreggiata. Lo stesso accadrà in caso di “difformità nell’esecuzione dei progetti”. Non solo: i poteri sostitutivi si applicheranno pure nei confronti dei ministri che non intervengano davanti al ritardo di soggetti attuatori diversi da Regioni, province e Comuni e in tutti i casi in cui “situazioni o eventi ostativi alla realizzazione dei progetti rientranti nel piano non risultino altrimenti superabili con celerità”: se il ministro competente non adotta i provvedimenti necessari, “su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri o della Cabina di regia, il Consiglio dei ministri esercita i poteri sostitutivi con le modalità previste dal comma 1″, prevede il testo. L’intervento sarà ancora più muscolare se il problema non è l’inerzia ma un pericoloso “dissenso” di un organo statale: il cdm sarà investito della questione entro cinque giorni “per le conseguenti determinazioni”. E potrà decidere di scavalcare l’ostacolo.
Regioni in cabina di regia. Le parti sociali? Al tavolo solo “consultivo” – Del resto il filo conduttore del decreto è la velocizzazione: via tutti gli ostacoli burocratici e non sulla strada del Piano nazionale di ripresa e resilienza. Di qui la commissione ad hoc per le valutazioni di impatto ambientale dei progetti del Recovery, il dimezzamento dei tempi per l’avvio degli scavi per la banda larga, la corsia preferenziale per le opere pubbliche “di particolare complessità o di rilevante impatto” e le novità – fino all’ultimo oggetto di modifiche anche sostanziali – sugli appalti. Tutta la macchina ha bisogno però, come richiesto dalla Commissione, di una guida unitaria. Il fulcro del sistema sarà la cabina di regia istituita presso la presidenza del Consiglio e presieduta da Draghi, con poteri “di indirizzo politico, impulso e coordinamento generale sull’attuazione degli interventi”. La composizione, come è noto, sarà “a geometria variabile“: il premier ci sarà sempre, poi di volta in volta verranno invitati a partecipare i ministri e sottosegretari competenti per materia. I presidenti di Regione, che fino a venerdì mattina erano sul piede di guerra per la “visione centralista” che emergeva dalle bozze, hanno incassato in extremis la partecipazione di diritto (prima si parlava solo di un possibile “invito”) quando saranno esaminate questioni che li riguardano. Non solo: il presidente della Conferenza, Massimiliano Fedriga, avrà un posto nei Comitati per la transizione ecologica e digitale nei casi in cui discutano di materie in cui gli enti locali hanno uno “specifico interesse”. Poche invece le concessioni alle parti sociali e alla società civile: siederanno al “Tavolo permanente per il partenariato economico, sociale e territoriale” che avrà però solo funzioni consultive per le questioni connesse al Piano.
L’Unità per la qualità della regolazione scriverà i ddl – La struttura di controllo sul piano descritta nei 17 articoli del decreto è a più livelli e decisamente intricata, ma di sicuro non si muoverà un euro senza che la cabina di regia lo sappia. E qualsiasi criticità o ritardo sarà affrontato in quella sede, esautorando le amministrazioni renitenti. E’ da lì che uscirà il rapporto semestrale per il Parlamento sullo stato di attuazione del Pnrr. Sempre a palazzo Chigi saranno poi create una Segreteria tecnica di supporto alla Cabina di regia (composta da funzionari distaccati o consulenti esterni) e una nuova Unità per la razionalizzazione e il miglioramento dell’efficacia della regolazione che sarà il braccio della Cabina, con il compito tra l’altro di individuare gli ostacoli all’attuazione “corretta e tempestiva” delle riforme e degli investimenti e proporre rimedi, oltre a coordinare l’elaborazione di proposte “per superare le disfunzioni derivanti dalla normativa vigente” e di un programma di razionalizzazione delle leggi. I membri dell’unità, scelti tra personale della pa e esperti “estranei alla pubblica amministrazione”, non si limiteranno a scrivere report: nelle mani del presidente del Consiglio consegneranno “schemi di disegni di legge ai fini dell’iniziativa legislativa del governo” pronti all’uso.
Per il monitoraggio tre diversi uffici – Il monitoraggio e la rendicontazione sono affidati invece al Servizio centrale per il Pnrr da istituire presso la Ragioneria generale dello Stato, al ministero dell’Economia, che assumerà allo scopo 60 persone con profili da economista, giurista, informatico, statistico-matematico, ingegnere gestionale. E’ qui che confluiranno, dalle amministrazioni responsabili, i dati sullo stato di avanzamento dei progetti da inviare alla Commissione europea. Non finisce qui: l’audit spetterà a un altro ufficio dirigenziale presso l’Ispettorato generale per i rapporti finanziari con l’Unione europea ma il programma di valutazione del piano e il supporto alla stesura delle relazioni di attuazione sarà compito di una terza struttura, l’unità di missione presso la Ragioneria istituita dal governo Conte 2 con l’ultima legge di Bilancio. La Corte dei Conti eserciterà ovviamente il controllo sull’uso dei fondi, in raccordo con la Conte dei Conti europea, mentre la Guardia di Finanza potrà essere coinvolta attraverso specifici protocolli di intesa con le singole amministrazioni anche per prevenire corruzione, frodi e conflitti di interesse.