Nell'allegato in inglese si legge che l'obiettivo è il “supporto della sostenibilità degli investimenti privati”. E si prevede, per incentivare la realizzazione di nuove strutture di edilizia universitaria, un “regime di tassazione simile a quello per l’edilizia sociale" e "la copertura anticipata, da parte del ministero, degli oneri corrispondenti ai primi tre anni di gestione". Brindano gli operatori, dalla Coima di Manfredi Catella, numero uno del real estate milanese, alla multinazionale Hines
Fiscalità agevolata, rette pagate dallo Stato per tre anni e possibilità di utilizzare le strutture nei modi più disparati. Anche affittando le stanze a chi ha bisogno di un alloggi temporaneo, per esempio i manager di passaggio in città. Il Recovery plan italiano offre grandi opportunità agli immobiliaristi del settore residenze universitarie e student housing. Il governo Draghi ha previsto nel Piano nazionale di ripresa e resilienza inviato in Europa e oggi al vaglio delle istituzioni comunitarie un maxi piano per arrivare a 100mila posti letto in Italia per studenti universitari entro il 2026. Contro i 40mila attuali. “Qual è la sfida?”, si legge negli allegati in inglese al Recovery italiano. Modificare l’attuale normativa per attirare investimenti privati finalizzati al recupero di edifici da dedicare a servizi per l’alloggio di studenti.
Già oggi è vero che “lo student housing” è uno dei segmenti del mercato real estate più attrattivo con gli investimenti globali nel settore che nel 2018 sono stati 17 miliardi di dollari, quattro volte tanto i dieci anni precedenti, secondo una ricerca del Fondo d’investimento Savillis, presente anche in Italia. Perché? Alti rendimenti, quasi nulla la possibilità di mancata riscossione degli affitti e morosità, possibilità di costruire su aree pubbliche e di partnership pubblico-private (regimi convenzionati, ad esempio) e agevolazioni urbanistiche e fiscali previste dai Piani di governo del territorio delle città che catalogano gli edifici come “servizi” o “funzioni” e quindi non li conteggiano nel calcolo delle volumetrie massime o concedono sconti sugli oneri di urbanizzazione.
Per il governo italiano esiste però un marcato gap fra domanda e offerta di alloggi da colmare. Una costante, in realtà, in tutta Europa, con la Penisola caratterizzata dal fatto che “la maggior parte delle strutture esistenti è gestita dalle università stesse, da realtà senza senza scopo di lucro ed enti religiosi”, si legge nel Recovery. Che fare dunque? Il piano prevede di incentivare gli investimenti privati applicando al settore delle residenze universitarie un “regime di tassazione simile a quello per l’edilizia sociale”. Il più vantaggioso in campo immobiliare, essendo il fisco immaginato per chi realizza alloggi da destinare alle famiglie meno abbienti. Ma anche l’adeguamento “degli standard per gli alloggi – come recita il Pnnr – mitigando i requisiti di legge relativi allo spazio comune per studente disponibile negli edifici in cambio di camere (singole) meglio attrezzate”. Nell’allegato in inglese dove viene trattato il capitolo si legge con continuità che l’obiettivo è il “supporto della sostenibilità degli investimenti privati”, o ancora, “garantire l’equilibrio finanziario degli investimenti”.
Se non bastasse il Recovery prevede anche di “incentivare la realizzazione, da parte dei soggetti privati, di nuove strutture di edilizia universitaria attraverso la copertura anticipata, da parte del Mur (ministero dell’Università e ricerca, ndr), degli oneri corrispondenti ai primi tre anni di gestione delle strutture stesse”. La retta? La paga il ministero per i primi tre anni. Invece che finanziare borse di studio per i meno abbienti, realizzare studentati pubblici, stabilizzare i precari o calmierare il mercato privato nelle città come Milano, Firenze, Bologna, Venezia, obbligare gli atenei a chiedere il contratto d’affitto al momento dell’immatricolazione in cambio di riduzioni sulle tasse universitarie. È il modello francese. Combatte il “nero” negli affitti e permette l’emersione di numeri e dati oggi inesistenti, utili per fare anche altre politiche locali e nazionali. Un esempio? A Milano nel 2019, secondo dati Agenzia delle Entrate che ogni anno produce report e analisi con l’Osservatorio Immobiliare guidato dai dirigenti Gianni Guerrieri e Maurizio Festa, sono stati registrati 587 nuovi contratti d’affitto per studenti. Su un totale di almeno 90mila fuori sede. Non significa che siano tutti contratti irregolari o in nero, ma solo che gli universitari non sanno che la legge prevede un contratto di locazione a canone agevolato per loro negli 800 comuni d’Italia considerati “ad alta tensione abitativa”.
L’esecutivo italiano ha preferito intraprendere un’altra strada. Che oltre alle “regalie” pubbliche già citate prevede anche che le residenze universitarie non siano solo residenze universitarie. Tradotto? Nei periodi di calo dell’attività accademica è consentito “l’utilizzo flessibile dei nuovi alloggi quando non necessari per l’ospitalità studentesca”. Flessibile. Significa manager che vengono una volta ogni tanto in città per fare affari; turisti; famiglie che si spostano per curarsi in un sistema sanitario che ritengono migliore. Tutte categorie disposte a pagare tanto per un alloggio temporaneo. La letteratura li chiama “city user”, gli utilizzatori della città senza viverla, una delle cause del caro affitti nelle grandi aree metropolitane, una costante che accomuna Milano con Amsterdam o Venezia con Monaco di Baviera.
Niente male il Recovery Plan per gli immobiliaristi degli studenti, nel biennio in cui i fuori sede e gli universitari sono fuggiti dalle città per darsi alla didattica a distanza. E mentre in questa fase parte una diatriba fra chi ha lasciato il proprio appartamento ma vede le università, come il Politecnico di Milano, negare la possibilità degli esami a distanza per tornare all’attività totalmente in presenza. Brindano quindi al nuovo governo gli operatori privati che puntato sullo “student housing”. Chi sono? Di certo Coima di Manfredi Catella. Il numero uno del real estate milanese che ha cambiato la skyline di Porta Nuova ha acquisito nel 2020 per 180 milioni di euro in cordata con Covivio (Del Vecchio) e Prada lo scalo dismesso di Porta Romana da Ferrovie dello Stato. Nel 2026 sarà l’epicentro delle Olimpiadi invernali di Milano-Cortina perché lì sorgerà il Villaggio olimpico degli atleti. E dopo? Sarà convertito in residenze universitarie sfruttabili grazie alla vicinanza con i poli della Bocconi, della Statale di Milano (facoltà umanistiche e Giurisprudenza) ma anche accademie private di moda e comunicazione.
Oppure Hines, multinazionale immobiliare americana guidato nella penisola dal manager Mario Abbadessa, che sempre più va specializzandosi verso gli “studentati dei vip”, come li hanno ribattezzati le cronache meneghine. Da poco hanno realizzato quello dell’Università Bocconi. Ma uscendo dal capoluogo lombardo le misure del governo fanno di certo piacere a The Student Hotel, uno dei colossi europei di settore fondato da Charlie MacGregor che offre soluzioni di residenzialità per universitari, “giovani creativi”, “nomadi digitali”. Lo slogan? “Molto più di un semplice hotel”. I prezzi? Anche 800 euro a stanza per un mese di alloggio. Aprirà a Roma nel quartiere San Lorenzo nel 2023, stando alla roadmap già tracciata. Scommette su Firenze, Torino e sulla nuova Bolognina nel capoluogo emiliano dove sta realizzando il “sogno dei fuorisede” con piscine, coworking, centri fitness.
Tra gli addetti ai lavori c’è anche però chi solleva qualche problema. I timori? Che dall’estero arrivino realtà così importanti a livello finanziario da mangiarsi mercato e operatori esistenti. I cinque maggiori gruppi immobiliari al mondo sono American Campus Communities (Stati Uniti), Unite Group (Uk), GCP Student Living (Uk), Xior Student Housing (Unione europea) e Empiric Student Property (Uk). Traina il mondo anglosassone perché secondo i ranking internazionali il 75% delle migliori università al mondo si trovano fra Usa e Regno Unito e sono questi i poli che attraggono la “merce” pregiata: gli studenti internazionali ad alta capacità di reddito. Ora gli operatori dicono e scrivono nei loro “position paper” finanziari che il settore – avanzato nel mondo anglosassone, poco sviluppato nel resto del mondo – necessita di un ammodernamento. Su quali filoni? Sintetizzando: nuovi ambienti, spazi pedonali nei campus, ammodernamento del parco immobiliare, privacy e sicurezza, tecnologia per offrire supporto e connessione h24, 7 su 7, manutenzione, servizi condivisi. Come? Con l’accentramento dei capitali per creare economie di scala che possano sopperire alle “mancanze” del mercato iper frammentato degli alloggi studenteschi, soprattutto in Italia dove il mercato è storicamente dominato dai piccoli proprietari del ceto medio di seconde e terze case che vivono grazie a un mix di lavoro e rendita immobiliare ereditata. Chissà che il governo guidato da Mario Draghi non abbia dato una spinta verso “l’internazionalizzazione” del settore.