Mercoledì 29 maggio 1991 si gioca a Bari la finale di Coppa dei Campioni. Dall’altra parte dell’Adriatico, un po’ più a nord, è scoppiata una guerra devastante. Le avvisaglie per un conflitto interno ci sono già dall’anno prima, ora però a Borovo Selo si ammazzano davvero. La Jugoslavia si disgregherà in tanti nuovi stati: Slovenia e Croazia otterranno l’indipendenza per prime di lì a qualche settimana. La guerra purtroppo continuerà per diversi anni ancora. Il calcio jugoslavo, c’è chi l’ha paragonato al futebol brasiliano e chi al futbol argentino, ha vinto poco rispetto al talento interno lordo che ha prodotto nel tempo. La nazionale maggiore zero titoli, mentre a livello di club c’è una Coppa delle Fiere, portata a casa dalla Dinamo Zagabria nel 1967, l’anno prima il Partizan di Belgrado era riuscito a raggiungere la finale di Coppa dei Campioni, contro il Real Madrid, ma l’aveva persa: allo Stadio Heysel era presente Rinus Michels che si era innamorato del capitano slavo Velibor Vasovic e l’aveva voluto all’Ajax, e così almeno lui una coppa è riuscito ad alzarla.
A Bari, in una situazione storica così complicata per il Paese, arriva la Stella Rossa di Belgrado che pian piano negli ultimi anni ha costruito una squadra da sogno: Mihajlovic, Jugovic, Savicevic, Prosinecki, Pancev sono tutti giovani che hanno gambe e cervello che vanno a mille all’ora. Al San Nicola c’è anche Dragan Stojkovic, il dieci per eccellenza del calcio jugoslavo, capitano dei Plavi all’ultimo mondiale in Italia dove ha fatto vedere cosa è capace di fare con il suo destro. È un vero direttore d’orchestra con una leadership però abbastanza anarchica. Siede malinconicamente sulla panchina dell’Olimpique Marsiglia, la squadra avversaria, perché la Stella Rossa lo ha venduto l’estate scorsa proprio ai francesi di Tapie. Quando ha dato l’addio ai suoi compagni, ha detto: “Ci vediamo in finale di coppa tra meno di un anno”. Ora ha un ginocchio malconcio e un rapporto non tanto migliore con l’allenatore Raymond Goethals, che lo esclude dagli undici facendo così un grosso favore alla Stella Rossa che teme moltissimo il suo ex capo tecnico.
Di italiano, oltre alla sede, nello stadio progettato da Renzo Piano per il mondiale di un anno prima, questa finale ha anche la terna arbitrale. Paolo Casarin è il designatore degli arbitri di Serie A e B e membro sia della Fifa che dell’Uefa, dove grazie alla sua intelligenza e personalità ha molto credito. Per la finale è infatti stato scelto il fischietto siciliano Tullio Lanese. Quand’era ancora in attività all’arbitro Casarin capitava di fare da assistente nelle partite internazionali, talvolta a Concetto Lo Bello, assieme al collega Agnolin. Entrambi arbitri di livello assoluto, quando facevano i guardalinee si sentivano abbastanza inadeguati. Non era quello il loro mestiere. A Bari ad aiutare Lanese ci sono, per la prima volta in una finale di Coppa dei Campioni, due assistenti di ruolo: Catello Buonocore e Roberto Calabassi. Gli jugoslavi arrivano in Italia parecchi giorni prima, si accasano nei pressi di Monopoli, utilizzando le strutture della squadra locale. L’allenatore Ljupko Petrović sa di avere per le mani una formazione fortissima, ma a questi livelli ancora inesperta. In semifinale ha eliminato il Bayern Monaco in un Marakana che ha vissuto ultimi palpitanti minuti di gioco. “Sono morto e resuscitato più volte”, ha commentato proprio il mister a fine partita. L’autogol di Aughentaler con annessa papera del portiere Aumann è arrivato dopo un palo clamoroso dei tedeschi.
In questi giorni di vigilia Petrovic prepara i suoi ragazzi ad una partita di attesa: “Dovrete giocare attenti, non scopritevi per nulla al mondo”. Gli jugoslavi sono stati delle cicale per tutta la vita, questa volta sarà meglio essere delle formiche. I giocatori lo seguiranno alla lettera. Il Marsiglia, favorita alla vigilia, ha solo due occasioni, non sfruttate da Papin e Waddle. In tribuna ci sono Sacchi, Trapattoni, Boniperti. Vedono una partita noiosissima e senza alcun spunto tecnico degno di essere segnato sul taccuino. Non distante da loro c’è anche Ilona Staller, in arte Cicciolina, da poco sposata con l’artista americano Jeff Koons. La scortano in tribuna autorità, è un deputato della Repubblica italiana, eletta con il Partito Radicale.
Lo stadio è pieno. Da Belgrado c’è stato un esodo non indifferente di tifosi: in aereo, in bus, ma anche in traghetto dal Montenegro. I tifosi del Bari, biancorossi pure loro, simpatizzano soprattutto con gli jugoslavi. Intanto dalla curva srotolano una bandiera gigante e no, non è quella della Jugo, ma quella della Serbia. Qui al San Nicola i tifosi della Stella Rossa si sentono a casa, visto che lo stadio è dedicato a uno dei santi più venerati del loro Paese.
Si arriva ai supplementari. Non succede niente. Goethals decide finalmente di inserire Stojkovic, che dal dischetto è uno bravo. L’impressione che si vada ai rigori la si ha dal primo minuto, figurarsi quando ne mancano nove alla fine del secondo tempo supplementare. Eppure quando è il momento ci sarà il grande rifiuto di Dragan: “No, non posso, io non voglio tirare”.
Dall’altra parte Petrovic sta compilando la sua di lista. Si guarda in giro. Vede alzarsi la mano da due giocatori. Una è quella di Mihajlovic, serbo di Borovo Selo, in Croazia, ha la madre croata e il padre serbo. L’altra è quella del serbo Dragisa Binic, tornato a Belgrado solo per questa stagione, solo per vincere la coppa. Ne servono altri tre. Petrovic fa le sue scelte. Il croato Robi Prosinecki, nato in Germania da padre croato e madre serba. È un ragazzo di Zagabria, ma alla Dinamo ha trovato un allenatore (Miro Blazevic) che non ha creduto in lui. Ha giocato una Coppa dei Campioni meravigliosa. Darko Pancev, il cobra macedone, lo tirerà per quinto. Un altro rigorista sarà il rumeno Miodrag Belodedici, l’unico straniero della squadra e l’unico che ha già vinto la Coppa dei Campioni. Nel 1986 era il libero titolare dello Steaua Bucarest che ha battuto il Barcellona a Siviglia. Miodrag è nato a Socol, sulle rive del Danubio, Romania ma al confine con la Serbia, dove vivono più jugoslavi che rumeni. Lui ha il padre serbo ed è cresciuto contagiato dal tifo familiare per la Stella Rossa di Belgrado. Quand’era piccolo il papà l’ha portato al Marakana a vedere la partita e si è innamorato di quei colori. A fine 1988, dopo aver vinto tutto con la Steaua, ne approfitta con un viaggio familiare in Jugoslavia per presentarsi negli uffici della Stella Rossa. Vuole giocare per la squadra del cuore, vuole lasciare la Romania e lo Steaua di Ceausescu. Belodedici è uno dei migliori liberi d’Europa, lo cercano anche in Italia. Miodrag riesce a diventare un giocatore della Stella Rossa, deve però scontare alcuni mesi di squalifica. Per i romeni è un disertore, l’ok per il trasferimento non arriva. Per parecchi mesi si allena ma non gioca, nella stagione 1990-91 è titolarissimo.
I cinque calciatori della Stella Rossa segnano tutti e cinque il loro rigore. Sembra siano arrivati qui a Bari solo per fare questo. Il francese Amoros, che è uno dei più esperti dal dischetto, si fa parare il tiro da Stojanovic e la Stella Rossa alza così la prima e ultima Coppa dei Campioni di una squadra appartenente alla Jugoslavia.
Mihajlovic nella sua recente autobiografia La partita della vita (Solferino, coautore Andrea Di Caro) ha scritto di quei rigori: “Il nostro portiere si buttò per quattro volte sempre dallo stesso lato, alla sua destra. Una scelta sorprendente che sollevò in alcuni di noi più di un sospetto. Se vuoi comprarti una gara, il primo che cerchi di corrompere è il portiere. Gli chiedemmo la ragione di quella sua strategia sui rigori, e Stojanovic ci rispose ‘se ti butti sempre dalla stessa parte, almeno uno lo prendi’. La gioia per il risultato finale non rese necessario indagare ulteriormente, ci andò bene la sua precisazione. E anzi gli dobbiamo un grazie perché la sua teoria, unita alla nostra precisione, ci consentì di alzare la Coppa. L’ultima vinta da una squadra jugoslava”.
A Bari inizia la festa, nell’albergo che ospita la squadra ci si diverte fino a mattina. Nella hall entrano un po’ di tifosi tra quelli arrivati da Belgrado. Prosinecki, in compagnia della fidanzata albanese, fuma una sigaretta dietro l’altra, impossibile per i fotografi presenti immortalarlo lontano dall’amato tabacco. A Belgrado, dove per il momento non si combatte, continua la festa. All’aeroporto, per la strada che porta allo stadio, che è pieno, tutti aspettano l’arrivo dei loro eroi. L’8 dicembre la Stella Rossa di Belgrado vincerà a Tokyo anche la Coppa intercontinentale. Tra i due trofei c’è stata la terribile battaglia di Vukovar che ha scosso non poco Mihajlovic e la sua famiglia serbo-croata che vive là. La Stella Rossa è ancora una squadra forte, ma in via di smantellamento. Così come la Jugoslavia, che di lì a non molto non esisterà più.